Il problema del rientro dei lavoratori in Nepal

Il coronavirus è soprattutto un problema per il turismo e per la perdita delle rimesse dai migranti

di Beatrice Spazzali

Bhaktapur, Nepal (AP Photo/Niranjan Shrestha)
Bhaktapur, Nepal (AP Photo/Niranjan Shrestha)

In Nepal, dopo i primi mesi in cui l’epidemia di coronavirus era stata contenuta con relativa efficacia, a partire da maggio è stato registrato un aumento di casi positivi rilevati, fino agli oltre 16mila segnalati negli ultimi giorni. L’aumento è legato al rientro nel paese di grandi quantità di persone che lavoravano all’estero, e al conseguente maggior numero di tamponi effettuati per testarle.

“Molto vulnerabile”
All’inizio della pandemia da coronavirus, il Nepal era considerato da diversi esperti come una delle aree più a rischio per la diffusione del virus e una delle meno preparate ad affrontare un’emergenza sanitaria. L’OMS aveva classificato il Nepal come “molto vulnerabile”, per poi attribuirgli un livello di rischio minore. Nel 2019 il Nepal si era posizionato al 111esimo posto su 195 nel Global Health Security Index (GHSI), una valutazione sulla sicurezza sanitaria dei paesi che aderiscono al Regolamento Sanitario Internazionale. Il rapporto aveva evidenziato grosse carenze nelle strutture sanitarie e di prevenzione, con conseguenti difficoltà nella capacità di scoprire, denunciare e gestire epidemie. Nella classifica i paesi dell’Asia del sud che si posizionano meglio sono India, Bhutan e Pakistan. Nonostante la migliore capacità sanitaria, l’epidemia ha comunque colpito duramente Pakistan e India.

Inizio lento
Nonostante questi presupposti, l’epidemia in Nepal aveva avuto una diffusione insolitamente lenta nei primi mesi, registrando fino alla fine di maggio meno di mille casi positivi rilevati su circa 60mila tamponi effettuati. Dal 23 gennaio – giorno in cui uno studente rientrato a Katmandu da Wuhan (la città cinese epicentro della pandemia) era stato trovato positivo al virus, rappresentando il primo caso nel paese – sono stati accertati più di 16mila casi di coronavirus, con più della metà dei nuovi positivi registrata nelle ultime tre settimane. Finora circa 7.500 persone sono guarite e 35 sono morte.

Sulla bassa letalità ha influito probabilmente il fatto che la maggior parte dei contagiati è composta da persone più giovani, nella fascia di età tra i 15 e i 54 anni, in quasi tutti i casi asintomatiche e meno esposte ai rischi della COVID-19, rispetto agli individui più anziani.

Lavoro e migrazioni
In Nepal l’aumento dei contagi rilevati è stato dovuto a un notevole aumento dei tamponi effettuati per tracciare i positivi, passando da una media giornaliera tra i 200 e i 500 a circa 4.000-6.000 tamponi al giorno nelle ultime settimane, per un totale di più di 260.000 test effettuati. L’incremento dei controlli è avvenuto in corrispondenza con il rientro di alcuni gruppi di lavoratori migranti da altri paesi, tornati perché rimasti disoccupati. Le migrazioni per lavoro sono un fenomeno particolarmente diffuso in Nepal e i dati mostrano che solo nell’ultimo anno sono stati rilasciati 236.208 permessi per andare a lavorare all’estero, circa 650 al giorno. Si stima che 127mila lavoratori torneranno in Nepal avendo perso il proprio lavoro o per paura di ammalarsi, rendendo la situazione più difficile da gestire anche sul piano economico.

Secondo la Banca Mondiale, le rimesse di chi lavora all’estero rappresentano più di un quarto della produzione economica, facendo del Nepal il paese del sud asiatico che più dipende da questi introiti: si stima che diminuiranno del 14 per cento. Le rimesse sono fondamentali per le famiglie di ceto medio-basso rimaste in Nepal e spesso trasferitesi dalle aree rurali ai centri cittadini, che fanno affidamento su queste per pagare affitto, spesa e tasse scolastiche.

A partire dalla guerra civile che si era combattuta tra il 1996 e il 2006, la migrazione di manodopera è diventata una delle caratteristiche distintive del panorama socio-economico del Nepal. A lasciare il paese sono soprattutto giovani poco qualificati, scoraggiati dalla diffusa povertà e instabilità politica, che trovano impieghi precari nei settori del turismo, dell’ospitalità e delle costruzioni, proprio quelli che in tutto il mondo si sono fermati per primi a causa dell’epidemia.

La migrazione è sia interna sia verso i paesi vicini, in particolare Qatar, Malesia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e India: in India si stima che lavorino quasi 600mila nepalesi, impiegati prevalentemente nel settore dei servizi. Molto spesso, però, chi emigra non ha un contratto di lavoro formale o altri benefici e di conseguenza i datori di lavoro non hanno obblighi contrattuali sui loro dipendenti relativi al fornire cibo, alloggio e cure mediche.

Anche chi si sposta dai villaggi alle città all’interno del Nepal spesso non beneficia di condizioni migliori. Si stima infatti che ci siano 1,7 milioni di lavoratori con stipendio giornaliero e un altro milione di lavoratori con contratti temporanei e altri che lavorano in nero, tutti significativamente colpiti dal coronavirus e dal conseguente rallentamento dell’economia. Un funzionario della banca centrale del Nepal ha detto a Reuters che nell’anno fiscale corrente, che termina il 16 luglio, si stima che l’economia del paese perderà più di un miliardo di dollari a causa delle misure di contenimento che hanno colpito le attività economiche e il settore del turismo. Inoltre, le previsioni di crescita sono state diminuite di sei punti, da 8,5 a 2,3 per cento. In molti chiedono che il governo metta a disposizione opportunità di formazione o sostegni finanziari per far reintegrare nella società chi è tornato in Nepal una volta rimasto senza lavoro.

Proteste
Nelle ultime settimane, diverse persone hanno protestato contro il modo in cui è stata gestita l’epidemia. Il governo ha detto di aver speso 89 milioni di dollari per contrastare la pandemia, ma secondo gli attivisti non è abbastanza per un paese da 30 milioni di abitanti. In una nota, il vice primo ministro Ishwor Pokhrel ha promesso che il governo si sarebbe impegnato per aumentare test, servizi medici e migliorare le strutture adibite alla quarantena.

I manifestanti hanno criticato, ad esempio, il fatto che diverse persone fossero state dimesse dai centri di quarantena prima di avere i risultati dei tamponi e senza monitoraggio. Queste persone, che sarebbero dovute restare in auto-isolamento presso le loro abitazioni, hanno invece ripreso le loro attività, preoccupate dal fatto di non aver lavorato nelle settimane precedenti.
Una buona parte della popolazione nepalese dipende pesantemente dall’economia in nero. Per questo al termine del lockdown, durato dal 24 marzo al 15 giugno, quando le attività commerciali e industrie hanno riaperto le persone hanno ricominciato a muoversi.

Turismo
Un altro settore ad avere un certo peso sull’economia del Nepal, e che si è fermato, è quello del turismo. Rappresenta l’8 per cento del PIL ed è il secondo settore, dopo le rimesse dei lavoratori emigrati, per quantità di soldi attratti dall’estero. Inoltre genera molti posti di lavoro diretti e indiretti, sostenendo altre industrie come l’agricoltura, l’allevamento di bestiame e l’artigianato. Il turismo aveva cominciato a riprendersi negli ultimi anni dopo il devastante terremoto del 2015, e per questo anno era stato organizzato un grosso evento di promozione turistica, il Visit Nepal 2020, che puntava ad attirare e accogliere nel paese 2 milioni di turisti internazionali a fronte di un investimento di diversi milioni di dollari da parte dell’ente del turismo nepalese: è stato cancellato a marzo, quando sono stati anche sospesi i voli turistici, chiusi i confini e annullate le scalate sull’Everest.

Ogni anno, solo in tutto quello che sta intorno alle scalate, lavorano 200mila persone come guide, sherpa e altro personale di supporto agli escursionisti. Oltre a questi lavoratori, ci sono anche operatori nell’industria dei servizi e proprietari di alberghi e ristoranti che fanno affidamento prevalentemente sui guadagni stagionali che hanno in primavera e in autunno. Sono loro i più colpiti, con una perdita stimata di 330 milioni di dollari. Una delegazione di imprenditori del turismo ha inviato al ministro del Turismo Yogesh Bhattarai un memorandum, chiedendo che il settore venga fatto ripartire al più presto.

Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus in 26 paesi del mondo sono un progetto del workshop di giornalismo 2020 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.