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  • Giovedì 4 giugno 2020

Ci sono opinioni che il New York Times non dovrebbe pubblicare?

L'articolo di un senatore Repubblicano che chiede l'intervento dell'esercito per fermare le proteste è stato duramente criticato, anche dai giornalisti del New York Times

Aggiornamento di venerdì 5 giugno: una portavoce del Times ha ammesso che la pubblicazione dell’articolo di Tom Cotton è stata «affrettata» e che il testo «non era all’altezza» di essere pubblicato. L’articolo è ancora visibile online, ma l’editore del quotidiano, A. G. Sulzberger, ha annunciato nella chat interna dell’azienda che presto verrà aggiunta una nota con la posizione della proprietà.

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Mercoledì sera la sezione delle opinioni del New York Times, il più importante giornale del mondo, ha pubblicato un articolo firmato dal senatore Repubblicano dell’Arkansas Tom Cotton in cui si chiede l’intervento dell’esercito per fermare le rivolte iniziate dopo l’uccisione di George Floyd. L’articolo di Cotton è stato criticato da tantissimi giornalisti del New York Times, che su Twitter hanno scritto messaggi per contestare la decisione stessa di pubblicarlo, sostenendo che il suo contenuto metta in pericolo i neri statunitensi e i giornalisti neri del New York Times.

La discussione nata dalla protesta dei giornalisti si è allargata a una più profonda discussione sul ruolo dei giornali nel dibattito pubblico, e il capo della sezione delle opinioni del New York Times è intervenuto per difendere la decisione di pubblicare l’articolo di Cotton.

L’articolo di Cotton si intitola “Mandate l’esercito” e chiede al presidente degli Stati Uniti Donald Trump di fare ricorso all'”Insurrection Act”, un’antica legge statunitense che permette di usare l’esercito per sedare insurrezioni nel paese. Cotton riconosce la differenza tra i manifestanti pacifici e quelli violenti, ma sostiene che contro i secondi sia necessario «uno schiacciante dispiego di forza, per disperdere, arrestare e dissuadere chiunque non rispetti la legge».

Cotton non è stato il primo a fare riferimento all'”Insurrection Act” in questi giorni e anche Trump ha detto più volte di essere pronto a usare l’esercito per fermare i disordini (il segretario alla Difesa ha tuttavia detto di essere contrario). Anche se la gran parte delle manifestazioni è stata pacifica, in molte città ci sono stati violenti scontri tra gruppi di manifestanti e polizia, vandalismo, incendi e negozi saccheggiati. La risposta alle proteste della polizia e dei riservisti della Guardia Nazionale è stata altrettanto violenta e ci sono state accuse di abusi di forza e brutalità sui manifestanti che hanno portato anche al licenziamento di alcuni agenti.

– Leggi anche: Le violenze commesse dalla polizia durante le proteste negli Stati Uniti

Decine di giornalisti e redattori del New York Times hanno criticato la scelta di pubblicare l’articolo di Cotton scrivendo su Twitter che «Pubblicare questo articolo mette a rischio i giornalisti neri del New York Times» (o variazioni di questa frase). Le proteste di questi giorni, nate dopo un caso di brutalità della polizia che ha portato alla morte di un uomo afroamericano, riguardano prevalentemente la comunità afroamericana statunitense e un intervento dell’esercito colpirebbe quindi in prevalenza i neri.

Qualcuno ha criticato l’articolo ricordando il concomitante anniversario della strage di piazza Tienanmen; tre giornalisti – dice un articolo dello stesso New York Times sulle proteste di oggi – hanno fatto sapere che alcune loro fonti avevano annunciato l’interruzione dei loro rapporti con il giornale a causa dell’articolo di Cotton.

La giornalista del New York Times Magazine Nikole Hannah-Jones, che ha appena vinto un premio Pulitzer per il suo lavoro in un progetto giornalistico sulla schiavitù negli Stati Uniti, ha scritto: «Probabilmente mi metterò nei guai scrivendo questa cosa, ma non dire niente sarebbe immorale. Sono una donna nera, una giornalista, un’americana e mi vergogno profondamente che questo articolo sia stato pubblicato».

https://twitter.com/nhannahjones/status/1268334601166106624

Le critiche al New York Times sono arrivate anche da giornalisti di altri giornali e studiosi di giornalismo. Sewell Chan, ex vice direttore della sezione opinioni del New York Times, ha criticato su Twitter l’articolo di Cotton spiegando che è molto povero e poco originale nei contenuti e che l’intervento dell’esercito era già stato respinto dal segretario della Difesa e da molti governatori di stati americani. Anche in una sezione nota per pubblicare articoli controversi e di autori Conservatori, ha spiegato Chan, l’articolo di Cotton sembrava fuori posto.

Jay Rosen, professore di giornalismo dell’Università di New York, ha spiegato che parte delle critiche non riguardano l’opportunità di pubblicare opinioni che qualcuno considera ripugnanti, ma il fatto che pubblicandole queste vengano “amplificate” e ricevano grande credito (specialmente quando vengono pubblicate da un giornale come il New York Times). Margaret Sullivan, ex public editor del New York Times che oggi scrive di media e giornalismo per il Washington Post, ha elencato le regioni per cui non avrebbe mai pubblicato l’articolo di Cotton.

1- I neri si sentono già in pericolo e sotto attacco.
2- Ci sono dei limiti a ciò che può essere considerato accettabile pubblicare in questa sezione così incredibilmente influente. Questo, secondo me, supera quei limiti.
3- Gli Stati Uniti in questo momento sono una polveriera.
4- [Cotton] Può ottenere spazio per le sue idee (e spingere la sua candidatura per il 2024) da altre parti.

La pagina delle opinioni del New York Times – come quelle di molti altri giornali statunitensi – è gestita da una redazione separata da quella delle notizie: risponde direttamente all’editore del giornale e non al direttore, allo scopo di avere uno spazio indipendente per pubblicare articoli anche poco in linea con gli altri pubblicati dal giornale, per arricchirlo di opinioni diverse e anche opposte a quelle della maggioranza dei suoi autori e lettori. In ogni caso il New York Times pubblica molto raramente opinioni di persone che la pensano come il presidente Trump; anche i suoi opinionisti conservatori di solito non apprezzano Trump. Di Cotton – che invece è un grande sostenitore di Trump – erano stati pubblicati in passato altri articoli: uno difendeva l’uccisione di Qassim Suleimani da parte degli Stati Uniti, un altro difendeva l’idea di Trump di comprare la Groenlandia.

Le critiche di Sullivan, Chan e Rosen riguardano tuttavia il modo in cui vada interpretato il ruolo della sezione opinioni, e se ci debbano essere dei limiti alle idee cui si dà spazio anche volendo promuovere il pluralismo e il confronto tra opinioni diverse. Da una parte c’è l’idea che presentare ai lettori opinioni molto diverse da quelle a cui sono normalmente esposti sia di per sé un valore; dall’altra c’è l’idea che alcune opinioni non meritino spazio in una società civile e moderna e che non meritino di ricevere il credito che deriva dall’essere pubblicate sul New York Times.

Essere pubblicati sul New York Times non solo permette di essere letti da milioni di persone in tutto il mondo, ma fa sì che ciò che si scrive venga percepito da molti come accurato e affidabile. L’articolo di Cotton faceva per esempio riferimento alle presunte infiltrazioni di gruppi di estrema sinistra nelle manifestazioni dell’ultima settimana, un fatto che – come aveva scritto il New York Times stesso – non è stato ancora dimostrato con certezza. «Una buona domanda da farsi prima di pubblicare un pezzo di opinione particolarmente provocatorio è se passerebbe un fact checking da parte dei tuoi giornalisti», ha scritto Rosen: «se la risposta è sì, hai più motivi per pubblicarlo; se la risposta è no, ne hai di meno».

A chi ha chiesto chiarimenti sulla decisione di pubblicare l’articolo di Cotton, il New York Times ha indicato un intervento su Twitter di James Bennet, direttore della pagina delle opinioni.

«Gli editorialisti del New York Times hanno difeso con forza le proteste, definendole patriottiche, e hanno criticato l’uso della forza [da parte della polizia]», ha scritto Bennet, «e per anni hanno condotto una battaglia contro la crudeltà sistemica che ha portato alle proteste di questi giorni». Bennet ha rivendicato di aver pubblicato «articoli molto forti a favore delle proteste, che chiedevano cambiamenti radicali e criticavano gli abusi della polizia», aggiungendo però che «è un dovere nei confronti dei nostri lettori mostrare loro anche le argomentazioni contrarie, specialmente quelle di persone in posizioni di potere». «Sappiamo che molti lettori hanno trovato l’articolo del senatore Cotton doloroso, anche pericoloso» ha concluso Bennet, «per questa ragione crediamo che abbia bisogno di pubblico scrutinio e di dibattito».

Il titolo dell’articolo sul sito del New York Times è stato poi corretto per dare maggiore rilevanza al fatto che esprimesse un’idea del suo autore. Da “Mandate l’esercito” è diventato “Tom Cotton: mandate l’esercito”.