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  • Venerdì 3 gennaio 2020

Gli Stati Uniti hanno ucciso Qassem Suleimani

Il potentissimo generale iraniano è morto in un attacco coi droni all'aeroporto di Baghdad, autorizzato direttamente da Donald Trump

Una delle auto colpite nell'attacco statunitense di questa notte in cui è stato ucciso tra gli altri Qassem Suleimani. La foto è stata scattata fuori dall'aeroporto internazionale di Baghdad (HO, Iraqi Prime Minister Press Office, via AP)
Una delle auto colpite nell'attacco statunitense di questa notte in cui è stato ucciso tra gli altri Qassem Suleimani. La foto è stata scattata fuori dall'aeroporto internazionale di Baghdad (HO, Iraqi Prime Minister Press Office, via AP)

Nella notte tra giovedì e venerdì gli Stati Uniti hanno compiuto un attacco coi droni all’aeroporto internazionale di Baghdad, la capitale irachena, uccidendo il potentissimo generale iraniano Qassem Suleimani, uno degli uomini più noti e popolari in Iran, oltre a diversi miliziani iracheni.

Suleimani era il capo delle forze Quds, corpo speciale delle Guardie Rivoluzionarie iraniane incaricato di compiere operazioni all’estero: negli ultimi anni si era occupato di coordinare l’azione iraniana in diverse crisi del Medio Oriente, tra cui la guerra in Siria e la più recente repressione delle proteste antigovernative irachene da parte delle milizie sciite filo-iraniane presenti in Iraq. Non era solo un comandante militare: era a capo della raccolta di informazioni di intelligence e delle operazioni militari all’estero svolte in segreto, ed era considerato molto vicino alla Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, la figura politica e religiosa più importante del paese. La sua uccisione potrebbe essere vista dall’Iran come un «atto di guerra», ha scritto il New York Times, e avere enormi conseguenze.

L’ordine di uccidere Suleimani è arrivato direttamente dallo stesso presidente Donald Trump, che non ha informato il Congresso dell’attacco imminente e poche ore dopo si è limitato a pubblicare su Twitter una bandiera degli Stati Uniti. I presidenti americani che lo avevano preceduto avevano scartato l’idea di uccidere Suleimani, per il timore che un’azione di questa portata avrebbe portato all’inizio di una guerra tra Stati Uniti e Iran.

Qassem Suleimani a Teheran, il 18 settembre 2016 (Office of the Iranian Supreme Leader via AP, File)

Il ministero della Difesa ha detto in un comunicato: «Il generale Suleimani stava attivamente sviluppando piani per attaccare i diplomatici americani e altro personale in Iraq e in tutta la regione» e ha aggiunto che già in passato si era reso responsabile della morte di centinaia di militari statunitensi. La missione di questa notte era stata pianificata dopo l’uccisione di un contractor statunitense lo scorso dicembre, che aveva già portato a un altro attacco militare americano contro la milizia irachena filo-iraniana Kataib Hezbollah, e che a sua volta aveva provocato l’assalto all’ambasciata statunitense nella Zona verde di Baghdad, tra martedì e mercoledì di questa settimana.

Tra le persone uccise nell’attacco contro Suleimani, ha detto la televisione irachena, c’è anche Abu Mahdi al Muhandis, comandante di Kataib Hezbollah e uno dei leader delle Forze di mobilitazione popolare, insieme di milizie irachene principalmente sciite formato nel 2014 per combattere l’ISIS e profondamente legato alle Guardie Rivoluzionarie iraniane. È morto anche Mohammed Ridha Jabri, il capo delle pubbliche relazioni delle Forze di mobilitazione popolare. Non è ancora chiara la dinamica dell’attacco: secondo alcune fonti, i tre sarebbero stati colpiti mentre si stavano spostando nello stesso convoglio di auto dopo avere lasciato l’aeroporto internazionale di Baghdad, mentre secondo altre ci sarebbero stati diversi bombardamenti contro convogli distinti.

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L’analista Hassan Hassan ha definito l’uccisione di Suleimani e Muhandis «probabilmente la più significativa e importante [nella regione] dell’ultimo decennio». Ellie Geranmayeh, esperta di Iran per il think tank European Council of Foreign Relations, ha parlato di «punto di svolta»: «gli Stati Uniti hanno riscritto le regole di ingaggio e hanno esposto tutti i loro soldati in Medio Oriente a possibili ritorsioni. Trump ha aumentato esponenzialmente le possibilità di una guerra nell’anno delle elezioni presidenziali». Geranmayeh ha però aggiunto che per ora Khamenei, la massima autorità in Iran, non sembra intenzionato a iniziare un conflitto diretto con gli Stati Uniti: è più probabile che eventuali ritorsioni avvengano in «paesi terzi», come l’Iraq, dove sono presenti sia gli americani che gli iraniani.

Altri esperti di Medio Oriente, come la giornalista Maria Abi-Habib e l’analista Michael Horowitz, hanno invece sottolineato i rischi della decisione di Trump, e in particolare il fatto che gli Stati Uniti non sembrino avere una strategia chiara nei confronti dell’Iran. Il governo americano potrebbe non essere pronto a sostenere una escalation militare che potrebbe colpire tra gli altri militari e personale diplomatico statunitense in Iraq e in altri paesi della regione.

https://twitter.com/Abihabib/status/1212980357357658112

Nel frattempo sono arrivate anche le prime reazioni dure dell’Iran e delle milizie sciite irachene.

Il governo iraniano ha minacciato ritorsioni contro gli Stati Uniti. Il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, ha definito l’attacco statunitense un «atto di terrorismo internazionale» e ha aggiunto che Suleimani è stato «la forza più efficiente nella guerra contro l’ISIS», riferendosi all’impegno delle milizie irachene filo-iraniane, coordinate proprio da Suleimani, nella guerra contro lo Stato Islamico in Iraq.

Oltre al regime iraniano, anche le milizie sciite che operano in Iraq hanno promesso ritorsioni contro gli Stati Uniti. Una delle reazioni più significative è arrivata dal noto religioso sciita Moqtaba al Sadr, uno degli iracheni più importanti e ambigui degli ultimi 15 anni che tra le altre cose aveva ottenuto un risultato inaspettato alle ultime elezioni. Dopo essere stato per moltissimi anni profondamente legato all’Iran, di recente al Sadr si era espresso contro la presenza in territorio iracheno sia dell’Iran che degli Stati Uniti, quindi a favore di un Iraq più indipendente. Venerdì al Sadr ha annunciato la “riattivazione” della potente milizia “Esercito del Mahdi”, da lui fondata nel 2003 per colpire le forze statunitensi in Iraq.

Venerdì si è espresso sull’accaduto anche il governo iracheno, alleato sia degli Stati Uniti che dell’Iran. Il primo ministro iracheno, lo sciita Adil Abdul Mahdi, ha condannato l’attacco statunitense definendolo una «aggressione» e una «flagrante violazione» dell’accordo di sicurezza che permette alle forze militari americane di essere presenti in Iraq. Intanto l’ambasciata americana a Baghdad ha diffuso un comunicato rivolto a tutti i cittadini statunitensi in Iraq, dicendo loro di lasciare quanto prima il paese, se possibile in aereo.