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  • Martedì 15 maggio 2018

L’inaspettato vincitore delle elezioni in Iraq

Il nome Muqtada al Sadr vi dice qualcosa? È un controverso religioso sciita che si è alleato con i comunisti e gli attivisti anti-corruzione, e critica sia Iran che Stati Uniti

Muqtada al Sadr (HAIDAR HAMDANI/AFP/Getty Images)
Muqtada al Sadr (HAIDAR HAMDANI/AFP/Getty Images)

Le elezioni parlamentari che si sono tenute in Iraq sabato scorso hanno avuto un vincitore e uno sconfitto inaspettati. Il vincitore è il noto religioso sciita Muqtada al Sadr, uno degli iracheni più importanti e ambigui degli ultimi 15 anni, che nel voto di sabato ha guidato una strana coalizione di musulmani sciiti, comunisti laici e attivisti anti-corruzione. Lo sconfitto è l’Iran, che da anni esercita una forte influenza sulla politica irachena e che però ora potrebbe vedere il suo potere ridimensionato. Quelli diffusi finora sono risultati parziali, ma danno già un’idea piuttosto chiara di come sono andate le prime elezioni in Iraq dalla sconfitta dello Stato Islamico (o ISIS), le quarte dall’intervento statunitense del 2003 che provocò la caduta di Saddam Hussein.

Muqtada al Sadr si è presentato alle elezioni come guida di una grande coalizione per lo più sciita chiamata Sairoon, definita da molti “populista” e unica che si è detta contraria alla presenza in Iraq sia degli americani che degli iraniani. Per chi ha seguito qualcosa delle cronache irachene degli ultimi 15 anni, si potrebbe stupire delle posizioni anti-iraniane di Sadr, e ne avrebbe tutte le ragioni.

Sadr, 44 anni, proviene da una famiglia sciita molto nota e importante in Iraq: un suo parente, il grande ayatollah Mohammed Baqir al Sadr, fu ucciso dal regime di Saddam Hussein nel 1980, così come suo padre e due suoi fratelli, che furono uccisi nel 1999 nella città irachena di Najaf. Dopo l’invasione americana dell’Iraq nel 2003, Muqtada al Sadr cominciò a guidare la resistenza irachena contro la presenza di soldati americani nel paese. La sua base era a Sadr City, quartiere orientale di Baghdad molto povero e a stragrande maggioranza sciita, chiamato così dopo la caduta di Hussein in onore della famiglia di Sadr. La sua milizia si chiamava Esercito del Mahdi ed era legata in maniera molto stretta all’Iran, che in quegli anni cominciava a farsi largo nella politica e nell’economia post-bellica irachena. L’Esercito del Mahdi uccise migliaia di soldati americani e forze del governo iracheno e partecipò ad alcune delle più terribili violenze settarie – uccisioni, torture, rapimenti – compiute contro i sunniti nel corso degli anni Duemila.

Dopo la conquista di Mosul da parte dello Stato Islamico, nel 2014, Sadr riattivò la sua milizia, cambiandole nome: da Esercito del Mahdi a Brigate della pace. I suoi combattenti non furono però tra i più attivi nella guerra contro l’ISIS, perché non erano direttamente influenzati dall’Iran e quindi a differenza di altri gruppi non ricevevano dal governo iraniano ingenti flussi di finanziamenti e armi. Le Brigate della pace mantennero la loro catena di comando indipendente e furono incaricati di proteggere la città di Samarra, a nord di Baghdad, dove si trova uno dei luoghi più sacri dell’Islam sciita.

Sadr aveva cominciato a mostrarsi in maniera diversa rispetto al passato. Nel luglio 2017, ancora in piena guerra contro l’ISIS, Sadr fece uno storico viaggio in Arabia Saudita, principale nemico dell’Iran e paese a stragrande maggioranza sunnita, dove incontrò il potente principe Mohammed bin Salman. Fu un incontro che si guadagnò molte prime pagine dei giornali locali e che segnò in maniera chiara e definitiva la svolta di Sadr.

Alle ultime elezioni Sadr «si è reinventato», hanno scritto diversi analisti. Si è presentato come leader di una forza populista che combatte contro la corruzione – un problema enorme nella politica irachena – seguendo il principio di “Iraq first”, l’Iraq prima di tutto, la versione irachena del noto slogan elettorale del presidente americano Donald Trump. In campagna elettorale ha parlato dell’importanza di ridurre l’influenza delle potenze esterne nella politica nazionale, presentandosi dunque come unica coalizione sciita dichiaratamente anti-Iran. L’impressione è che Sadr sia riuscito ad attirare molti voti che sembravano destinati a un’altra coalizione sciita, quella guidata dall’attuale primo ministro Haidar al Abadi e chiamata Nasr, schierata sia con gli americani che con l’Iran. Nasr è arrivata terza, dietro alla forza più filo-iraniana delle ultime elezioni: la coalizione sciita Fatah guidata da Hadi al Amiri, leader di una potente milizia legata all’Iran che ha preso parte alla guerra contro lo Stato Islamico.

Non è chiaro cosa succederà ora, anche perché la frammentazione della politica irachena fa sì che la coalizione di Sadr dovrà trovare forze politiche con cui allearsi per arrivare alla maggioranza in Parlamento. Si sa che Sadr non potrà diventare nuovo primo ministro dell’Iraq, visto che non era formalmente candidato, ma potrà avere un ruolo importante nell’indicare un nome. Non è chiaro nemmeno cosa ne sarà delle forze americane ancora impiegate in Iraq: nonostante Sadr abbia più volte parlato della necessità di liberarsi delle influenze esterne, i suoi discorsi sulla presenza degli Stati Uniti sono stati spesso piuttosto vaghi e mai direttamente favorevoli a un ritiro completo delle truppe americane.

Secondo diversi analisti, intanto, ci sono due cose che si possono già dire guardando i risultati parziali delle ultime elezioni irachene. La prima è che il populismo sembra avere sostituito il settarismo nel definire le forze della politica irachena; la seconda è che l’Iran potrebbe avere subìto una grande sconfitta, che renderà più complicati i suoi piani di influenzare a proprio piacimento la politica dell’Iraq nei prossimi anni.