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  • Sabato 30 maggio 2020

I manifestanti di Hong Kong hanno perso?

Dopo un anno di proteste contro la Cina, la Cina sembra più forte che mai

(Anthony Kwan/Getty Images)
(Anthony Kwan/Getty Images)

Un articolo del New York Times racconta le gravi difficoltà dei movimenti pro democrazia di Hong Kong, a un anno dall’inizio delle grandi manifestazioni per chiedere maggiori libertà e minore influenza da parte della Cina. Se per mesi era infatti sembrato che la vastità e la capacità organizzativa dei manifestanti potesse seriamente mettere in difficoltà le autorità di Hong Kong, ora gli effetti dell’epidemia da coronavirus e la nuova legge che potrebbe dare alla Cina maggiore controllo sulla regione sembrano averli in gran parte fermati.

Le proteste erano cominciate all’inizio di giugno 2019, contro una legge sull’estradizione che, se approvata dal Parlamento locale, avrebbe consentito di processare nella Cina continentale gli accusati di alcuni crimini gravi, come lo stupro e l’omicidio. La legge fu poi ritirata ma le manifestazioni avevano continuato a crescere, arrivando a coinvolgere decine di migliaia di persone (in alcuni casi, più di un milione) e creando enormi problemi alle autorità di Hong Kong.

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Una vera vittoria dei manifestanti – l’ottenimento di maggiore autonomia dalla Cina – era sempre sembrata quasi irraggiungibile, dice il New York Times: perché le proteste potevano avere qualche effetto a livello locale ma le decisioni sul futuro di Hong Kong sono sempre dipese dalla Cina. «L’intervento diretto della Cina ha reso questi ostacoli ancora più evidenti, e ora bisogna capire come reagire, con quale scopo e se valga la pena anche solo provarci».

La proposta di legge approvata giovedì dall’Assemblea Nazionale del popolo della Cina, massima autorità legislativa della Repubblica popolare, darà nuovi grandi poteri al governo cinese in materia di sicurezza nazionale ad Hong Kong. I dettagli del testo – che ora dovrà passare dal Comitato permanente del Partito comunista e potrebbe diventare legge in pochi mesi – non sono ancora chiari, ma il timore è che la Cina possa di fatto mettersi nella posizione di punire qualunque atto ritenuto contrario alla “sicurezza nazionale”. Questo potrebbe voler dire anche imporre grande controllo sulle manifestazioni e sui social network, come succede già nel resto della Cina.

Il presidente cinese Xi Jinping mentre vota a favore della nuova legge su Hong Kong, il 28 maggio (Kevin Frayer/Getty Images)

Per il timore che questo accada, dice il New York Times, tantissime persone che negli ultimi mesi avevano partecipato alle manifestazioni hanno cominciato a cancellare i loro profili sui social network e sulle app usate per organizzare le manifestazioni. Altri, specialmente quelli che partecipavano nelle occasioni più pacifiche, si sono fatti intimorire dalle nuove e più vigorose tattiche dalla polizia, che ora usa idranti e gas lacrimogeni anche per disperdere le manifestazioni più piccole. Alle proteste degli ultimi giorni hanno partecipato migliaia di persone: pochissime, se confrontate con quante se ne vedevano pochi mesi fa.

A rendere ancora tutto più complicato, inoltre, c’è stata l’epidemia da coronavirus. Non solo ha dato alla polizia un’ottima scusa per disperdere anche i più piccoli assembramenti, ma ha fatto crescere la disoccupazione e tolto ai manifestanti una delle armi più efficaci che avevano per mettere pressione sul governo locale.
Come racconta il New York Times, la partecipazione dei sindacati ai movimenti di protesta aveva permesso di usare gli scioperi per bloccare interi settori di Hong Kong, dagli aeroporti alle attività doganali e di controllo alle frontiere. Ora, però, pochi sono disposti a scioperare e rischiare di perdere il proprio posto di lavoro. «Abbiamo provato tutto quello che potevamo lo scorso anno. Forse troveremo altre idee, ma in questo momento le persone sono solo molto stanche», ha raccontato al New York Times un sindacalista di Hong Kong.

Cosa succederà ora non è facile da capire, ma il sentimento più diffuso tra i manifestanti sembra essere di rassegnazione. Le speranze di alcuni manifestanti sono legate all’intervento di paesi stranieri e alla pressione che potranno esercitare sulla Cina per difendere Hong Kong. La decisione degli Stati Uniti di sospendere il trattamento speciale con la regione è stata accolta come un buon segnale, anche se uno degli effetti potrebbe essere di danneggiare gravemente l’economia di Hong Kong. Altri, racconta il New York Times, sembrano aver deciso di alzare ancora di più l’asticella delle richieste, cominciando a parlare con maggiore insistenza di indipendenza dalla Cina: ma se era difficile pensare di ottenere più autonomia, sembra completamente irrealistico pensare che accada qualcosa di ancora più drastico.

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