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  • Venerdì 29 maggio 2020

Il femminicidio per cui si protesta in Iran

Romina Ashrafi, 13 anni, è stata decapitata dal padre nel sonno perché "colpevole" di aver disonorato la famiglia

In Iran si protesta da giorni per la morte di Romina Ashrafi, una ragazza di 13 o 14 anni (non è chiaro) decapitata nel sonno lo scorso 21 maggio. La ragazza era scappata con un uomo ed era dunque “colpevole” di aver disonorato la famiglia. Reza Ashrafi – il padre a cui la giovane donna era stata riconsegnata dopo la fuga, nonostante questa avesse dichiarato di temere per la sua sicurezza – è stato arrestato. Sui social, nei movimenti femministi, sui giornali internazionali e su alcuni giornali locali, dove la vicenda è finita in prima pagina, si parla molto di violenza istituzionalizzata contro le donne da parte dello Stato o legittimata dallo Stato.

Il femminicidio è accaduto a Sefid Sangan-é Lamir, un piccolo paese nella provincia di Gilan, nel nord dell’Iran. Secondo la testimonianza di Bahman Khavari, l’uomo di 34 anni che è fuggito con Romina Ashrafi, lui e l’adolescente avevano una storia che durava «da alcuni anni», come riportano le agenzie di stampa locali. Il padre della ragazza si opponeva però al loro matrimonio, non a causa dell’età della ragazza – in Iran le donne si possono sposare dai 13 anni – ma perché non voleva che sua figlia, sciita, si unisse a un sunnita. Dopo la fuga, il padre di lei aveva presentato una denuncia per rapimento contro Bahman Khavari.

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I due erano stati fermati cinque giorni dopo e Romina Ashrafi era stata riconsegnata al padre, nonostante la ragazza avesse riferito alla polizia di temere una reazione violenta. Il giorno successivo il padre ha provato a strangolare la figlia nel sonno, senza riuscirci, decidendo poi di usare una falce per decapitarla. Poco dopo i vicini, sentendo le grida della moglie, hanno chiamato la polizia. Secondo quanto scrivono i giornali locali, l’uomo è stato visto uscire di casa con la falce tra le mani e avrebbe confessato.

Il femminicidio di Romina Ashrafi ha creato molte reazioni di protesta sui social network, in Iran ma non solo, contro le leggi patriarcali in vigore nel paese, la violenza istituzionalizzata e la mancanza di qualsiasi forma di protezione per donne e ragazze. Alcune attiviste femministe hanno detto che il vero assassino è la repubblica islamica dell’Iran. Tara Sepehri Far dell’ong Human Rights Watch ha detto che «Romina era una bambina», che quindi «era vulnerabile» e che «la legge ha fallito nel proteggerla». L’hashtag #Romina_Ashrafi è stato condiviso migliaia di volte e la foto della giovane donna è stata pubblicata (cosa piuttosto eccezionale) anche sulle prime pagine di alcuni giornali locali, con titoli come “Casa paterna insicura” e “La tragedia di Romina”.

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Secondo l’articolo 220 del codice penale islamico, il padre è il “guardiano” delle proprie figlie e in caso di cosiddetto “delitto d’onore” – un delitto perpetrato allo scopo di “riscattare” l’onore della famiglia – è previsto uno sconto di pena. Il padre di Romina Ashrafi non rischia dunque la pena di morte come sarebbe per un altro omicidio in Iran, ma dai tre ai dieci anni di carcere e il pagamento di un indennizzo. Le dichiarazioni di Romina Ashrafi – che aveva riferito chiaramente di temere per la sua vita se fosse tornata a casa – non hanno avuto alcun peso nella decisione della polizia di riconsegnarla al padre. Infine c’è la questione dei matrimoni precoci: era scontato che la colpa della fuga e del “disonore” sarebbero ricadute esclusivamente su di lei e senza invece alcuna conseguenza per l’uomo adulto con cui lei era scappata o dal quale era stata, per molte e molti, manipolata. Anche molti giornali italiani che si occupano della vicenda citano “l’amore” tra i due, dando per scontata l’idea che si parli di una “coppia di innamorati”.

Le proteste sono cresciute ancor di più dopo che sull’annuncio del funerale di Romina Ashrafi si parlava di «destino voluto da Dio»: accanto alla rosa rossa che compariva al posto della sua foto, erano elencati gli uomini della famiglia in lutto, e il primo della lista era suo padre. Non solo: come ha scoperto la giornalista iraniana e attivista femminista Masih Alinejad, il giornale Jam-e Jam (vicino alla televisione di stato iraniana) ha modificato l’unica foto disponibile di Romina Ashrafi per assicurarsi che i suoi capelli, come segno di modestia, non venissero mostrati dal velo. Dopo che il post di Masih Alinejad è diventato virale, il giornale ha rimosso la foto.

Il presidente iraniano Hassan Rouhani ha chiesto di intervenire al più presto sui cosiddetti “delitti d’onore” e Shahnaz Sajjadi, consigliera del presidente, ha invitato a cambiare il «pensiero comune che la casa sia un luogo sicuro per i bambini e per le donne». La vice presidente Masoumeh Ebtekar ha aggiunto che una norma a protezione dei e delle minori è nella “fase finale” di valutazione da parte del Consiglio dei Guardiani della Costituzione, norma che in passato era però già stata respinta tre volte perché giudicata contraria ai principi ispiratori della repubblica islamica.

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In Iran non esiste alcun numero ufficiale sulle donne che vengono uccise da familiari o parenti per azioni percepite come violazioni delle norme islamiche o delle consuetudini sociali. Nel 2014 un funzionario della polizia di Teheran, Hadi Mostafayi, aveva detto che il 20 per cento degli omicidi in Iran erano crimini di questa natura. L’Associazione iraniana per la difesa dei diritti dell’infanzia, un’organizzazione non governativa indipendente, ha detto di aver contato dal 2001 almeno 30 ragazze uccise dai loro padri. La cifra fa riferimento solo ai casi che sono stati riportati dai media, ma è probabile che ce ne siano molti altri che sono rimasti invisibili.