Perché per ora nessuno vuole usare il MES

Finora i governi europei sembrano pensare che la nuova linea di credito – destinata a finanziare le spese sanitarie – comporti più rischi che vantaggi

(Christopher Furlong/Getty Images)
(Christopher Furlong/Getty Images)

Finora nessuno stato che adotta l’euro come moneta ha fatto richiesta per utilizzare la linea di credito per le spese sanitarie prevista dal Meccanismo Europeo di Stabilità, il famoso MES, che entrerà in funzione dal prossimo giugno. Questa linea di credito permette agli stati di ottenere prestiti a condizioni vantaggiose con cui finanziare i loro sistemi sanitari.

Soprattutto in Italia, dove il MES è stato spesso sulle prime pagine dei giornali, molti politici, esperti ed economisti sostengono che non utilizzare questo prestito sarebbe lo spreco di un’occasione imperdibile: l’Italia potrebbe ottenere una cifra pari a un quarto dell’intero bilancio della sanità, a un tasso di interesse irrisorio. Ma nonostante l’apparente convenienza di questo strumento, i governi di Francia, Spagna, Portogallo e Grecia hanno detto di non essere interessati ad utilizzarlo. E anche quello italiano, che appare molto più diviso degli altri, per il momento sostiene la stessa linea: il ricorso ai prestiti speciali del MES non è una priorità. Oggi, insomma, sembra prevalere l’opinione che i prestiti del MES siano una sorta di frutto avvelenato, le cui conseguenze negative rischiano di superare i vantaggi che produrrebbe il loro utilizzo.

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Il MES e la pandemia
Quello di cui si discute in questi giorni è una nuova linea di credito speciale, messa a punto in poche settimane e pensata per aiutare gli stati a contrastare le conseguenze sanitarie della pandemia. Non si parla quindi di un normale prestito del MES, o “fondo salvastati”, come viene spesso chiamato. Quest’ultimo tipo di prestito (che fino a oggi è stato concesso a Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda e Cipro) viene erogato in cambio di pesanti impegni economici da parte dei governi che ne fanno richiesta, che di solito si traducono in misure politiche impopolari: tagli alle pensioni, privatizzazioni e liberalizzazioni nel mondo del lavoro.

Il timore che anche ai nuovi prestiti anti-pandemia si applicassero queste condizioni è stato al centro delle polemiche sul MES, che in Italia sono state portate avanti soprattutto da partiti come Lega, Fratelli d’Italia e una parte del Movimento 5 Stelle. Questi rischi, però, si sono notevolmente attenuati mano a mano che negli ultimi mesi è divenuto più chiaro il funzionamento della nuova linea di credito. Gli stati che ne faranno richiesta non dovranno sottoscrivere alcun impegno e non saranno sottoposti a nessun’altra condizionalità “forte”, a parte l’obbligo di spendere il denaro ricevuto in prestito per la spesa sanitaria relativa all’emergenza COVID-19.

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Oltre all’assenza di condizionalità “forti” (alcune condizioni sono comunque previste, considerato che i fondi si possono usare solo per spese sanitarie), il nuovo prestito, che in gergo tecnico si chiama Pandemic Crisis Support, è attraente soprattutto perché appare molto conveniente: il MES presta soldi a un interesse molto più basso di quello a cui di solito riescono a finanziarsi gli stati più deboli della zona euro, come l’Italia.

In sostanza, la linea di credito funzionerà così: a partire dal prossimo giugno ogni stato membro dell’eurozona potrà richiedere un prestito pari al 2 per cento del suo PIL per coprire le spese sanitarie dirette o indirette in risposta all’emergenza COVID-19. Il MES concederà quindi al paese in questione un prestito che andrà rimborsato in dieci anni e che sarà considerato un debito “senior”: vuol dire che nel caso piuttosto remoto del fallimento del paese che ne fa richiesta, dovrà essere rimborsato in maniera prioritaria rispetto al resto del debito pubblico.

Il prestito sarà erogato nel corso di un anno e lo stato che ne fa richiesta dovrà pagare un interesse pari al costo del finanziamento dell’ESM (che però raccoglie soldi sui mercati con un tasso di interesse praticamente pari a zero), a cui si aggiungerà un margine dello 0,1 per cento, una commissione una tantum dello 0,25 per cento e una commissione annuale dello 0,005 per cento annua. Secondo le principali stime, i prestiti del MES avranno per gli stati un interesse di poco superiore allo 0,1 per cento annuo.

Se l’Italia richiedesse una linea di credito pari al totale dell’importo consentito, il 2 per cento del PIL quindi circa 36 miliardi, dovrebbe pagare su questa cifra un interesse di circa 36 milioni di euro l’anno, per un totale di poco più di 360 milioni in dieci anni. Sulla carta, è un affare molto conveniente. Sugli equivalenti titoli decennali emessi dal ministero del Tesoro, lo stato italiano paga un interesse dell’1,8 per cento: diciotto volte più alto. Emettendo 36 miliardi di euro in normali titoli di stato decennali, il governo italiano si troverebbe a pagare 6,4 miliardi di euro di interessi in 10 anni, cioè 640 milioni l’anno.

I problemi
In realtà i benefici sono meno sostanziosi di quanto appaiano. Nel caso dell’Italia, uno dei paesi che sulla carta hanno più da guadagnare da un risparmio sui tassi di interesse, i 36 miliardi della linea di credito del MES sono soltanto una goccia nei circa 2 mila miliardi che formano il mare del debito italiano. Ogni mese, il ministero del Tesoro emette una cifra simile in nuovo debito, per un totale di circa 400 miliardi di euro ogni anno. Anche il risparmio sugli interessi appare ridotto. Un risparmio di 600 milioni di euro, infatti, andrebbe rapportato ai circa 70-80 miliardi di euro che lo stato spende ogni anno in spesa per interessi.

L’obiezione dei sostenitori del MES è che in una fase di difficoltà tutte le occasioni di risparmio andrebbero colte, per quanto ridotte. Il problema, però, è che molti sono preoccupati dal fatto che il ricorso al MES possa alla fine costare più dei risparmi che produrrà.

Il problema è duplice: da un lato il ricorso a questa linea di credito, soprattutto se effettuato in solitaria da uno dei paesi più deboli dell’eurozona, rischia di attirare le attenzioni non desiderate degli investitori. Questi ultimi potrebbero chiedersi come mai il paese in questione sia l’unico a utilizzare questa linea di credito, giungere alla conclusione che i suoi conti pubblici sono meno solidi di quanto appaiano e chiedere quindi in cambio un interesse maggiore per continuare a prestargli soldi. È l’effetto “stigma”, di cui in molti hanno parlato in queste settimane. Il risparmio sugli interessi permesso dal MES verrebbe compensato (se non superato) dall’aumento dei tassi sui titoli di stato.

L’altro problema è dovuto al fatto che il debito del MES è un debito senior, cioè che andrà rimborsato in maniera prioritaria rispetto alle altre emissioni. Come hanno scritto gli economisti Massimo Bordignon e Guido Tabellini, «un prestito senior con un tasso di interesse inferiore a quello di mercato causerà un rialzo del costo di emettere debito subordinato che arriverà a scadenza nello stesso periodo». Questa ipotesi sembra confermata dall’analisi dell’andamento dei tassi di interesse sul debito pubblico di Irlanda e Portogallo, dopo che nel 2011 fecero ricorso – in tutt’altre condizioni, però – alla linea di credito del MES.

In altre parole, il rischio è che per risparmiare alcune decine di milioni di euro l’anno grazie a un prestito da parte del MES di ridotte dimensioni, il costo di tutto il resto del debito aumenti a tal punto da “mangiarsi” tutti i risparmi. Per il momento, questo timore sembra essere molto diffuso tra i governi di quei paesi per cui la nuova linea di credito è stata pensata. Come ha spiegato il portoghese Ricardo Mourinho Félix, viceministro e segretario di Stato alle Finanze del Portogallo, il prestito «può essere utilizzato in situazione di necessità, ma non è questo il caso».