Vivremo in “bolle sociali”?

La formazione di piccoli gruppi di amici e familiari, separati tra loro, è una delle ipotesi per tornare ad avere relazioni con gli altri: ci sono paesi che ci stanno provando

Il parco di Porta Nuova a Milano domenica 10 maggio. (ANSA/Matteo Corner)
Il parco di Porta Nuova a Milano domenica 10 maggio. (ANSA/Matteo Corner)

A partire da domenica il Belgio ha introdotto una serie di allentamenti nelle misure restrittive per il coronavirus, introducendo il concetto di “bolla sociale”. È una strategia per contenere la diffusione del contagio in quel periodo successivo alle applicazioni più rigide del distanziamento fisico, che prevede la possibilità di ridotte aggregazioni a patto che coinvolgano sempre le stesse persone. Il Belgio non è il primo paese ad adottare il modello delle bolle sociali contro il coronavirus: lo ha fatto nelle scorse settimane anche la Nuova Zelanda, con successo, oltre ad alcune province canadesi, e se ne sta parlando concretamente anche in Regno Unito.

Quello delle bolle sociali è un approccio che secondo molti esperti potrebbe essere efficace anche altrove, e che potrebbe diventare almeno in certe nazioni la base delle interazioni sociali per i prossimi mesi. Ma è comunque una misura che presenta limiti e rischi: sia sanitari che sociali.

Da domenica, in Belgio, i nuclei familiari o comunque le persone che vivono in una casa (anche in caso di persone single) possono ricevere a casa fino a un massimo di altre quattro persone. Ma non è un limite relativo al singolo incontro: queste quattro persone esterne al proprio nucleo abitativo vanno scelte e poi mantenute fino a un eventuale prossimo allentamento delle misure restrittive. Per ora la scadenza della misura è al 5 giugno.

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Significa, in pratica, che una famiglia di cinque persone da ieri può far venire a casa sua un gruppo di altre quattro persone: la coppia di zii con due nipoti, per esempio, o un’altra coppia con due figli, oppure le due coppie di nonni. In questo caso, i quattro “ospiti” vedranno cinque persone esterne al proprio nucleo: potranno ricevere a casa propria soltanto quattro di loro, però.

Una coppia convivente può formare una “bolla” con altre due coppie di amici, per esempio. Non è necessario che le quattro persone facciano parte dello stesso nucleo abitativo, ma l’importante è che la bolla sociale risultante non abbia interazioni con le altre: che quindi rimanga un sistema chiuso, i cui membri si possono incontrare – ovviamente anche non tutti insieme – senza però avere contatti stretti e ravvicinati con i membri di altre bolle. Essendo i singoli nuclei abitativi composti in certi casi anche da molte persone, non c’è un limite massimo alle persone che possono formare una bolla.

Il principio alla base di questo sistema è piuttosto semplice: nell’eventualità che il membro di una bolla contragga il coronavirus, lo trasmetterà eventualmente soltanto ai membri della propria bolla. Che questo avvenga o no, una volta rilevato un caso sarebbe relativamente semplice procedere all’isolamento fiduciario delle poche persone che vi sono entrate in stretto contatto, sempre che il paziente abbia rispettato le misure. Il governo belga ha detto di aver scelto il limite di quattro persone proprio perché è il massimo che, almeno secondo le previsioni, permette di poter garantire le operazioni di tracciamento dei contatti.

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Il governo raccomanda comunque alle bolle di seguire le precauzioni sanitarie che ormai conosciamo, dal distanziamento fisico all’utilizzo di mascherine quando possibile, fino alle misure di igiene personale. Ha poi consigliato, dove si può fare, di incontrare i membri della propria bolla all’aperto, in un giardino o in un terrazzo, ma non ha ancora chiarito se le aggregazioni delle bolle possano avvenire per strada e nei parchi. Il governo ha anche ammesso che non è possibile controllare e farne rispettare l’applicazione, e che quindi si affida al senso civico dei cittadini. La comunicazione della misura da parte del governo ha insistito molto sulla necessità che i belgi sfruttino con prudenza questa forma di allentamento delle restrizioni.

In Belgio i casi di contagio accertati sono oltre 50mila, e i morti oltre 8.500: numeri molto alti, per un paese da meno di 12 milioni di abitanti. Dopo settimane di lockdown, da lunedì nel paese hanno riaperto i negozi, e la prossima settimana riapriranno anche le scuole. Il Regno Unito, il paese che ha registrato ufficialmente più morti in Europa con oltre 31mila, sta valutando di adottare a sua volta il principio delle bolle sociali, dice il Guardian, mentre da alcuni giorni è già in vigore un meccanismo simile in Germania, dove le persone di due nuclei abitativi diversi possono di nuovo incontrarsi (prima era possibile soltanto per una persona alla volta per nucleo).

Quella delle bolle sociali è una strategia di cui si parla ormai da alcune settimane, come possibile strada da seguire per i governi che man mano stanno riaprendo le attività economiche e commerciali e che si trovano davanti al grosso problema di comunicare ai cittadini in quali forme possono, o perlomeno dovrebbero, riprendere la propria vita sociale. Il dibattito sul costo economico avuto dalle misure restrittive per il coronavirus è cominciato praticamente ancora prima dei lockdown, ma con qualche ritardo in più si è cominciato a discutere estesamente anche del costo psicologico della quarantena, specialmente per le persone sole o anziane.

Per Block, sociologo tra gli autori di uno studio dell’Università di Oxford sul rapporto tra le nostre reti sociali e l’epidemia, ha dettoCNN che obbligare le persone in casa così a lungo ha portato nuovi problemi, specialmente per quanto riguarda la salute mentale di migliaia e migliaia di persone. «Ci deve essere una via di mezzo tra stare tutti a casa e incontrare chiunque e come vogliamo» ha detto. Quello che devono fare gli accademici e i governi, dice Block, è fornire consigli e istruzioni su come riorganizzare le proprie reti sociali in modo che siano compatibili con il contenimento del virus in attesa del vaccino, per evitare che a un certo punto le persone rinuncino completamente al distanziamento sociale, per frustrazione.

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Una famosa teoria sociologica sostiene che ciascun abitante della Terra sia collegato a tutti gli altri con una catena di relazioni e conoscenze, e che tra due persone prese a caso ci siano fino a un massimo di sei gradi di separazione. Al di là della validità della teoria, le bolle sociali sono uno strumento per interrompere le catene di contatti – fisici, in questo caso – che uniscono persone di una stessa comunità, creando il più possibile dei vuoti tra gruppi molto circoscritti, che tra loro possono continuare a frequentarsi.

Il problema è decidere che discrimine utilizzare. Tra quelli che convincono di più gli esperti c’è il fattore geografico: la cosa più importante, secondo molti, è che questi gruppi vivano a poca distanza, per evitare che un eventuale contagiato possa trasportare il virus lungo un territorio ampio, con il rischio di trasmetterlo strada facendo. Sul medio e lungo periodo, potrebbero adattarsi a queste bolle perfino gli uffici o le scuole, ipotizza lo studio di Oxford, separando persone provenienti da aree diverse in modo da spezzare l’eventuale catena del contagio. È inevitabile che più persone coinvolgono le bolle, maggiore è la probabilità che non funzionino aprendosi all’esterno.

Ma creare “bolle sociali” come quelle del Belgio porrà davanti a diversi problemi, alcuni più gravi di altri. Per molti, ci si porrà il problema di chi includere: una famiglia con i genitori separati avrebbe per esempio grosse difficoltà a trovare una soluzione che consenta ai figli di vedere entrambi i genitori e, per esempio, gli eventuali partner e nonni. Allo stesso modo, scegliere un numero così ridotto – quattro, per esempio – di persone con cui condividere settimane di frequentazioni sociali esclusive potrebbe rovinare certe amicizie.

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Senza contare che l’intero sistema richiede una notevole dose di fiducia reciproca, perché una sola persona che non rispetta la bolla la depotenzia notevolmente di efficacia. Sul sito della rivista MIT Technology Review del Massachusetts Institute of Technology, Gideon Lichfield ha elencato un po’ di consigli per formare una bolla sociale da pandemia: concordare insieme le regole sanitarie da rispettare e adeguarsi alle preoccupazioni altrui, ad esempio, oppure accordarsi subito sul fatto che chiunque possa uscire dalla bolla quando vuole.

Ma ci sono anche problemi che vanno oltre imbarazzi e possibili rapporti rovinati. Unire nella stessa bolla persone che corrono gradi di rischio diverso di fronte alla COVID-19, come anziani e giovani in salute, richiede necessariamente maggiori attenzioni da parte di tutti. Questo potrebbe portare a una segregazione degli anziani che comporterebbe gravi rischi dal punto di vista sociale e psicologico di intere fasce di popolazione.

Al contrario, per i bambini, la possibilità di poter riprendere a giocare e ad avere un contatto diretto con un numero limitato di propri coetanei potrebbe avere grossi benefici, ha scritto Stefan Flasche della London School of Hygiene and Tropical Medicine. «Questo tipo di raggruppamento sociale permetterebbe ai bambini di socializzare con i loro amici aggiungendo un rischio piuttosto marginale per quanto riguarda la diffusione del coronavirus al di fuori del loro gruppo di gioco e dei rispettivi nuclei familiari» dice Flasche, dando per scontato però che la separazione tra la bolla e l’esterno sia applicata con rigore.

L’intero sistema, ricordano poi gli esperti, può essere applicato soltanto se esiste un sistema efficiente di test: contatti sociali e fisici tra gruppi molto limitati possono riprendere, gradualmente e con prudenza, se c’è la certezza che i casi di contagio siano scoperti tempestivamente, in modo che si possano porre in isolamento i membri della bolla del contagiato prima che abbiano contatti con altre persone, per esempio sul lavoro.