Le notizie di venerdì sul coronavirus in Italia

Le morti sono 575 in più di ieri, i ricoverati in terapia intensiva sono 124 meno di ieri

(ANSA/Angelo Carconi)
(ANSA/Angelo Carconi)

Secondo gli ultimi dati diffusi oggi dalla Protezione Civile, i contagi totali registrati ufficialmente dall’inizio dell’epidemia di COVID-19 in Italia sono 172.434, 3.493 in più di ieri. I morti sono 22.745, un incremento di 575 rispetto a ieri. I nuovi pazienti “guariti o dimessi” registrati sono 2.563 (numero più alto dall’inizio dell’emergenza), per un totale di 42.727. Le persone attualmente positive sono 106.962 (ieri erano 106.607) mentre quelle ricoverate in terapia intensiva sono 2.812 (il numero più basso dal 20 marzo), 124 in meno rispetto a ieri. Le persone ricoverate in altri reparti scendono invece sotto i 26mila. Oggi si registra il numero massimo di tamponi in un solo giorno dall’inizio dell’epidemia: 65.705.

In Lombardia, la regione italiana più colpita, i morti registrati nelle ultime 24 ore sono stati 243, portando il totale a 11.851: i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 971, 61 in meno rispetto a ieri.

Da oggi in poi le conferenze stampa della Protezione Civile ci saranno soltanto il lunedì e il giovedì.

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Le altre notizie di oggi

Il presidente del Veneto Luca Zaia da giorni dice che nella sua regione di fatto il lockdown «non esiste più» e oggi lo ha ribadito nella sua quotidiana conferenza stampa sostenendo che il Veneto agirà in autonomia per affrontare la cosiddetta fase 2: «Stiamo lavorando alacremente per presentare un progetto di messa in sicurezza per la ripartenza», ha dichiarato Zaia, che poi ha chiarito che se dipendesse da lui riaprirebbe tutto dal 4 maggio anche se «con gradualità e senso di responsabilità». È la posizione sostenuta anche dal presidente della Lombardia, Attilio Fontana, che ha chiesto esplicitamente al governo che la ripresa delle attività produttive in regione avvenga a partire dal 4 maggio.

Alle iniziative dei presidenti di Veneto e Lombardia ha risposto oggi il presidente della Campania, Vincendo De Luca, che ha annunciato che se dovessero esserci «corse in avanti in regioni dove c’è il contagio così forte», la sua regione chiuderà i propri confini. De Luca in quel caso firmerà un’ordinanza per vietare l’ingresso dei cittadini provenienti da quelle regioni.

Anche il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) Silvio Brusaferro, durante la conferenza stampa settimanale organizzata per fare il punto sull’emergenza sanitaria, ha affrontato il tema delle riaperture. Per Brusaferro si dovrà riaprire «con grande cautela» e bisognerà farlo «ripensando e riorganizzando la nostra organizzazione della vita sia nei trasporti che nel lavoro e nelle attività quotidiane». Per il presidente dell’ISS sarà essenziale l’estensione dei test che «permetteranno di convivere con il virus e in particolare con il livello di contagiosità R sotto 1», cioè la situazione in cui un positivo contagia al massimo un’altra persona.

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Brusaferro ha poi elogiato la scelta del governo di utilizzare una app per il tracciamento del contagio. Questa mattina infatti il Commissario per l’emergenza coronavirus Domenico Arcuri ha firmato l’ordinanza che rende operativa l’applicazione per il tracciamento dei contatti (“contact tracing”). Come era stato anticipato già ieri sera, l’app si chiamerà “Immuni” ed è stata sviluppata da Bending Spoons, azienda con sede a Milano e con una forte presenza nel mercato delle app, in collaborazione con il Centro Medico Santagostino (CMS). L’utilizzo di Immuni sarà su base volontaria, attraverso il download da App Store (Apple) e Google Play Store (Google).

Sempre a proposito di chiusure e aperture è tornata anche a parlare, per quanto riguarda la scuola, la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina. In un’intervista sul Corriere della sera ha ammesso che si «allontana sempre di più la possibilità di riaprire a maggio» e che «il governo prenderà a giorni una decisione». La ministra sottolinea che anche se ci sarà per tutti la promozione, le pagelle saranno «vere», con i 4 e i 5. Per le famiglie ci sarà un aiuto con «un’estensione del congedo parentale e del bonus baby-sitter». Per l’esame di maturità «sarebbe auspicabile» l’esame a scuola.

Intanto nelle ultime ore diversi giornali e telegiornali italiani hanno riportato una stima errata dell’aumento della mortalità in Italia dovuto all’epidemia da coronavirus, attribuendola all’ISTAT. I titoli con il dato sbagliato dicevano, per esempio, «In Italia più 20% di decessi tra 1 marzo e 4 aprile rispetto al periodo 2015-2019». La fonte di questo dato è stato un lancio sbagliato dell’agenzia ANSA, che come spesso accade è stato ripubblicato e rilanciato da giornali e testate senza ulteriori verifiche, cosa che ha generato una ulteriore catena di equivoci.

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Come leggere questi dati
Leggendo i comunicati giornalieri della Protezione Civile bisogna usare alcune cautele: in primo luogo per la distinzione tra il numero delle persone attualmente positive e quello complessivo dei contagiati, che può creare un po’ di confusione; e in secondo luogo perché sappiamo ormai che i contagiati e i morti sono molti di più di quelli rilevati dai dati.

Inoltre c’è un problema su cosa intenda la Protezione Civile quando parla di “guariti”: questo dato infatti comprende anche le persone dimesse dagli ospedali, ma che potrebbero essere ancora malate, e non comprende tutte le persone che sono state malate di COVID-19 ma non hanno mai fatto il tampone, e quindi non risultano né nel conteggio dei malati né, in un secondo momento, in quello dei guariti.

Perché i casi aumentano ancora?
Una conseguenza della scarsa precisione dei dati raccolti fin qui è che anche ora che la situazione sembra complessivamente migliorare (il calo dei ricoveri in terapia intensiva ne è un segnale) il numero dei nuovi casi sembra ancora molto alto.

Una possibile risposta è che l’aumento del numero dei casi confermati sia legato all’aumento del numero di tamponi effettuati: più test si fanno, più casi si trovano, come ha detto Luca Richeldi, pneumologo del Policlinico Gemelli di Roma. Questo dimostrerebbe anche che nelle prime settimane dall’inizio dell’epidemia il basso numero di test non aveva permesso di identificare tutti i casi, che sono stati (e sono ancora oggi) più di quanti dicano i numeri ufficiali.