Isolare le città italiane serve contro il coronavirus?

La stretta quarantena e le limitazioni per i locali pubblici possono essere utili, ma non sappiamo ancora quanto: in questa fase siamo un grande laboratorio

Casalpusterlengo (Claudio Furlan - LaPresse)
Casalpusterlengo (Claudio Furlan - LaPresse)

Dopo i primi casi da coronavirus in Lombardia e Veneto, scoperti nella giornata di venerdì 21 febbraio, alcuni paesi in provincia di Lodi e di Padova sono stati messi in isolamento, con grandi limitazioni per l’ingresso e l’uscita dai loro confini. La decisione è stata presa insieme ad altri provvedimenti – come la chiusura delle scuole e gli orari ridotti per bar e locali – per ridurre il rischio di nuovi contagi. Nella confusione di notizie degli ultimi giorni in molti si sono però chiesti se le misure non siano troppo drastiche o tardive rispetto ai problemi posti dal coronavirus.

Contagio
Il coronavirus (SARS-CoV-2) si diffonde da persona a persona tramite le piccole gocce che emettiamo con la respirazione, con i colpi di tosse o con uno starnuto. Il contagio può essere diretto, per esempio se si è vicini a qualcuno infetto che starnutisce, oppure per via indiretta, se il virus è presente su oggetti o superfici.

Le vie di contagio indiretto possono essere numerose, ma seguono uno schema piuttosto simile: l’infetto tossisce o starnutisce portandosi una mano alla bocca e poi tocca qualcosa, come la maniglia di una porta; una persona non infetta tocca quella maniglia e poi si tocca il viso, portando inconsapevolmente il virus verso le mucose della bocca e del naso, o ancora verso gli occhi, con il concreto rischio di infettarsi.

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Diagnosi precoce e isolamento
Nelle prime fasi di un’epidemia, le due risorse più importanti di cui dispongono gli operatori sanitari sono la diagnosi precoce e l’isolamento. La prima indica la possibilità di identificare il più velocemente possibile le persone infette, per seguirne i sintomi e aiutarle a stare meglio, la seconda la necessità di evitare che gli infetti contagino altre persone.

Diagnosi precoce
La COVID-19, la malattia causata dal coronavirus, si manifesta spesso con sintomi moderati (febbre, tosse, dolori articolari), che solo nei casi più seri portano a gravi polmoniti e a complicazioni che possono essere letali.

Il tempo di incubazione – cioè il periodo che intercorre tra il momento in cui si è entrati in contatto con il virus e quando si manifestano i primi sintomi – non è ancora completamente chiaro. In linea di massima, passano dai 2 ai 14 giorni prima di manifestare i sintomi.

Di solito con le malattie infettive si diventa contagiosi quando si iniziano ad avere i primi sintomi, ma ci sono comunque patologie in cui si è contagiosi anche nel periodo di incubazione. Secondo alcune ricerche, questo potrebbe essere il caso della COVID-19, ma si attendono ulteriori conferme. Un’ipotesi è che in alcune persone la malattia causi sintomi lievi, tali da mantenere gli individui attivi e inconsapevoli di essere malati: questi continuano ad andare al lavoro e a condurre una normale vita sociale, facendo aumentare il rischio di nuovi contagi.

Per questo motivo è importante che siano effettuati controlli su ogni caso sospetto, attraverso i cosiddetti “tamponi”. In pratica si preleva un poco di saliva dalle mucose della bocca (poco prima della gola) con un lungo cotton fioc, che viene poi analizzato in laboratorio alla ricerca del virus. Se il test è negativo, ma rimangono sospetti sulla possibilità che la persona fosse infetta e poi fosse guarita, si può effettuare un esame più lungo e raffinato, che consente di trovare gli anticorpi sviluppati dall’organismo per contrastare il coronavirus.

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Isolamento
Una volta identificata una persona infetta grazie alla diagnosi (auspicabilmente precoce), questa deve essere separata dalle altre, per evitare che possa causare nuovi contagi. L’isolamento può avvenire in ospedale, in altre aree sanitarie attrezzate allo scopo oppure a casa, a patto di seguire diverse procedure per ridurre i rischi di contagio con i conviventi (uso di una stanza separata dalle altre, impiego di un bagno personale, di guanti e di disinfettanti a ogni utilizzo degli ambienti domestici).

Allo stesso tempo, il personale sanitario deve occuparsi degli individui con cui era entrato in contatto l’infetto nei giorni precedenti (di solito si usa come limite temporale il periodo massimo di incubazione possibile) e procedere con i tamponi e l’osservazione per tutti i coinvolti, in modo da fare nuove diagnosi precoci e ridurre ulteriormente il rischio di nuovi contagi.

Isolare intere città
Per provare a contenere un’epidemia si può mettere in pratica un isolamento generalizzato, che riguarda intere aree geografiche in cui si sono registrati i casi della malattia infettiva.

Provvedimenti di questo tipo interessano non solo le persone infette e i potenziali contagiati (esposti), ma l’intera popolazione di una zona. In Cina da settimane decine di milioni di persone vivono in sostanziale isolamento, con il divieto di lasciare le loro città. Su una scala molto più piccola, e con minori limitazioni per le libertà personali, ora si è deciso di fare altrettanto anche in Italia, nei comuni di Lombardia e Veneto dove si sono registrati molti casi da coronavirus.

In linea di massima, l’isolamento su grande scala può essere utile nei luoghi in cui iniziano a svilupparsi i primi casi, come a Wuhan, la città cinese epicentro della crisi sanitaria, mentre non sempre è utile quando ormai l’epidemia si è diffusa e ha raggiunto altri paesi. In questi ultimi giorni diversi epidemiologi (quelli che studiano il diffondersi delle malattie) hanno iniziato a chiedersi se l’isolamento generalizzato sia ancora utile, considerata la diffusione del coronavirus fuori dalla Cina.

Breve e lungo periodo
L’isolamento e la quarantena, la cancellazione degli eventi pubblici e la chiusura dei luoghi di aggregazione, come cinema e bar in parti della Lombardia, possono aiutare a ridurre la diffusione del virus, ma hanno il difetto di essere efficaci solo fino a quando sono messi in atto: di solito, appena decadono le precauzioni, i contagi tornano ad aumentare.

Al momento non abbiamo però soluzioni per il lungo periodo, come farmaci efficaci per trattare facilmente la malattia o un vaccino, per ridurre il numero dei contagi.

Se diventasse evidente che le persone sono contagiose anche durante l’incubazione, allora non avrebbe molto senso proseguire con i sistemi di isolamento, proprio perché molti individui infetti non verrebbero identificati per tempo evitando che ne contagino altri. Non ci sono però ancora dati definitivi su questa circostanza, e li potremo avere solamente grazie a nuove analisi e ricerche su un numero consistente di casi.

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È davvero utile?
Nei giorni scorsi alcuni analisti hanno messo in relazione il rallentamento dei nuovi casi segnalati in Cina con le misure di isolamento generalizzate, ipotizzando quindi che queste ultime si stessero rivelando efficaci. Non si può escludere che abbiano contribuito a ridurre i nuovi contagi, ma i dati provenienti dalla Cina (dove le autorità sanitarie hanno modificato almeno due volte le modalità con cui sono conteggiati i casi confermati) non sono ritenuti affidabili a sufficienza per risolvere i dubbi.

Come ha spiegato il direttore del Center for Communicable Disease Dynamics di Harvard (Boston, Stati Uniti), Marc Lipsitch, ci sono elementi che indicano l’utilità di alcune politiche per limitare i contagi, come la chiusura delle scuole.

Stando ai dati finora disponibili, la COVID-19 sembra causare sintomi più rilevanti negli adulti, anche se i bambini possono essere comunque contagiati. C’è quindi la possibilità che i bambini sviluppino sintomi molto lievi, mantenendo una vita sociale attiva, e siano quindi contagiosi. La chiusura delle scuole può aiutare a ridurre il rischio di nuovi contagi – meno bambini che si contagiano tra loro e poi trasmettono il virus agli adulti –, facendo rallentare la diffusione del virus.

Costi e benefici
Isolare intere comunità, chiudere le scuole, limitare i trasporti e gli orari dei luoghi di aggregazione porta con sé un costo, sia economico sia sociale. Le scuole, per esempio, sono un’importante risorsa per l’istruzione delle nuove generazioni, ma sono anche importanti per i genitori lavoratori, che sanno di poter affidare i loro figli in un posto sicuro mentre non possono badare a loro. Se si chiudono le scuole, i figli devono rimanere a casa e questo complica l’attività lavorativa dei genitori, che a loro volta devono già fare i conti con altre limitazioni per ridurre il rischio dei contagi.

Le misure straordinarie assunte nel Nord Italia per questa settimana avranno certamente un risvolto economico, ancora difficile da stimare. Solo nei prossimi giorni sapremo se questo costo sia stato giustificato, valutando l’andamento dei nuovi contagi.

Rallentare più che fermare
L’isolamento può avere un ruolo rilevante non tanto nel fermare un’epidemia, quanto nel rallentare la sua diffusione, e non è una cosa da poco perché comporta: un minor numero di infetti in totale, un minor carico sui sistemi sanitari che devono fare i conti coi malati (e il rischio di contagio tra il personale sanitario), la possibilità di imparare cose dai pazienti per sviluppare trattamenti e protocolli più efficaci per aiutarli a guarire. Più si rallenta la diffusione, più c’è tempo per trovare combinazioni di farmaci efficaci e un vaccino.

Effetti di un’epidemia con molti casi in poco tempo (in viola) e delle politiche per rallentarne la diffusione (curva a righe)

Considerata la portata dell’epidemia in corso, tendiamo ad aspettarci risposte chiare e definitive da parte dei governi e delle istituzioni sanitarie, ma non ci sono ancora evidenze scientifiche definitive e dati statistici per definire una soluzione più efficace di un’altra.

Ricercatori in tutto il mondo stanno studiando il coronavirus per comprenderne le caratteristiche, mentre gli epidemiologi stanno realizzando modelli e algoritmi per provare a prevedere come potrebbe diffondersi, negli scenari più ottimistici e più pessimistici. In un certo senso, l’Italia è un grande laboratorio (come lo sono il Giappone e la Corea del Sud, dove ci sono stati decine di casi) per capire cosa stia funzionando e cosa no, per prendere le giuste contromisure contro l’epidemia.