Come leggere i numeri sul nuovo coronavirus

Gli aggiornamenti giorno dopo giorno su nuovi contagi e numero di morti possono distrarre dal quadro complessivo, più complicato e che ancora non conosciamo

Il nuovo coronavirus (arancione) al microscopio elettronico (NIAID-RML via AP)
Il nuovo coronavirus (arancione) al microscopio elettronico (NIAID-RML via AP)

Da settimane gli aggiornamenti quotidiani sul nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) offrono numeri e statistiche sul numero di persone infette, sulle persone morte a causa della malattia (COVID-19) e sui pazienti guariti dimessi dagli ospedali. Le cifre fornite ogni giorno sono importanti per le autorità sanitarie e gli epidemiologi, che devono valutare l’efficacia delle politiche di contenimento dei contagi, ma possono risultare fuorvianti per l’opinione pubblica, soprattutto se sono presentante con poche informazioni di contesto. Sul New York Times il matematico John Allen Paulos, un docente della Temple University (Philadelphia) che si occupa spesso di numeri e del modo in cui sono usati sui giornali, ha scritto una breve guida per non perdersi tra i dati del nuovo coronavirus o farsi prendere troppo dal panico.

Quanto si muore di COVID-19
Tecnicamente, definire il tasso di letalità di una malattia non è una cosa molto complicata. Il termine serve per indicare la percentuale calcolata sul numero di persone morte per una determinata malattia (D) diviso per il numero totale di persone che si sono ammalate (I). Il problema non è l’operazione in sé, piuttosto banale, bensì determinare con certezza i due numeri da utilizzare nel calcolo.

Incertezze
I morti per COVID-19 sono indicati sulla base di valutazioni cliniche ed esami di laboratorio, per capire se le persone decedute avessero contratto effettivamente il nuovo coronavirus. Le cause di morte possono però essere altre, nonostante la presenza del virus. Nel caso di una persona con problemi cardiaci o malattie croniche come il diabete, può essere complicato stabilire l’effettiva causa di morte e quindi compilare statistiche sufficientemente affidabili.

Le cose si complicano ulteriormente nel determinare il numero totale di infetti. Tra questi sono comprese naturalmente le persone ricoverate in ospedale dopo essere risultate positive ai test sul nuovo coronavirus, mentre non è sempre chiaro come e se comprendere gli individui che hanno iniziato i trattamenti in assenza di una diagnosi definitiva (perché comunque mostrano già sintomi e hanno bisogno di assistenza medica) e coloro che potrebbero già essere stati contagiati, ma che nei primi giorni di incubazione non mostrano ancora sintomi.

Una complicazione ulteriore è data dai casi non risolti o non determinabili. Ci possono essere infatti circostanze in cui un individuo contrae il nuovo coronavirus, ma non sviluppa sintomi particolari e non si accorge di essere infetto.

Le autorità sanitarie non sono inoltre ancora riuscite a determinare con precisione il periodo di incubazione della malattia, cioè il tempo che intercorre tra il contagio e lo sviluppo dei primi sintomi. L’intervallo temporale massimo è stato collocato a due settimane, ma serviranno altri studi per delimitarlo con precisione.

I numeri sui media
Ogni giorno viene diffuso un nuovo bilancio sul numero di malati e di deceduti a causa della COVID-19, ma non sempre i giornali e gli altri media forniscono informazioni di contesto sufficienti per orientarsi e farsi un’idea.

La scorsa settimana, per esempio, le autorità sanitarie della provincia di Hubei – il cui capoluogo è Wuhan, l’epicentro della crisi – hanno rivisto il modo di indicare le persone infette da nuovo coronavirus, includendo gli individui che mostrano sintomi da COVID-19, anche se non sono ancora stati sottoposti ai test di laboratorio per accertare la presenza del virus. Di conseguenza, in 24 ore il numero di nuovi casi giornalieri è aumentato di 9 volte circa, portando a un certo sensazionalismo da parte dei media.

Diversi giornali avevano titolato sul fatto che il numero di contagiati fosse aumentato enormemente in appena un giorno, senza premurarsi di spiegare da subito che l’incremento fosse dovuto a una modifica nel modo di fare i calcoli. Altri avevano fornito più informazioni di contesto, ma usando comunque titoli sensazionalistici, portando a nuove preoccupazioni dell’opinione pubblica che da settimane segue con apprensione l’evolversi dell’epidemia.

I numeri forniti dalla Cina
Il cambiamento da un giorno all’altro ha fatto nascere inoltre nuovi sospetti nei confronti delle autorità cinesi: c’è chi ha ipotizzato che i numeri più bassi fossero stati comunicati in buona fede a causa del modo errato di conteggiare i casi, e chi invece che si fosse trattato di una scelta deliberata, visti alcuni precedenti. Per esempio, all’inizio dell’epidemia di SARS tra il 2002 e il 2003, il governo della Cina aveva provato a nascondere e minimizzare il problema, nel timore che potesse danneggiare la sua economia all’epoca in forte crescita.

In realtà la spiegazione potrebbe essere più semplice e banale: è possibile che nelle prime settimane ospedali e cliniche non avessero strumenti a sufficienza per rilevare con test di laboratorio la presenza del nuovo coronavirus. Il fatto che i numeri siano stati rivisti, con un aumento significativo di nuovi contagi, sembra rendere più probabile quest’ultima spiegazione: il sistema sanitario cinese era sotto forte pressione e faticava a tenere il passo con il continuo afflusso di probabili contagiati negli ospedali.

Ci vuole tempo
Il problema di fondo è che occorre tempo prima che un’epidemia causata da un nuovo virus offra dati rilevanti, dal punto di vista della statistica, per fare previsioni e analisi più approfondite. I numeri forniti ogni giorno dalle autorità sanitarie vengono ripresi così come sono dai media, finendo nei loro cicli di notizie quasi sempre tarati sulle 24 ore, senza offrire prospettive più ampie. Il risultato è una comunicazione sull’epidemia che rischia di creare più ansie che vera informazione.

Scrive Paulos, analizzando un intervallo più ampio di dati sul nuovo coronavirus:

Martedì il tasso di letalità della COVID-19 sembrava essere intorno al 2,5 per cento. È un dato in linea con quello segnalato, per esempio, dall’inizio dell’epidemia fino al 28 gennaio scorso. Per fare un confronto, il tasso di letalità dell’influenza stagionale negli Stati Uniti oscilla tra lo 0,1 e lo 0,18 per cento. Per la SARS è del 10 per cento circa, mentre per la MERS è del 35 per cento. Per Ebola è oscillato tra il 25 e il 90 per cento, a seconda delle epidemie, con una media intorno al 50 per cento.

Per quanto ne sappiamo finora, COVID-19 sembra essere molto meno fatale rispetto ad altre infezioni da coronavirus e malattie che hanno causato grandi epidemie negli ultimi decenni. Le parole da tenere in considerazione sono “per quanto ne sappiamo finora”: né più né meno di questo, significa che il nostro approccio alla situazione potrebbe cambiare con l’arrivo di nuovi dati.

Letalità e contagiosità
Semplificando: un virus può essere molto letale, ma poco contagioso, oppure essere molto contagioso, ma poco letale. La prima condizione è meno frequente rispetto alla seconda: un virus ha “interesse” a diffondersi il più possibile, e quindi essere molto contagioso costituisce un vantaggio. L’alta contagiosità implica che il numero di persone infette sia molto più alto e di conseguenza che ci possa essere una grande quantità di morti in termini assoluti.

Nel caso del nuovo coronavirus, la percentuale di morti per COVID-19 potrebbe quindi essere bassa, ma questo non significa che in termini assoluti possa esserci un basso numero di decessi. È però ancora presto per saperlo e se non avverrà sarà perché il contenimento dei contagi, in atto da settimane, avrà funzionato.