Cos’è “Parasite”, che ha vinto l’Oscar per il miglior film

Cose da sapere – senza spoiler – sul film sudcoreano che stanotte ha vinto quattro premi agli Oscar, compreso il più importante di tutti

("Parasite")
("Parasite")

Parasite, film del regista sudcoreano Bong Joon-ho, ha vinto quattro premi Oscar, tra cui quello per il miglior film e quello per la miglior regia. Parasite – che è diventato il primo film in lingua straniera a vincere il premio Oscar più importante – era uscito nei cinema a novembre ma già dal 6 febbraio, in previsione degli Oscar, era tornato in alcuni cinema. Qui avanti ci sono un po’ di cose per chi vuole conoscerlo meglio, ora che ha vinto quattro premi Oscar (oltre a miglior film e miglior regia, ha vinto anche miglior film internazionale e miglior sceneggiatura originale).

Parasite in tre righe
È un thriller, ma anche una satira sociale, con momenti da commedia ma anche drammatici. Parla, senza dire troppo, di una famiglia povera che si infiltra in una famiglia ricca. È vivace e dinamico, con alcuni notevoli colpi di scena.

Una storica vittoria
Parasite, che diversi mesi fa aveva già vinto la Palma d’oro al Festival di Cannes, è il primo film non in inglese a vincere l’Oscar per il miglior film, dopo che altri dieci (compresi Il postino e La vita è bella) erano stati candidati senza vincere (nel 2012 aveva vinto The Artist, che però è un film muto). Parasite è anche il secondo film nella storia ad aver vinto la Palma d’oro e l’Oscar per il miglior film: il primo fu Marty, vita di un timido, negli anni Cinquanta. È anche piuttosto raro, ma non senza precedenti, che un film abbia vinto l’Oscar più importante senza avere nemmeno una nomination nelle quattro categorie dedicate alla recitazione.

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Il regista
Bong Joon-ho ha 50 anni e i suoi film più recenti sono Snowpiercer e Okja (entrambi almeno un po’ di fantascienza), ma il film con cui si fece conoscere è Memories of Murder, del 2003, a cui nel 2006 seguì l’horror di fantascienza The Host. In un lungo articolo a lui dedicato, il New York Times scrisse che ha «una profondamente umana visione della rovina dell’umanità».

La trama
Parasite è ambientato ai giorni nostri in Corea del Sud e inizia presentando i quattro membri della famiglia Kim: padre, madre, figlio e figlia. I genitori sono disoccupati e nemmeno i figli, in età da università, studiano o lavorano. Vivono tutti e quattro in un umido seminterrato di un quartiere povero, la cui unica vista sull’esterno è data da una finestra al livello della strada.

L’innesco per la trama del film arriva quando il figlio trova lavoro come insegnante d’inglese presso una ricca famiglia, che vive in una villa moderna in un quartiere per bene su una specie di collina, con un ampio giardino. In questa villa vivono i Park, anche loro in quattro, con la loro domestica. Il signore e la signora Park sono ingenui e il ragazzo riesce a far sì che anche gli altri suoi familiari (senza dire di essere suoi familiari) finiscano a lavorare per loro, prendendo il posto di altri dipendenti della famiglia. Più o meno dopo un’ora di film, i Park partono per il campeggio e i Kim si trovano quindi liberi di fare quello che vogliono a casa dei Park. Sembrano aver raggiunto il loro obiettivo, ma poi succedono una serie di imprevisti (che non scriveremo).

Tratto da una storia vera, più o meno
Poco dopo aver compiuto vent’anni, Bong lavorò come insegnante privato di matematica per il figlio di una ricca famiglia di Seul. Trovò il lavoro grazie a quella che era la sua compagna e che ora è sua moglie, che già lavorava insegnando a quel ragazzo l’inglese. Bong ha spiegato che trovò il lavoro nonostante non fosse particolarmente bravo in matematica. Bong iniziò a pensare a un film di questo tipo nel 2013, mentre ancora stava girando Snowpiercer. Scrisse un soggetto di poco più di 15 pagine, trovò una casa di produzione coreana che gli finanziasse il film che ne avrebbe tratto e, prima di mettersi a girare Okja, chiese a un suo assistente di produzione di fare ricerche per ampliare quel soggetto (e, diciamo, per decidere quello che poi sarebbe diventato la seconda metà del film). Finito Okja, tornò a occuparsi di quello che sarebbe diventato Parasite. Quell’assistente di produzione era Han Jin-won, che questa notte ha vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura insieme a Bong.

Gianni Morandi
Nel film c’è una sua canzone: “In ginocchio da te”.

Gli spazi
Parasite gira in gran parte attorno a due luoghi: l’angusto e sporco seminterrato dei Kim, i poveri, e l’ampia ed elegante casa dei Park, i ricchi. Ci sono anche alcune notevoli scene all’esterno, ma non è un caso che Bong abbia raccontato di aver inizialmente pensato al film come a una possibile rappresentazione teatrale.

Entrambe le case sono state ricreate in un set e quindi costruite da zero apposta per il film. La casa dei Park è spaziosa e “ultra minimalista“: quando ci sono solo uno o due personaggi inquadrati, c’è tanto spazio intorno a loro; quando ci sono molti personaggi insieme è possibile mostrarli tutti nella stessa inquadratura. Nella casa dei Park c’è quindi anche spazio per nascondersi o spiarsi. Al contrario, sembra quasi che i Kim facciano fatica a entrare tutti nella stessa stanza, oltre che nella stessa inquadratura.

Ma è nella casa dei Park che si svolge la maggior parte del film. Il sito Architectural Digest ne ha parlato dal punto di vista estetico, definendola «semplice, elegante, moderna, piena di legno, vetro, silhouette e linee pulite». Il sito di cinema IndieWire, invece, ne ha approfondito le parti più cinematografiche, parlandone con lo scenografo Lee Ha Jun. Lee ha spiegato di aver «dato priorità ai punti e agli angoli di ripresa» e di averla progettata e poi realizzata partendo dalla sceneggiatura e sapendo già le necessità che Bong avrebbe avuto per certe scene. IndieWire parla della casa dei Park come di una delle «migliori realizzazioni della scenografia cinematografica contemporanea» e Bong ha raccontato che tutta la giuria del festival di Cannes – gente che di cinema se ne intende, come Alejandro Gonzalez Iñarritu e Yorgos Lanthimos – era convinta che fosse una vera casa.

Un altro spazio importantissimo per il film, e la cui ricorrenza è facile da notare, sono le scale: ma è una cosa che diventa ancora più evidente nella seconda metà del film, quella di cui abbiamo scelto di non parlare.

Regia, montaggio e fotografia
Per far sì che lo spettatore si metta a suo agio con la nuova casa, Bong usa in genere scene molto lunghe – il film ha 960 tagli, quando molti film d’azione, o thriller, possono arrivare ad averne il doppio – proprio perché gli ampi spazi permettono di seguire quel che succede girando o muovendo la cinepresa, e quindi senza fare stacchi tra un’inquadratura e l’altra. Nella casa dei Park le cineprese sono «disposte come le ossa di uno scheletro», ha scritto IndieWire.

Oltre ai tempi con cui viene scelto quando e come passare da un’inquadratura all’altra, ci sono anche i tempi del racconto, la scelta di quando far succedere quel che succede. Man mano che i Kim riescono con l’inganno a infiltrarsi tra i Park, potrebbe capitare di avere la sensazione di capire dove il film andrà a parare. A un certo punto, come abbiamo detto, i Park partono per il campeggio e i Kim restano soli a gustarsi la casa e il successo delle loro macchinazioni. Fino a quel momento il film è stato, secondo una definizione molto usata, una “satira sociale”; da lì in poi il film prende strade impreviste e scivola verso altri generi e registri. Bong ha raccontato che voleva far sì che Parasite fosse «una fine pioggerella» che piano piano cresce, «per diventare un tifone».

Bong ha raccontato a Entertainment Weekly che per riuscirci ha dovuto mettere in atto un «caos controllato», e creare quello che il New York Magazine ha definito «uno stato di costante e agitata trasformazione». Sempre parlando di Bong e della sua capacità di gestire tempi e registri diversi, A.O. Scott ha scritto sul New York Times che ha una «precisione tecnica senza pietà» e che «nei suoi film le azioni e le reazioni sono spesso sorprendenti, ma mai insensate», perché «i suoi personaggi hanno serietà, densità e grazia, oltre a una discreta dose di stupidità». Scott ha anche aggiunto che Parasite è «il film dell’anno» e che «Bong potrebbe essere il regista del secolo».

Nerdwriter1, popolare canale di YouTube di analisi cinematografica, ha analizzato in un video di otto minuti il “perfetto montaggio” di Parasite.

Che tipo è Bong?
Ne parlano tutti come di un tipo molto alla mano, e in effetti tutte le volte che è salito sul palco degli Oscar è riuscito a farsi notare: per come guardava il suo primo Oscar dopo averlo vinto, per qualche battuta sul fatto che dopo la cerimonia si sarebbe dato all’alcol, per l’uso di una traduttrice (anche lei una regista) e per il rispetto che ha per esempio mostrato nei confronti di Martin Scorsese e Quentin Tarantino.

https://twitter.com/cIemmie/status/1226686758362001408

Qualche mese fa Bong si era anche fatto notare per aver risposto così a chi gli chiedeva se avrebbe mai voluto dirigere un film della Marvel: «Ho un problema personale. Rispetto la creatività che serve per questi film, ma nei film così come nella vita vera non sopporto le persone che indossano abiti aderenti. Non li indosserei mai, e anche solo vedere qualcuno che li indossa mi riesce difficile. La maggior parte dei supereroi li indossa, quindi non potrei mai dirigere un film di supereroi». Cambiando argomento, i suoi 30 film preferiti sono questi.

Gli incassi
Per essere un film sudcoreano, Parasite ha avuto incassi ottimi: 165 milioni di dollari nel mondo. Solo in Italia, circa due milioni di euro. Si tratta comunque di cifre che aumenteranno, visto che come detto, sull’onda dei premi vinti, il film è tornato e tornerà in diversi cinema.

Diventerà una serie?
Già prima dell’Oscar, da circa un mese, si parla della possibilità che Parasite diventi una miniserie HBO, a cui Bong collaborerebbe con il regista, sceneggiatore e produttore Adam McKay. Ma è ancora tutto alle fasi iniziali, e molto potrebbe cambiare. Bong, comunque, ha già detto che non sarà un remake.

Per approfondire
Per chi legge in inglese: un articolo sul ritorno in Corea del Sud di Bong, dopo i suoi film americani; uno sull’inaspettato successo del film, uno su quelli che vivono davvero in appartamenti come quello dei Kim, un altro – molto lungo, di Vulture – in cui Bong disse: «Gli Oscar non sono un festival internazionale. Sono un evento molto locale».