• Mondo
  • Mercoledì 18 dicembre 2019

Oggi si vota per l’impeachment contro Trump

La Camera, controllata dai Democratici, deciderà se mettere il presidente in stato d'accusa: se ci saranno i voti, ed è quasi certo, al Senato inizierà il processo vero e proprio

(Drew Angerer/Getty Images)
(Drew Angerer/Getty Images)

Oggi alle 9 ora locale (le 15 italiane) inizierà la seduta della Camera statunitense in cui si voterà per ufficializzare la messa in stato d’accusa contro il presidente in carica, Donald Trump, accusato di abuso di potere e ostruzione ai lavori del Congresso in un complesso caso che riguarda l’Ucraina. L’impeachment è una procedura politica per rimuovere il presidente dalla propria carica, e funziona come un processo: se la Camera approverà le accuse contro Trump, nelle prossime settimane si terrà un vero e proprio dibattimento in Senato, al termine del quale un voto deciderà se rimuovere o no il presidente dalla Casa Bianca.

È per queste ragioni che la procedura di impeachment ha monopolizzato e continuerà a monopolizzare il dibattito politico americano, in un periodo fra l’altro molto delicato: a febbraio iniziano le primarie dei Democratici per trovare il candidato da opporre a Trump alle elezioni presidenziali del 2020, che si terranno a novembre.

Alla Camera, controllata dai Democratici, basta un voto a maggioranza semplice per ufficializzare l’impeachment, e ci sono pochi dubbi che oggi le due accuse verranno approvate. Al Senato, controllato dai Repubblicani, invece per rimuovere il presidente ci vogliono 67 voti su 100: i Democratici ne controllano soltanto 47, cosa che rende altrettanto probabile che i Repubblicani respingeranno la rimozione di Trump.

Ci si aspetta, insomma, che a meno di isolate eccezioni i parlamentari statunitensi votino seguendo le indicazioni di partito. Del resto l’impeachment è essenzialmente un processo politico: secondo l’interpretazione più accettata dai giuristi ha come obiettivo quello di individuare eventuali abusi di potere compiuti dal presidente degli Stati Uniti, ma i suoi termini sono così vaghi che il voto sarà pesantemente influenzato dalla popolarità di Trump fra i due elettorati (al momento è intorno al 5 per cento fra i Democratici, e al 90 per cento fra i Repubblicani). Sui fatti al centro delle accuse, infatti, ci sono pochissimi dubbi, come aveva riassunto alcune settimane fa Francesco Costa:

La storia per come la conosciamo oggi è questa, in estrema sintesi: tra la primavera e l’estate di quest’anno il presidente Donald Trump ha fatto pressioni sul neoeletto presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, perché aprisse un’indagine che danneggiasse uno dei suoi principali rivali politici, Joe Biden, approfittando dell’incarico ottenuto dal figlio di Biden, Hunter, nel consiglio d’amministrazione di una società ucraina (le accuse contro i Biden sono infondate).

Le pressioni esercitate da Trump hanno utilizzato la forza e gli strumenti della presidenza e della politica estera degli Stati Uniti: Trump ha fatto esplicitamente la sua richiesta a Zelensky durante una telefonata formale dallo Studio Ovale, dopo aver bloccato una tranche di aiuti economici e militari diretti all’Ucraina, e ha posto l’apertura dell’indagine come condizione per acconsentire a una visita ufficiale di Zelensky a Washington, dove il presidente ucraino stava cercando di essere invitato per legittimarsi davanti alla comunità internazionale. La campagna di pressioni è stata poi portata avanti – su indicazione di Trump – dal suo avvocato personale e alleato politico Rudy Giuliani, aprendo così un secondo informale canale della politica estera statunitense, di cui comunque varie persone della sua amministrazione erano a conoscenza.

Nelle scorse settimane alla Camera si sono tenute diverse audizioni di funzionari e diplomatici – alcuni dei quali nominati dalla stessa amministrazione Trump – che hanno sostanzialmente confermato le pressioni di Trump e Giuliani sull’Ucraina, con pochi distinguo. Eppure, i Repubblicani non hanno cambiato idea e difficilmente lo faranno nel corso del processo al Senato (che avranno modo di gestire, cioè di liquidare in pochi giorni). Nei giorni scorsi il leader dei Repubblicani al Senato Mitch McConnell ha fatto sapere che non sarà un «giudice imparziale» sulla vicenda, e ancora ieri Trump ha scritto una lettera aperta alla speaker della Camera, la Democratica Nancy Pelosi, per accusarla in sostanza di avere messo in piedi un processo fazioso nei suoi confronti.

Da parte loro i Democratici proveranno a usare il dibattito che precederà il voto di oggi alla Camera per fare ulteriore pressione ai Repubblicani: sono previsti diversi discorsi fra i quali alcuni di deputati moderati e neoeletti che hanno fondamentalmente tutto da perdere, nel sostenere le accuse contro Trump. Nelle ultime settimane il sostegno popolare per l’impeachment ha superato di poco i pareri contrari, aumento che ha coinvolto soprattutto gli elettori indipendenti (che cioè non sono registrati negli elenchi di nessun partito).

Nella notte fra mercoledì e giovedì la Camera terrà un voto separato per ognuno dei due capi d’accusa contro Trump, e poi terrà un ulteriore voto sui prossimi passaggi. Il più importante sarà decidere quando trasmettere ufficialmente gli atti dell’impeachment al Senato: al momento ci si aspetta che la Camera completi la sua parte entro Natale, e che il processo al Senato si svolga nei primi giorni di gennaio dopo la pausa per le feste.