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  • Giovedì 31 ottobre 2019

L’Italia vuole cambiare i patti con la Libia

Di Maio ha detto che proporrà delle modifiche all'accordo che serve a trattenere i migranti in Libia, ma senza stravolgerlo

(AP Photo/Hazem Ahmed)
(AP Photo/Hazem Ahmed)

Il governo italiano ha annunciato che intende rinnovare il controverso Memorandum d’intesa (PDF) firmato nel 2017 con il governo di unità nazionale libico guidato da Fayez al Serraj, proponendo alcune modifiche. Il Memorandum è ritenuto una delle principali misure con cui il governo italiano di centrosinistra guidato da Paolo Gentiloni riuscì a ridurre drasticamente le partenze di migranti dalla Libia. L’altra misura fu l’accordo con alcune milizie militari presenti in Libia, mai confermato dal governo ma raccontato da numerose inchieste giornalistiche. Il Memorandum era stato firmato nel febbraio 2017 e aveva una durata triennale.

Negli anni sia il Memorandum sia l’accordo con le milizie sono stati pesantemente criticati dagli esperti di diritti umani per varie ragioni, fra cui di fatto avere accettato che i migranti fossero trattenuti nei centri di detenzione libici fra violenze e torture, purché non partissero per l’Italia. In una interrogazione parlamentare tenuta ieri alla Camera, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha ammesso che il Memorandum può essere «modificato e migliorato», elencando alcune proposte che intende sottoporre al governo di Serraj, ma ha precisato che il governo non intende cancellarlo, come hanno chiesto alcuni esponenti dell’ala sinistra del Partito Democratico.

Cos’è il Memorandum
Nonostante un testo molto generico, il Memorandum servì soprattutto ad addestrare e fornire mezzi alla cosiddetta Guardia costiera libica, formata da milizie private spesso in combutta coi trafficanti di esseri umani, e finanziare quelli che il documento chiama «centri di accoglienza» in Libia. Il governo italiano non ha mai comunicato quanti soldi abbia speso per la cosiddetta Guardia costiera libica, né per i centri di detenzione: secondo un calcolo della ong Oxfam sono stati in tutto 150 milioni di euro: 43,5 nel 2017, 51 nel 2018 e 56 nel corso del 2019. A questi fondi vanno aggiunti quelli arrivati dall’Unione Europea, cioè 91,3 milioni per finanziare la Guardia costiera e altri 134,7 milioni per migliorare le condizioni dei migranti.

Il potenziamento delle attività della Guardia costiera e l’apertura di diversi centri di detenzione – che l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, che promosse il Memorandum, continua a chiamare «centri di accoglienza» – sono stati decisivi nel blocco della partenze. La prima misura ha permesso alla Guardia costiera di intercettare migliaia di migranti in mare, ed evitare che arrivassero nei pressi delle coste italiane. Secondo un calcolo del ricercatore dell’ISPI Matteo Villa dalla firma del Memorandum ad oggi almeno 38mila migranti sono stati fermati in mare e riportati in Libia; a partire dal luglio 2017, il primo mese in cui gli sbarchi calarono drasticamente, è stata intercettata più o meno la metà dei migranti che provavano la traversata.

L’apertura dei centri ha permesso invece alle autorità libiche di stipare i migranti in luoghi chiusi e controllati da personale armato. Al momento ne esistono 19, e secondo una stima citata dal Corriere della Sera ospitano fra i tremila e i seimila detenuti. Non è chiaro invece quanti vivano nei centri non ufficiali.

L’Italia e l’Unione Europea hanno ricevuto moltissime critiche per aver finanziato questi centri di detenzione. La Libia non ha mai ratificato la convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, e le leggi locali prevedono che chi entra irregolarmente nel territorio libico vada arrestato e processato. In realtà, spiega un rapporto dell’ONU pubblicato nel dicembre 2018, «la stragrande maggioranza di migranti e rifugiati viene incarcerata arbitrariamente senza essere incriminata», e mantenuta in condizioni spesso disumane.

Le condizioni variano da centro a centro e sono tendenzialmente disumane, molto al di sotto degli standard internazionali per i diritti umani. In molti centri i migranti e rifugiati vengono ammassati in capannoni o altre strutture inadatte ad essere abitate e caratterizzate da scarsa igiene, ventilazione e illuminazione inadeguate e accesso limitato ai bagni. […]

La maggior parte delle persone vive seduta su materassini o coperte sporche appoggiate sul pavimento, circondata da spazzatura e avanzi di cibo. In alcuni centri, abbiamo contato due o tre latrine intasate che venivano usate da centinaia di prigionieri. Questo comportava che gli ospiti defecassero e urinassero in bottiglie e secchi, quando disponibili, oppure nei capannoni. […] In alcuni centri la mancanza di cibo e acqua potabile ha causato problemi di diffusa malnutrizione. Gli ospiti si lamentano spesso della scarsa qualità e quantità del cibo: la loro dieta giornaliera si compone spesso di un piccolo pezzo di pane e di qualche carboidrato poco cotto – solitamente della pasta.

Le violenze nei centri sono all’ordine del giorno. I funzionari che formalmente gestiscono i centri per conto del ministro dell’Interno sono in combutta con i trafficanti, e la maggior parte dei migranti viene costretta a pagare un “riscatto” per poter partire, che spesso viene estorto dopo sessioni di torture oppure ottenuto dai parenti dei migranti. Chi non ha soldi viene costretto a lavori forzati. Nel caso delle donne, significa soprattutto essere esposte alla violenza sessuale o costrette alla prostituzione.

Cosa vuole fare il governo
Nella sua informativa alla Camera, Di Maio si è concentrato soprattutto sulla necessità di «migliorare l’assistenza dei migranti salvati in mare e le condizioni dei centri». Secondo fonti vicine al governo citate dal Corriere della Sera, le modifiche al Memorandum che Di Maio proporrà ai libici sono tre e riguardano soprattutto i centri di detenzione.

La prima sarà quella di «intensificare innanzitutto l’evacuazione e lo svuotamento dei centri di detenzione, attraverso la formula dei corridoi umanitari e dei rimpatri assistiti». I corridoi umanitari sono uno strumento per trasferire in Italia migranti particolarmente vulnerabili. Sono stati spesso indicati dagli ultimi ministri dell’Interno come soluzione efficace per contrastare l’immigrazione irregolare verso l’Italia, ma il grande non detto è che riguardano pochissime persone. Di Maio stesso ha riferito che dal 2017 ad oggi hanno riguardato 859 persone (26 persone al mese dalla firma del Memorandum).

I rimpatri volontari vengono invece gestiti soprattutto dall’OIM, l’agenzia dell’ONU che si occupa di migranti, e consentono in sostanza ai richiedenti asilo che hanno meno possibilità di ottenere una forma di protezione di tornare al proprio paese con un po’ di soldi. È una pratica piuttosto contestata dagli esperti di diritti umani, secondo cui i migranti vengono cinicamente posti di fronte alla scelta se accettare dei soldi per tornare in patria – rinunciando alla possibilità di chiedere protezione – oppure provarci comunque rischiando la vita. Nel 2019, secondo dati rimasti fermi ad aprile, 3,175 migranti sono stati rimpatriati dalla Libia con questo meccanismo.

Parallelamente allo svuotamento dei centri, il governo italiano chiederà all’ONU di «investire di più nelle soluzioni alternative alla detenzione, come i programmi urbani già attivi a Tripoli che prevedono l’erogazione di contributi per l’alloggio dei rifugiati», scrive il Corriere della Sera. In altre parole, il governo chiederà all’ONU di contribuire all’affitto di case e appartamenti da parte dei migranti. È una proposta quantomeno bizzarra, soprattutto se si considera che la Libia è in guerra civile dal 2011 e che negli ultimi mesi ci sono stati scontri con decine di morti proprio a Tripoli, dove il governo italiano vorrebbe evacuare i migranti ospiti dei centri.

La seconda proposta del governo prevede di rafforzare la presenza delle agenzie dell’ONU – l’OIM ma anche l’UNHCR, l’agenzia per i rifugiati – nei centri di detenzione libica. In passato Minniti si è spesso vantato di essere riuscito a fare entrare le organizzazioni internazionali nei centri più problematici. In realtà, come scrive la giornalista Annalisa Camilli su Internazionale, «le organizzazioni umanitarie hanno un accesso molto limitato», che si limita solo ad alcuni centri. La terza proposta sarà «un grande piano per l’Africa, con investimenti nei vari Paesi di provenienza dei migranti per favorire il loro ritorno in patria e l’inserimento nel circuito economico locale», cioè sostanzialmente una cosa che l’Unione Europea fa già da anni col suo Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa, che nel 2015 ha mobilitato circa 4 miliardi di euro in investimenti.

In un articolo di retroscena, Repubblica scrive anche che Di Maio avrebbe accettato una proposta del Partito Democratico che prevede l’apertura di alcuni hotspot in Libia che permettano di «registrare sul posto i richiedenti asilo e ridistribuirli con i corridoi umanitari» con l’aiuto dell’Unione Europea. È una proposta che circola da anni ma si è sempre scontrata con l’ostilità dei libici di accogliere nel proprio territorio una presenza italiana ed europea più strutturata di quella attuale. Non ci sono altre conferme sul fatto che Di Maio la proporrà ai libici.

Il governo diffonderà ulteriori informazioni sulle sue proposte e le trattative coi libici nell’informativa che la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese terrà alla Camera il 6 novembre.