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  • Venerdì 18 ottobre 2019

Ora su Brexit deve decidere il Parlamento britannico

Si vota sabato, ma non si sa ancora se Boris Johnson avrà i numeri: intanto i nordirlandesi del DUP lo hanno scaricato

Boris Johnson (Sean Gallup/Getty Images)
Boris Johnson (Sean Gallup/Getty Images)

Sabato il Parlamento britannico si riunirà in una sessione straordinaria per discutere e votare il nuovo accordo su Brexit trovato giovedì dal governo britannico guidato da Boris Johnson e dai negoziatori dell’Unione Europea. Sarà un momento molto importante nel processo di Brexit: se l’accordo dovesse essere approvato, Brexit sarebbe praticamente garantita il 31 ottobre: mancherebbero solo i voti del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo, che a quel punto sarebbero solo una formalità.

In caso di mancata approvazione, però, la situazione si complicherebbe molto: l’Unione Europea dovrà decidere come muoversi e il governo britannico valutare se chiedere un rinvio di Brexit – come tra l’altro impone una legge approvata a inizio settembre dal Parlamento – o se far succedere il “no deal”, l’uscita senza accordo, come Johnson ha promesso più volte in caso di bocciatura dell’accordo. Venerdì, comunque, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha detto che nel caso l’accordo fosse respinto un rinvio di Brexit sarebbe «inevitabile».

Al momento non si hanno certezze su quello che succederà al Parlamento britannico sabato, e non si sa se l’accordo avrà i numeri per passare. I giornali britannici hanno provato a fare alcune ipotesi, che vanno prese molto con le molle perché diversi parlamentari non hanno ancora espresso la propria preferenza e altri potrebbero cambiare idea. Il numero da tenere a mente è 320: sono i voti necessari per approvare l’accordo, che equivalgono alla maggioranza della Camera bassa del Parlamento britannico.

Una delle poche certezze sul voto di domani è che il DUP (Partito Unionista Democratico), alleato del governo Johnson, ha già detto che voterà contro l’accordo. Il DUP è un partito nordirlandese cosiddetto “unionista”, perché è a favore della permanenza dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito, contrapposto ai cosiddetti “nazionalisti” e “repubblicani” che invece vorrebbero l’unione con l’Irlanda. Nel Parlamento britannico, il DUP controlla 10 seggi.

Il DUP è contrario all’accordo perché crea una notevole differenza di trattamento tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord, con il rischio che l’Irlanda del Nord si stacchi progressivamente dal resto del paese e si avvicini di fatto verso l’unione con l’Irlanda. L’accordo prevede infatti che l’Irlanda del Nord rimanga all’interno del mercato unico europeo per quanto riguarda i beni, e che sul suo territorio vengano applicate in alcuni casi le regole doganali europee; per il resto del paese è prevista invece l’uscita sia dal mercato unico che dall’unione doganale europea alla fine del periodo di transizione, durante il quale Regno Unito e Unione Europea negozieranno gli accordi per regolare i loro rapporti futuri. In pratica, l’accordo di Johnson prevede che si crei un nuovo confine nel tratto di mare che divide Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

Ian Collins, ex attivista unionista citato dal New York Times, ha detto, riferendosi anche al conflitto trentennale combattuto tra unionisti e repubblicani: «Abbiamo combattuto guerre, migliaia di persone sono morte, per tenere l’Irlanda del Nord nell’unione; e ora, così come niente, siamo spinti verso la repubblica con un confine marittimo e una serie di regole differenti».

Considerata la posizione del DUP e il voto contrario ampiamente annunciato dal Partito Nazionale Scozzese (SNP, con 35 seggi), Johnson avrà bisogno di raccogliere voti da altre parti: dovrà assicurarsi l’appoggio di tutte le correnti del suo partito, il Partito Conservatore (287 seggi); dei 21 parlamentari conservatori “ribelli”, quelli che a settembre votarono insieme all’opposizione su una legge relativa al “no deal” e che furono espulsi dal gruppo parlamentare su decisione proprio del primo ministro; e di qualche membro dell’opposizione – laburisti o liberaldemocratici che si sono dimostrati disponibili a valutare le diverse opzioni.

Andrew Bridgen, uno dei membri dell’European Research Group (ERG), gruppo di parlamentari conservatori che vorrebbe un’uscita radicale del Regno Unito dall’Unione Europea, ha detto venerdì che la grande maggioranza di ERG voterà a favore dell’accordo, perché «è arrivata alla conclusione che sia tollerabile. Quello che non vogliamo è un secondo referendum». I parlamentari riconducibili a ERG sono 28. Anche alcuni dei 21 parlamentari conservatori “ribelli” hanno già annunciato che voteranno a favore dell’accordo di Johnson, ma non si conosce ancora il numero con esattezza.

Secondo Rowena Mason, giornalista politica del Guardian, i parlamentari di opposizione che potrebbero votare a favore dell’accordo sono 21, di cui la stragrande maggioranza laburisti. Il loro voto dipenderà soprattutto dalle garanzie fornite sui diritti dei lavoratori, sull’ambiente e sul peso che sarà dato al Parlamento riguardo ai negoziati sulle future relazioni con l’Unione Europea. Il loro, comunque, non è un voto sicuro: potrebbero subire pressioni dai dirigenti del Partito Laburista, la cui priorità è quella di bocciare a tutti i costi l’accordo di Johnson. Venerdì Jon Lansman, fondatore di Momentum, organizzazione laburista formata dai sostenitori del leader del partito, Jeremy Corbyn, ha detto che tutti i parlamentari laburisti che voteranno a favore dell’accordo potrebbero essere sostituiti da altri candidati alle prossime elezioni.

Mettendo insieme le varie posizioni dei partiti e considerando eventuali parlamentari “ribelli”, il Financial Times ha ipotizzato che alla fine l’accordo sarà bocciato per 321 voti contro 318: tra i favorevoli all’accordo, sono stati inseriti anche 7 laburisti e un liberaldemocratico. Sam Coates di Sky News è arrivato a conclusioni simili, prevedendo una distanza tra le due posizioni di pochissimi voti: tra i favorevoli all’accordo, Coates ha incluso anche 17 o 18 conservatori “ribelli”, qualche ex conservatore e laburista ora negli indipendenti e un numero non ancora chiaro di parlamentari laburisti.

Secondo una stima presentata da Cicero Group, agenzia di ricerche di mercato citata dal Guardian, se anche l’accordo fosse sostenuto da ERG, dai parlamentari laburisti che appoggiarono anche l’accordo di May e dagli ex conservatori ora indipendenti, Johnson perderebbe di cinque voti. Uno scenario diverso si avrebbe invece se più laburisti decidessero di votare insieme ai conservatori.

Comunque andrà a finire, l’impressione è che per Johnson sarà comunque una vittoria. Se l’accordo dovesse passare, Johnson diventerebbe il capo del governo che ha fatto succedere Brexit, come gli chiedevano molti parlamentari conservatori. Se dovesse essere bocciato, Johnson potrebbe dire di averci provato in tutti i modi, potrebbe dare la colpa del mancato accordo al Parlamento britannico e puntare a vincere facilmente nuove elezioni.