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  • Venerdì 27 settembre 2019

L’uomo che ha messo Trump nei guai

La persona che ha denunciato il contenuto della telefonata con il presidente ucraino è un agente della CIA, ha scritto il New York Times tra moltissime polemiche

Donald Trump (AP Photo/Evan Vucci)
Donald Trump (AP Photo/Evan Vucci)

L’uomo che ha messo nei guai il presidente statunitense Donald Trump è probabilmente un agente della CIA, l’agenzia d’intelligence per l’estero degli Stati Uniti, che era stato distaccato alla Casa Bianca, ha scritto giovedì sera il New York Times provocando una grande polemica. L’agente, di cui non si conosce l’identità, è il funzionario che – seguendo alla lettera le procedure previste dalla legge – ha denunciato ai suoi superiori il contenuto di una telefonata tra Trump e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky, la cui sintesi è stata diffusa mercoledì, e i successivi tentativi della Casa Bianca di nasconderla e insabbiarne il contenuto. La telefonata ha portato il Partito Democratico statunitense ad aprire una procedura di impeachment contro Trump, accusandolo di avere abusato del suo potere per ottenere informazioni imbarazzanti su Joe Biden, suo probabile avversario alle elezioni presidenziali del 2020.

Il New York Times è stato il primo giornale a rendere pubbliche alcune informazioni sul funzionario che ha fatto partire la denuncia. Ha scritto, citando alcune fonti rimaste anonime, che è un agente della CIA incaricato di lavorare alla Casa Bianca e che la sua denuncia fa pensare che sia un analista: «è evidente che conosce i particolari della politica estera statunitense in Europa, mostra una conoscenza approfondita della politica in Ucraina e una conoscenza almeno minima della legge».

Il New York Times è stato criticato molto per avere scelto di rivelare alcune informazioni sul funzionario che ha fatto partire la denuncia, visto che la procedura prevista in questi casi permette l’anonimato pubblico in modo da proteggere da eventuali ripercussioni chi decide di denunciare un comportamento che considera grave. Il giornale è stato accusato di averlo messo in pericolo per averlo reso più facilmente identificabile, soprattutto lo stesso giorno in cui il presidente Trump aveva minacciato pesanti ritorsioni, mentre se avesse deciso di non seguire la legge e limitarsi a parlare con la stampa gli sarebbe stato garantito il completo anonimato. In un evento privato della missione statunitense all’ONU, Trump aveva infatti detto che la persona che aveva fornito informazioni sulla sua telefonata con il presidente ucraino era «simile a una spia» e che «sapete come trattavamo ai vecchi tempi, quando eravamo in gamba, le spie e i traditori».

Ben Rhodes, ex consigliere dell’amministrazione Obama, ha scritto: «Sono molto sorpreso che il New York Times abbia sostanzialmente denunciato l’informatore in un articolo che non aggiunge niente a quello che già sapevamo, lo stesso giorno in cui il presidente ha minacciato ritorsioni». Zack Beauchamp, giornalista di Vox, ha scritto: «Non riesco a pensare a una sola buona ragione per il Times per pubblicare informazioni sull’identità dell’informatore». Norm Ornstein, analista politico del centro studi conservatore American Enterprise Institute, ha scritto: «È tempo di sostituire Dean Baquet», riferendosi al direttore del New York Times considerato responsabile della scelta di pubblicare informazioni sull’informatore.

Giovedì sera il New York Times ha specificato che la Casa Bianca era già a conoscenza di dove lavorava l’informatore. Dean Baquet ha spiegato inoltre che la decisione è stata presa dopo che Trump e alcuni suoi sostenitori avevano attaccato l’informatore descrivendolo come poco credibile. «Abbiamo deciso di pubblicare informazioni limitate sull’informatore – tra cui il fatto che lavora per un’agenzia non politica e che la sua denuncia sia basata su una profonda conoscenza e comprensione della Casa Bianca – perché vogliamo dare le informazioni necessarie ai lettori affinché si possano fare una loro idea sul fatto che sia o meno credibile».

A differenza di Trump, il funzionario facente funzioni di direttore dell’intelligence nazionale statunitense, Joseph Maguire (nominato da Trump), ha detto che l’informatore «ha agito in buona fede» e seguendo la legge, che «tutto quello che sta succedendo in questa storia è completamente senza precedenti». All’inizio Maguire era stato accusato di non avere inoltrato tempestivamente la denuncia contro Trump al Congresso, come previsto dalla legge nei casi «urgenti e importanti». Lui si è poi giustificato sostenendo che il ritardo fosse dovuto a un controllo ulteriore della documentazione, e secondo diversi giornali americani la trascrizione e la denuncia sono state rese pubbliche solo quando Maguire ha informato la Casa Bianca che altrimenti si sarebbe dimesso.