La sfilata di Gucci, “contro il potere”

La collezione disegnata da Alessandro Michele ha chiuso la Settimana della moda di Milano, iniziata mercoledì

Gucci, primavera/estate 2020, 22 settembre 2019
(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images for Gucci)
Gucci, primavera/estate 2020, 22 settembre 2019 (Vittorio Zunino Celotto/Getty Images for Gucci)

Domenica il marchio Gucci ha chiuso le sfilate della Settimana della moda di Milano, iniziata mercoledì 18 settembre, dove le più importanti aziende di moda italiane, ma non solo, hanno presentato le collezioni uomo e donna ready-to-wear (cioè gli abiti da portare ogni giorno) per la primavera/estate 2020. La sfilata, disegnata dal direttore creativo Alessandro Michele, era ambientata in una sorta di palazzo brutalista, spoglio e minimale, con una passerella animata che ricordava un po’ il nastro trasportatore della passata sfilata di Kim Jones da Dior, un po’ quelle degli aeroporti: «una scala stranamente animata che conduce al paradiso o a una sala d’attesa purgatoriale», come ha scritto The Cut.

La sfilata è stata presentata da Gucci come una riflessione sul potere, che non sarebbe più dispotico, concentrato e riconoscibile ma frammentato e comunque in grado di «imporre regole di comportamento che vengono interiorizzate dagli individui». Queste regole imposte dall’alto sono state rappresentate attraverso abiti da lavoro e camicie di forza, inseriti in apertura della sfilata esclusivamente per mandare un messaggio simbolico: infatti non faranno parte della collezione primavera/estate 2020, la quale è invece composta da 89 look diversi. Inoltre, è stato citato il filosofo Michel Foucalt e il suo concetto di biopolitica, con un conclusivo invito a resistere incoraggiando «la nascita di nuovi modi ed espressioni della personalità per sfuggire alla pressione delle norme sociali».

Quella presentata domenica è una delle collezioni più sensuali disegnate da Michele, con scollature, trasparenze e spacchi, ma è stata commentata anche per la sua discontinuità rispetto al passato: il lavoro di Michele fin qui si era caratterizzato per uno stile eccessivo e stravagante, la cosiddetta “Guccification”, mentre nella sfilata di domenica si è visto uno stile più pulito e raffinato. Come scrive Fashionista, il motivo di questa transizione è legato probabilmente a un’esigenza creativa di Michele, ma in parte anche al calo delle vendite di Kering, il gruppo che detiene il marchio Gucci.