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  • Lunedì 16 settembre 2019

L’intricato caso di Alex Schwazer

Il dibattimento del processo penale per doping ha confermato perplessità e sospetti su una vicenda anomala e per molti versi oscura

Alex Schwazer in conferenza stampa a Bolzano (Claudia Fornari/LaPresse)
Alex Schwazer in conferenza stampa a Bolzano (Claudia Fornari/LaPresse)

L’otto maggio del 2016 il marciatore italiano Alex Schwazer, allora trentunenne, partecipò alla sua prima gara dopo una squalifica per doping durata tre anni e nove mesi. Schwazer corse e vinse la cinquanta chilometri di marcia a Roma, facendo registrare un tempo di poco superiore a quello con cui nel 2008 vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi estive di Pechino. A Roma ottenne quindi la qualificazione per le imminenti Olimpiadi di Rio de Janeiro, a cui però non poté partecipare: il 10 agosto il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna lo squalificò per otto anni, ancora per doping.

Nonostante fosse stato sospeso per doping già a fine giugno, in agosto Schwazer era comunque volato in Brasile, sperando che una diversa decisione del TAS gli avrebbe permesso di gareggiare, cosa che però non avvenne.

Oggi Schwazer ha 34 anni ed è tornato a vivere nel suo paese natale, Calice di Racines, una frazione in provincia di Bolzano. Non è più un atleta professionista ma è rimasto nel mondo dello sport e allena podisti amatoriali. Il suo caso però non è finito. Di recente a Bolzano si è tenuto il dibattimento del processo penale per doping nei suoi confronti: le udienze in tribunale hanno confermato tutte le perplessità e i sospetti su una vicenda anomala e per molti versi oscura.

Alex Schwazer e il suo allenatore Sandro Donati in conferenza stampa nel 2016 (Claudia Fornari/LaPresse)

La mattina del giorno di Capodanno del 2016 due ispettori incaricati dalla IAAF – l’Associazione Internazionale di Atletica Leggera – si presentarono a casa di Schwazer per prelevare due provette di urina. Gli ispettori appartenevano a una società privata di Stoccarda incaricata quindici giorni prima dalla IAAF di eseguire il controllo.

Il 22 giugno dello stesso anno la federazione mondiale antidoping (WADA) comunicò alla Federazione Italiana di Atletica Leggera la positività riscontrata nei campioni di Schwazer. Questo fece partire l’iter della giustizia sportiva, che portò alla squalifica di otto anni e alla fine della sua carriera da professionista. Dopodiché iniziò anche un’indagine per frode sportiva a carico di Schwazer, condotta dalla procura di Bolzano. Schwazer presentò però un esposto in cui si dichiarò vittima di un complotto.

Il punto principale a cui ruota attorno il dibattimento del processo penale di Bolzano sono i campioni di urina, i quali vennero contro analizzati su richiesta della procura nel marzo del 2018. A circa due anni e due mesi di distanza dal prelievo, le contro analisi evidenziarono quantità anomale di DNA. L’urina della provetta A conteneva infatti 350 picogrammi per microlitro, mentre nella provetta B se ne trovarono 1.200. Secondo il Reparto investigazioni scientifiche dei Carabinieri, il valore della provetta B sarebbe anomalo, quindi non fisiologico, poiché la quantità media di DNA nelle urine stimata sulla popolazione non va oltre i 100 picogrammi per microlitro. Inoltre, secondo un recente studio statistico condotto nell’arco di un anno, la quantità di DNA nell’urina conservata diminuisce di circa il 70 per cento dopo sei mesi e di quasi il 90 per cento dopo un anno. Esiste insomma il fondato sospetto che l’urina di Schwazer sia stata manipolata.

Ad alimentare i dubbi dei RIS e della difesa sulla validità dei campioni di Schwazer si aggiungono poi le difficoltà avute nell’ottenerli dal laboratorio di Colonia, dove sono tuttora conservati. Il laboratorio consegnò infatti con un anno di ritardo prelievi di quantità minori rispetto a quanto inizialmente concordato con la WADA. Secondo il legale di Schwazer, il laboratorio di Colonia tentò anche di presentare una provetta falsa al rappresentante dell’autorità giudiziaria italiana, che la rifiutò. Risultano anomalie anche nel trasporto e nella conservazione delle provette: rimasero quasi un giorno intero a Stoccarda – nella sede della società privata che effettuò il prelievo – identificate dal nome dell’atleta e non dal codice alfanumerico previsto dalla prassi antidoping. Questo accadde perché i laboratori di Colonia erano chiusi in quei giorni di gennaio.

(LaPresse)

Nel corso dell’incidente probatorio al tribunale di Bolzano, WADA e IAAF hanno presentato un documento inedito e parziale relativo a un test antidoping di Schwazer datato 27 giugno 2016 nel quale viene indicata la presenza di 14.000 picogrammi per microlitro di DNA nelle urine, un valore esageratamente alto. In questo modo la WADA ha voluto dimostrare come Schwazer abbia sempre avuto quantità elevatissime e non comuni di DNA nelle urine, cosa che spiegherebbe i valori anomali nei prelievi. Il documento però era incompleto e sconosciuto alla difesa, che per questi motivi ne ha contestato la validità.

Le ipotesi più plausibili sulla questione relativa ai valori delle urine sono due: una possibile alterazione dovuta all’assunzione di sostanze dopanti da parte di Schwazer, o la manipolazione intenzionale delle provette dopo il prelievo di Capodanno. Il dibattimento di Bolzano è stato lungo e contestato da entrambe le parti. Dopo alcuni giorni di pausa, spetterà al pubblico ministero decidere come procedere, se chiedere il rinvio a giudizio di Schwazer per frode sportiva o archiviare l’accusa di doping e indagare sul presunto complotto.

Resta il fatto che la squalifica per doping di Schwazer è uno dei casi sportivi più complessi degli ultimi anni. L’atleta, presente in tribunale per le udienze, si dice innocente e determinato a provare la sua completa innocenza. Dello stesso parere è Sandro Donati, il suo ex allenatore, molto rispettato e noto nell’ambiente sportivo italiano per essere sempre stato molto duro nei confronti del doping. Donati aveva messo Schwazer sotto un regime di stretta sorveglianza medica per tutta la durata degli allenamenti in vista delle Olimpiadi del 2016. Dopo la positività, sostiene anche lui, con convinzione, la tesi del complotto.