Le prime cose di cui dovrà occuparsi il nuovo governo

L'aumento dell'IVA previsto per l'anno prossimo e i soldi da trovare per tagliare il "cuneo fiscale", ma anche la questione delle autonomie regionali e l'immigrazione

(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)
(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

Il secondo governo Conte è appena entrato in carica, ma deve già affrontare parecchie questioni importanti. Le più urgenti sono quelle economiche, anche perché tra breve inizierà la sessione di bilancio: il periodo che tra ottobre e dicembre che porterà all’approvazione della legge di bilancio per il 2020. Tra le altre cose, il governo dovrà trovare il denaro necessario a scongiurare gli aumenti automatici dell’IVA previsti per l’anno prossimo e quello per mantenere le sue promesse di ridurre le tasse pagate dai lavoratori.

– Leggi anche: Il programma definitivo di PD e Movimento 5 Stelle

Ma ci saranno anche questioni non strettamente economiche da affrontare: dall’autonomia regionale alla nuova legge sull’immigrazione fino al taglio del numero dei parlamentari. Ecco una breve guida per arrivare preparati alle scadenze e agli eventi politici che ci aspettano nei prossimi mesi.

La NADEF a fine settembre
Il primo appuntamento è probabilmente quello con l’approvazione della Nota di aggiornamento al DEF (detta anche “NADEF” per brevità), un documento che dovrà essere approvato entro il 27 settembre. Breve spiegazione: il DEF è il documento che contiene le intenzioni di spesa e le previsioni di crescita e di indebitamento del governo, insieme alla descrizione sommaria delle principali misure che il governo intende introdurre. Il DEF si presenta ad aprile e la nota di aggiornamento al DEF è sostanzialmente un suo aggiornamento che si presenta dopo l’estate.

L’ultimo DEF è stato scritto dal ministro dell’Economia del primo governo Conte, Giovanni Tria, ed era sostanzialmente un’ammissione di sconfitta della strategia di crescita del governo precedente. Il DEF prevedeva una crescita economica nulla (rispetto alle promesse di crescita superiore all’1 per cento dell’autunno precedente) e prometteva di recuperare le risorse per evitare l’aumento dell’IVA con un piano di privatizzazioni da 18 miliardi di euro, giudicato da molti irrealistico e mai realmente partito. Il nuovo ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, dovrà mettere mano su questi numeri, trovare nuove coperture e indicare grossomodo quale percorso il governo intende intraprendere in futuro.

La legge di bilancio
Se il DEF e la sua nota di aggiornamento sono un piano generale di cosa fare a medio termine, la legge di bilancio è il piano dettagliato di cosa il governo pensa di fare subito, il prossimo anno. Sarà con questa legge che il governo dovrà affrontare il problema economico principale: trovare i 23 miliardi di euro necessari ad evitare l’aumento automatico dell’IVA (a cui si aggiungono altri 4 miliardi di euro per le “spese indifferibili”, in particolari gli aumenti di spesa per reddito di cittadinanza e quota 100, le due più importanti misure approvate dal primo governo Conte che, l’anno scorso, furono erogate soltanto a partire dalla primavera).

Una parte delle risorse necessarie a scongiurare questo aumento arriverà probabilmente dai “risparmi” di spesa proprio per quota 100 e reddito di cittadinanza, due misure per cui ha fatto richiesta un numero di cittadini inferiore alle aspettative. È anche probabile che la Commissione Europea conceda all’Italia margini di flessibilità piuttosto ampi, senza contrattare duramente come fece l’anno scorso con il primo governo Conte: margini che a loro volta potranno essere usati per fermare l’aumento dell’IVA, sostanzialmente facendo nuovo deficit (cioè spendendo più di quanto incassiamo).

Questo clima migliore con la Commissione è in parte il frutto del cambio di presidente che sarà formalizzato nelle prossime settimane (da Jean-Claude Juncker a Ursuala Von der Leyen) e in parte dell’imminente recessione che sembra stia per arrivare in Europa: richiederà a tutti gli stati spese straordinarie per farvi fronte e spingerà la Commissione ad accettare margini di spesa più ampi del solito.

Non sono molti ad avere dubbi sul fatto che alla fine in un modo o nell’altro sarà possibile raccogliere sufficienti risorse per evitare gli aumenti IVA, ma bisognerà vedere se e quante risorse avanzeranno per le altre misure che il governo intende intraprendere. La principale sembra essere il taglio del “cuneo fiscale” – cioè la differenza tra quanto spende per ogni lavoratore un’impresa e quanto il lavoratore percepisce in busta paga – a favore dei lavoratori (alcune settimane fa si ipotizzava tramite un’estensione degli 80 euro), ma si parla anche di un aumento delle spese per l’università (il ministro Fioramonti ha già chiesto un miliardo di euro dicendo che altrimenti si dimetterà entro l’anno) e della spesa sociale.

Le autonomie
Un’altra questione complessa è quella delle autonomie regionali, la richiesta di maggiori competenze avanzata nel 2017 – in base al terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione – dalle regioni Lombardia e Veneto, tramite un referendum, e dalla regione Emilia-Romagna. Nel corso del primo governo Conte la Lega aveva preso a cuore la vicenda e aveva realizzato un primo piano di autonomia che sostanzialmente accoglieva tutte le radicali richieste di di Lombardia e Veneto.

Il piano era stato molto criticato, in particolare al Sud, ed era accusato di essere fortemente sbilanciato a favore delle regioni del Nord. Secondo i detrattori il piano avrebbe addirittura messo in pericolo l’unità del paese e non soltanto quella economica. Il piano, infatti, prevedeva di assegnare alle regioni anche la competenza su materie come istruzione e polizia, oltre a una fetta molto più ampia dei loro introiti fiscali. Il Movimento 5 Stelle ha di fatto bloccato la riforma, anche se a parole i suoi dirigenti hanno sempre dichiarato di essere a favore.

Il nuovo governo potrebbe trovare un punto di contatto tra le nuove forze di maggioranza nella proposta di autonomia della terza regione che ne ha fatto richiesta, l’Emilia-Romagna, l’unica guidata dal centrosinistra. La proposta del presidente Stefano Bonaccini ha una portata più ridotta rispetto a quelle di Veneto e Lombardia e, stando a quanto sostiene Bonaccini, non porterebbe a sostanziali modifiche nel trasferimento di risorse tra Nord e Sud. Per questa ragione molti ritengono che potrebbe essere più facilmente accettabile.

Il taglio dei parlamentari
PD e M5S sembrano aver raggiunto un compromesso su un altro punto potenzialmente controverso: il taglio del numero dei parlamentari. La riforma costituzionale che porterà al dimezzamento del numero di deputati e senatori è oramai arrivata all’ultimo voto parlamentare dei quattro necessari per le riforme costituzionali: manca solo un voto della Camera e la riforma sarà legge. La sua definitiva approvazione – alla quale potrebbe seguire un referendum – è stata posta dal Movimento 5 Stelle come questione necessaria per dare il proprio assenso alla nuova maggioranza, ma il PD non appare entusiasta all’idea di approvarla (nelle tre votazioni avvenute fino a questo momento aveva sempre votato contro).

Il compromesso raggiunto è accompagnare la riforma a una modifica della legge elettorale. Questa modifica, sostiene il PD, è fondamentale per evitare che il taglio del numero dei parlamentari causi dei problemi di rappresentanza. Nel dettaglio: mettendo insieme il numero minore di parlamentari e il meccanismo di elezione su base regionale al Senato, le regioni medio-piccole finirebbero con eleggere solo senatori dei partiti più grandi (è stato calcolato che la soglia di sbarramento effettiva salirebbe in alcune regioni dall’attuale 3 per cento fino al 30 per cento).

Stando all’accordo raggiunto dalle due forze politiche, questo compromesso sembra ora esteso fino ad includere altri aspetti di riforma costituzionale. Nel testo del programma di governo si legge infatti che il taglio dovrà essere accompagnato da «una riforma dei requisiti di elettorato attivo e passivo per l’elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati» e da «una revisione costituzionale volta a introdurre istituti che assicurino più equilibrio al sistema e che contribuiscano a riavvicinare i cittadini alle Istituzioni». Insomma, l’accordo sembra raggiunto su un programma abbastanza vasto da richiedere molto tempo per essere messo a punto – il che sembra essere un buon indizio per la stabilità del governo – ma la questione rimane comunque una delle più delicate.

L’immigrazione
La questione più spinosa di tutte rimane l’immigrazione, con la pesante eredità del governo precedente su questo tema. All’inizio delle trattative per la formazione del nuovo governo, il PD aveva posto tra le condizioni fondamentali per l’accordo una netta presa di distanza dalle politiche del governo precedente e la revisione dei due “decreti sicurezza”, le controverse leggi in materia di immigrazione e ordine pubblico volute dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. Il Movimento 5 Stelle, e in particolare il suo capo politico Luigi Di Maio, si sono rapidamente irrigiditi sul tema arrivando a dire che la cancellazione dei due decreti era «impensabile».

Dopo giorni di trattative nel programma di governo è emersa una posizione di compromesso. I “decreti sicurezza” saranno modificati, ma solo in base alle richieste – abbastanza modeste e “in punta di diritto“, come si dice in questi casi – fatte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. In cambio il PD sembra aver ottenuto la discussione di una nuova legge sull’immigrazione, o almeno di quella che il programma definisce «una organica normativa che persegua la lotta al traffico illegale di persone e all’immigrazione clandestina, ma che – nello stesso tempo – affronti i temi dell’integrazione». La scelta molto attenta delle parole in questo paragrafo del programma lascia supporre che tra i due partiti ci siano ancora molte differenze, che su questo tema potrebbero creare nuovi problemi all’azione di governo.