L’ultima persona uccisa cercando di attraversare il muro di Berlino

Si chiamava Chris Gueffroy, aveva vent’anni e morì circa sei mesi prima la caduta del muro

Una foto di Chris Gueffroy sulla sua tomba, a Berlino (Christoph Soeder/picture-alliance/dpa/AP Images)
Una foto di Chris Gueffroy sulla sua tomba, a Berlino (Christoph Soeder/picture-alliance/dpa/AP Images)

Intorno alla mezzanotte tra il 5 e il 6 febbraio del 1989, Chris Gueffroy e Christian Gaudian provarono a scavalcare il muro di Berlino, per fuggire dalla Germania est verso la Germania ovest. Nel punto dove attraversarono, la prima recinzione che dovettero superare muro era alta circa tre metri: i due riuscirono a oltrepassarla ma furono fermati prima che scavalcassero una seconda recinzione di metallo, che li separava dalla Germania ovest. Le guardie di confine spararono, Gaudian fu ferito e arrestato – venne rilasciato mesi dopo, quando il muro era caduto, grazie a un accordo tra i governi dei due paesi –, Gueffroy morì, diventando l’ultima persona uccisa mentre cercava di attraversare il muro di Berlino.

Il sito Chronik Der Mauer, che raccoglie le storie personali di tutte le persone morte cercando di superare il confine, scrive che Gueffroy, una volta finita le scuole superiori, si era rifiutato di prestare servizio nell’esercito nazionale della Repubblica Democratica Tedesca (Ddr), e questo gli aveva impedito di iscriversi all’università. Quando, a gennaio del 1989, decise di tentare la fuga verso la Germania ovest, Gueffroy aveva 20 anni, e lavorava come cameriere. La paga era buona, per gli standard della Germania orientale, ma Gueffroy raccontava spesso a sua madre gli episodi di corruzione legati alla gestione del locale a cui assisteva ogni giorno, e quanto questi episodi lo disgustassero. Inoltre, trovava sempre più insopportabile la prospettiva di restare per sempre in un Paese che non gli concedeva la libertà di decidere da solo dove vivere. Il suo amico Christian Gaudian la pensava lo stesso modo.

I due si convinsero definitivamente di tentare la fuga quando Gueffroy venne a sapere che presto sarebbe stato arruolato nell’esercito. Richiedere un visto per lasciare legalmente il Paese – anche temporaneamente – comportava controlli molto severi da parte dell’autorità e nel loro caso non avrebbe probabilmente funzionato; per questo Gueffroy e Gaudian decisero di tentare di superare il muro di notte, come in tantissimi avevano provato a fare negli anni precedenti, con fortune alterne. A incoraggiarli nella loro decisione – pare – fu anche la diceria che alle guardie di frontiera fosse stato proibito di sparare ai fuggitivi.

La sera del 5 febbraio 1989, i due ragazzi lasciarono l’appartamento che condividevano intorno alle 9 di sera, dopo aver detto ad amici e parenti che sarebbero partiti per una vacanza a Praga. Alle 10 e 30 raggiunsero il giardino “Harmonie”, nel distretto di Treptow, dove, nascosti in un capanno degli attrezzi, poterono osservare l’area di confine in attesa del momento giusto per tentare lo scavalcamento del muro. Circa un’ora più tardi riuscirono a scavalcare il muro di recinzione intorno al Britzer Zweigkanal, un canale lungo cui passava il confine tra Berlino est ed ovest, aiutandosi con due arpioni fatti in casa. Una volta scavalcato il muro, però, Gueffroy e Gaudian attivarono un allarme acustico e luminoso e non riuscirono a superare l’ultima barriera, una recinzione metallica. Le guardie di confine spararono, ferendo Gaudian e uccidendo Gueffroy.

In molti, inclusa la madre di Gueffroy, quella sera sentirono gli spari, senza però sapere a chi fossero indirizzati. La donna seppe che suo figlio era morto solo la sera di due giorni dopo, quando la Stasi, la polizia segreta della Germania est, la convocò per interrogarla, dicendole però che suo figlio era stato ferito in un attacco alla zona militare della Germania est, ed era morto nonostante le immediate cure mediche ricevute. Le autorità della Germania est cercarono di non rendere la morte di Chris Gueffroy un fatto di dominio pubblico, ma il fratello fece pubblicare al giornale orientale “Berliner Zeitung” un necrologio del fratello, in cui si parlava di un “tragico incidente” avvenuto 6 febbraio, e i media occidentali collegarono quel necrologio agli spari che anche nella Berlino ovest in molti avevano sentito nella zona di confine.

Il funerale di Chris Geoffroy, il 23 febbraio del 1989. La seconda persona da destra è sua madre Karin Geoffroy (AP Photo)

Nonostante le autorità continuassero a definire la morte di Gueffroy un incidente, i giornali occidentali e le opposizioni della Germania est parlavano apertamente di omicidio. Ai funerali, che si tennero il 23 febbraio, parteciparono circa 100 persone, ma pochi giornali occidentali riuscirono a inviare reporter per documentarli. La morte di Gueffroy ebbe l’effetto di isolare il Partito Socialista Unitario di Germania al potere nella Ddr. Il 3 aprile 1989 il segretario del partito Eric Honecker revocò ufficialmente l’ordine di sparare a chi cercava di superare il muro, un ordine di cui fino a quel momento aveva negato l’esistenza.

Dopo la caduta del muro, il 12 gennaio 1990, Karin Gueffroy presentò denuncia contro ignoti al pubblico ministero della Germania dell’est. Dopo la riunificazione, il caso passò alle autorità della nuova Germania riunificata e, il 20 gennaio 1992, la Corte di Berlino condannò a tre anni e mezzo di carcere solo uno dei quattro uomini indagati per l’omicidio, Ingo H. La Corte Federale di Giustizia, però, ribaltò il verdetto il 14 marzo del 1994, e criticò la Corte di Berlino per non aver tenuto abbastanza in considerazione il fatto che le guardie erano in fondo alla gerarchia militare, e potevano in un certo senso considerarsi esse stesse vittime del regime. Questa posizione divenne un precedente per gli altri processi in corso nei confronti delle guardie che avevano ucciso persone che cercavano di oltrepassare il confine. In tutto, tra il 1961 e il 1989 si stima siano morte almeno 140 persone nel tentativo di superare il muro.

Questo e gli altri articoli della sezione La fine del Muro di Berlino sono un progetto del corso di giornalismo 2019 del Post alla scuola Belleville, progettato e completato dagli studenti del corso.