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  • Venerdì 12 luglio 2019

L’elezione di von der Leyen è in bilico

La candidata presidente della Commissione Europea dev'essere formalmente nominata dal Parlamento Europeo, che sta facendo il difficile

(AP Photo/Francisco Seco)
(AP Photo/Francisco Seco)

Martedì 16 luglio il Parlamento Europeo terrà un voto sull’elezione di Ursula von der Leyen a nuova presidente della Commissione Europea. Il suo nome era venuto fuori alla fine di un lunghissimo negoziato in sede di Consiglio Europeo, l’organo che riunisce i capi di stato e di governo dell’UE, ma secondo quanto prevedono i trattati europei deve essere confermato dalla maggioranza dei parlamentari europei. Secondo le informazioni trapelate in questi giorni la nomina di von der Leyen è però in bilico, e moltissimo dipenderà da come la candidata si muoverà nei prossimi giorni e soprattutto durante il dibattito che precederà il voto, in programma martedì mattina.

I principali ostacoli alla nomina di von der Leyen sono tre.

Il primo riguarda il fatto che molti parlamentari europei, soprattutto i più legati all’istituzione, sono seccati dal fatto che per scegliere il nuovo presidente il Consiglio abbia messo da parte il meccanismo dello spitzenkandidatsecondo cui il nuovo presidente dev’essere scelto fra i “candidati di punta” espressi dai partiti europei prima delle elezioni.

Il secondo ostacolo è di natura istituzionale: il compromesso su von der Leyen è stato trovato in Consiglio da funzionari e staff dei capi di stato e di governo. Molti parlamentari europei si considerano indipendenti dai governi, soprattutto quelli eletti con partiti che non sostengono il governo nel proprio paese, e rivendicano di votare come meglio credono. È vero che sia in Consiglio sia in Parlamento il lavoro passa soprattutto dalle famiglie politiche della maggioranza – Popolari, Liberali, Socialisti e così via – ma non sempre il coordinamento fra i membri delle due istituzioni funziona perfettamente: i capi di governo dei Popolari potrebbero ragionare in maniera diversa dai parlamentari europei che appartengono ai Popolari, per esempio, e negli ultimi anni si sono viste varie fratture del genere.

Il terzo ostacolo è di natura politica e riguarda soprattutto il programma della prossima Commissione. Da giorni von der Leyen sta trattando con le varie famiglie politiche per ottenere il loro voto, e ciascuna si sente libera di chiedere qualcosa in cambio.

I Verdi, per esempio, avevano chiesto a von der Leyen politiche molto ambiziose sulle emissioni di gas serra, chiedendo una riduzione del 55 per cento rispetto ai valori del 1990 (come del resto proposto dall’intero Parlamento Europeo nel 2018). Von der Leyen aveva inizialmente proposto un taglio del 40 per cento, poi aumentato fino al 50 per cento, cosa che però non ha soddisfatto i Verdi. Per questa ragione e per «l’assenza di proposte concrete sullo stato di diritto o il cambiamento climatico», i Verdi hanno già annunciato che voteranno contro la nomina di von der Leyen.

I Popolari, invece, hanno già fatto capire che sosterranno von der Leyen in maniera compatta: del resto von der Leyen è iscritta alla CDU, il partito di centrodestra della cancelliera tedesca Angela Merkel, il più potente interno alla famiglia europea dei Popolari. Stanno ancora trattando con von der Leyen, invece, le altre due principali famiglie politiche europee: i Socialisti (che nel Parlamento Europeo esprimono il gruppo S&D) e i Liberali, riuniti nel gruppo Renew Europe (RE). Politico scrive che negli ultimi giorni i due partiti «stanno facendo a gara per chi farà più il difficile nei confronti della candidatura di von der Leyen».

Mercoledì 10 luglio von der Leyen ha incontrato i parlamentari dell’S&D, e sembra che l’incontro sia andato piuttosto male. La capogruppo spagnola Iratxe García ha precisato che il gruppo ha avanzato «proposte molto concrete», ma che «non abbiamo ricevuto risposte sufficienti». Anche i principali parlamentari italiani della delegazione Socialista, su tutti Carlo Calenda e Patrizia Toia, si sono detti delusi. Calenda ha spiegato ad ANSA che von der Leyen «è sembrata piuttosto deludente sui temi fondamentali: superamento di Dublino, flessibilità per investimenti, stato di diritto, migration compact e altre cose». «A essere benevoli è stata evasiva», ha spiegato Toia: «questo primo incontro lascia più vuoti che risposte». Una certa ostilità alla candidatura di von der Leyen sembra esserci anche tra i Socialisti belgi, olandesi e greci.

Von der Leyen ha cercato di cedere su alcuni temi: per esempio ha promesso che promuoverà l’introduzione di un salario minimo in tutti i paesi dell’Unione, una battaglia molto cara alla famiglia politica Socialista.

Fra i più critici ci sono stati soprattutto i parlamentari tedeschi, che proprio mercoledì hanno diffuso un documento di due pagine per spiegare perché a loro giudizio von der Leyen è inadeguata per l’incarico di presidente della Commissione Europea. La loro opposizione si basa soprattutto su una ragione di consenso interno: da anni i Socialdemocratici tedeschi governano insieme alla CDU di Merkel, e gli analisti ritengono che il compromesso sia costato loro moltissimi consensi. Di conseguenza, ultimamente ogni occasione è buona per smarcarsi dalla CDU: i Socialdemocratici tedeschi erano così ostili a von der Leyen – sin da quando il suo nome aveva iniziato a circolare – che Merkel è stata l’unica leader del Consiglio Europeo ad astenersi durante la votazione finale sulla sua candidatura.

Anche i Liberali di RE hanno elencato una serie di condizioni necessarie per appoggiare von der Leyen. In una lettera resa pubblica dal capogruppo Dacian Cioloș, insistono soprattutto sull’introduzione di un meccanismo di sanzioni per i paesi che non rispettano le leggi europee sullo stato di diritto – come Ungheria e Polonia, per intenderci – e sulla nomina della loro ex spitzenkandidat Margrethe Vestager a vicepresidente della Commissione «sullo stesso piano di Frans Timmermans», che secondo l’accordo di compromesso trovato dal Consiglio dovrebbe mantenere il suo incarico di primo vicepresidente della Commissione.

La situazione è piuttosto fluida: un funzionario del Parlamento ha spiegato a Politico che al momento l’aula sembra divisa più o meno in tre parti uguali: un terzo ha già deciso di votare a favore, un altro terzo di votare contro, e un altro terzo appare indeciso. Gli indecisi potrebbero votare a seconda di come andrà il dibattito di martedì mattina: «se von der Leyen andrà male come ha fatto finora, non ce la farà», ha spiegato lo stesso funzionario.

Facciamo un po’ di conti. Per essere eletta von der Leyen dovrà essere votata dalla maggioranza assoluta dell’aula, cioè la metà dei deputati più uno: significa che deve ricevere almeno 374 voti (espressi a scrutinio segreto). 182 voti von der Leyen li otterrà dai Popolari. Secondo un calcolo di Politico, fra i 154 parlamentari dei Socialisti e i 108 dei Liberali, 86 voteranno per von der Leyen dietro la pressione del proprio governo nazionale. Arriviamo a 268 voti, 106 in meno di quelli necessari per ottenere la maggioranza assoluta. È per via di questi calcoli che von der Leyen sta incontrando anche le famiglie e i gruppi parlamentari che non fanno parte della maggioranza.

Martedì von der Leyen ha incontrato il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), il gruppo euroscettico di cui fanno parte fra gli altri la destra polacca di Diritto e Giustizia, i Conservatori britannici e Fratelli d’Italia. Una fonte interna a ECR ha raccontato a Euractiv che il gruppo è diviso sull’eventuale sostegno a von der Leyen. I paesi del gruppo di Visegrad – Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia – in sede di Consiglio avevano appoggiato la sua candidatura, ma solo perché la consideravano migliore di quella di Frans Timmermans, che nei suoi anni da vicepresidente della Commissione ha gestito il dossier relativo alle derive autoritarie dei paesi dell’est. Eunews racconta che durante l’incontro con ECR, von der Leyen «sullo stato di diritto non avrebbe convinto i polacchi di Diritto e Giustizia», cioè la principale componente del gruppo.

Un po’ a sorpresa, von der Leyen potrebbe ricevere l’appoggio della Lega e del Movimento 5 Stelle, i due partiti al governo in Italia che nelle prime settimane della legislatura si sono trovati isolati in Europa (la Lega è stata esclusa da ogni carica, anche cerimoniale, perché parte del gruppo dell’estrema destra; il Movimento 5 Stelle si è semplicemente trovato senza alleati). La Lega incontrerà von der Leyen la prossima settimana nell’ambito di un dibattito col suo gruppo politico, Identità e Democrazia (ID): il loro capogruppo ha già lodato von der Leyen per il suo «atteggiamento cooperativo». Il Movimento 5 Stelle ha già incontrato von der Leyen descrivendo l’incontro come «positivo»: «lei ha puntualizzato alcune delle priorità del suo impegno che sono anche le nostre, come quella per il salario minimo europeo e una visione dell’Europa e dell’Italia sui flussi migratori che condividiamo», ha spiegato la capogruppo del M5S Tiziana Beghin al Fatto Quotidiano. In tutto Lega e M5S controllano 42 seggi.

In molti ipotizzano che i due partiti italiani, soprattutto la Lega, in cambio del loro appoggio chiedano un ruolo importante per il commissario italiano nella prossima Commissione (secondo i trattati europei ogni paese deve esprimere un commissario). Non è chiaro se von der Leyen sia disposta a cedere su questo punto, anche perché la questione non dipende totalmente da lei: ciascun candidato alla Commissione deve superare una severa audizione del Parlamento Europeo che in passato ha già costretto vari governi a cambiare la loro candidatura.

Eventuali concessioni alla Lega, ai polacchi, al Movimento 5 Stelle, o più in generale alle forze euroscettiche che non fanno parte della maggioranza avranno delle conseguenze sulla composizione della prossima Commissione: «alla fine von der Leyen non avrà problemi ad ottenere una maggioranza», ha spiegato ad Euractiv una fonte dell’S&D: «ma dal punto di vista politico sarà importante capire quale colore avrà questa maggioranza».

Al momento, in effetti, gli scenari più probabili sono due: von der Leyen potrebbe essere eletta con l’aiuto di partiti esterni alla maggioranza, complicando ulteriormente il gioco di incastri che si farà in estate per formare la nuova Commissione, oppure il voto sulla sua nomina potrebbe essere rimandato a mercoledì 17 o addirittura alla plenaria di settembre. Nel caso remoto che il Parlamento respinga la sua candidatura, il Consiglio avrebbe un mese di tempo (articolo 17, comma 7 del Trattato sull’Unione Europea) per trovare un altro candidato.