La prima cosa che deve fare il nuovo Parlamento Europeo

Bisogna occuparsi del nuovo bilancio pluriennale, che conterà fino al 2027: "cambiare l'Europa", quella cosa lì

di Daniele Viotti*

(Christopher Furlong/Getty Images)
(Christopher Furlong/Getty Images)

*L’autore è stato europarlamentare del Partito Democratico e relatore generale del bilancio annuale dell’Unione Europea 2019 in rappresentanza del Parlamento europeo. L’articolo è stato scritto con il contributo di Matteo Cavallo.

La prima ed importantissima partita che si giocherà nella nona legislatura del Parlamento europeo, che inizierà ufficialmente il 2 luglio, sarà quella del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027. Parliamo del bilancio pluriennale dell’Unione, composto per oltre l’80 per cento da trasferimenti provenienti dagli stati membri e per la restante parte da risorse proprie dell’UE provenienti dai proventi dell’unione doganale europea: avrà un valore di oltre mille miliardi di euro e definirà le principali priorità di spesa dell’Unione europea – e quindi quelle politiche – per i prossimi sette anni.

Come dichiarato di recente dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, «i bilanci non sono semplici esercizi di contabilità: riflettono le nostre priorità e la nostra ambizione. Traducono il nostro futuro in cifre. Quindi innanzitutto parliamo dell’Europa che vogliamo». La definizione del nuovo bilancio pluriennale, quindi, sarà una tappa fondamentale per decidere la direzione e la sorte di un’Europa che oggi a molti appare fredda e sempre più lontana dai propri cittadini, e che invece potrebbe cogliere l’opportunità per costruire il proprio futuro attorno a priorità nuove come l’ambiente e il sociale.

Nell’ultima legislatura non siamo riusciti ad approvare il nuovo bilancio fino al 2027: spetterà ai nuovi membri occuparsene, e per facilitare il loro lavoro – e spiegare ai cittadini europei su cosa stavamo lavorando – ho lasciato un testo che contiene indicazioni molto dettagliate, se avranno la pazienza e la volontà di seguirle.

Come funziona il bilancio pluriennale
Gli attori che determinano il bilancio pluriennale sono tre: la Commissione Europa, che avanza una prima proposta, il Parlamento Europeo, che la interpreta e la modifica come ritiene, e infine il Consiglio, cioè l’organo dove siedono i rappresentanti dei vari paesi. Proprio perché rappresenta i governi dei singoli stati, cioè le entità che devono concretamente coprire di tasca propria ogni aumento della spesa, il Consiglio è storicamente poco propenso ad accogliere le richieste relative all’aumento dei contributi che arrivano da Parlamento e Commissione, gli organi comunitari per eccellenza.

Nonostante gli sforzi della Commissione e del Parlamento per adottare il nuovo bilancio pluriennale prima delle elezioni europee, il Consiglio non ha accettato un accordo di compromesso e ha rimandato l’avvio delle negoziazioni all’autunno 2019, a pochi mesi dall’insediamento della nuova legislatura. I neo-eletti al Parlamento europeo saranno dunque chiamati alla difficile impresa di difendere le proposte del Parlamento in un processo decisionale asimmetrico, che fra l’altro pone il Consiglio in una posizione dominante.

Il bilancio pluriennale viene approvato attraverso una procedura legislativa speciale stabilita dall’articolo 312 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che prevede che il Consiglio adotti il regolamento sul bilancio pluriennale all’unanimità, previa approvazione a maggioranza assoluta del Parlamento europeo, senza che quest’ultimo possa emendare la proposta (di anno in anno si possono poi fare alcune modifiche, ma senza uscire più di tanto dal tracciato iniziale).

Per queste ragioni il nuovo Parlamento non dovrà farsi trovare impreparato e dovrà dimostrare da subito tutte le proprie capacità negoziali nell’intento di raggiungere un accordo ambizioso. Un buon precedente in questo senso è rappresentato dall’accordo raggiunto lo scorso dicembre sul bilancio annuale dell’UE per l’anno 2019, concordato sia dalle forze Popolari (di centrodestra) sia da quelle Socialiste (di centrosinistra).

Un primo problema: quanto spendere
Dopo un durissimo negoziato con il Consiglio, sfociato nel fallimento del primo comitato di conciliazione (quello che trova il compromesso finale fra Consiglio e Parlamento), il Parlamento riuscì in extremis ad ottenere quello che ritengo uno dei bilanci più ambiziosi della storia dell’Unione europea, che ha investito ingenti risorse nelle politiche ambientali e nella lotta ai cambiamenti climatici, nelle politiche sociali, nelle politiche giovanili e nella ricerca e innovazione.

La prima via tracciata dal bilancio del 2019 riguardava l’aumento a livello globale delle risorse disponibili. In termini di aumenti, il bilancio del 2019 aveva raggiunto la cifra record di 943 milioni supplementari rispetto alla proposta della Commissione europea, mentre l’intero pacchetto del bilancio aveva raggiunto una dotazione complessiva di 165,8 miliardi di euro (+3,2 per cento rispetto al bilancio per il 2018), che lo rendeva il più alto degli ultimi anni.

Proprio il livello globale dei contributi degli Stati membri è oggi il punto più controverso tra Consiglio, Commissione e Parlamento per quanto riguarda il bilancio pluriennale. Attualmente il livello è fissato all’1 per cento del PIL dell’Unione europea. Si tratta di una cifra alquanto modesta se si considera che in media il bilancio nazionale degli stati raggiunge il 45 per cento del PIL e quello di uno stato federale come gli Stati Uniti il 25 per cento.

Nel progetto di bilancio pluriennale, la Commissione ha previsto un aumento che permetta di raggiungere il livello globale dell’1,08 per cento. Il Parlamento, dal canto suo, ha alzato la posta proponendo di raggiungere quantomeno l’1,3 per cento. Il Consiglio però sembra non condividere questo parere, e su questo punto sono saltate le trattative degli scorsi mesi.

Per cosa spendere questi soldi
Entrando nel merito della proposta del Parlamento per quanto riguarda il nuovo bilancio pluriennale, le priorità di spesa coincidevano con quelle individuate nel bilancio annuale 2019 su alcuni macro-temi: l’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici; la costruzione di regole comuni europee per i diritti sociali e le politiche giovanili (il cosiddetto pilastro sociale); la ricerca e l’innovazione e le politiche d’investimento; le politiche migratorie e la politica estera e di difesa.

Per quanto riguarda l’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici, il bilancio del 2019 aveva raggiunto per la prima volta l’obiettivo che l’UE si era prefissata per il periodo 2014-2020, ovvero quello di destinare il 20 per cento delle risorse del proprio bilancio all’azione per il clima. Sulla scia dei miglioramenti ottenuti, la Commissione ha proposto per il bilancio pluriennale di elevare ulteriormente il target, incrementando il livello di spesa al 25 per cento. Ancor più ambiziosa è stata la posizione del Parlamento, che si pone l’obiettivo di raggiungere il 30 per cento al più tardi entro il 2027. La definizione di standard elevati risulta oggi vitale per rispettare gli impegni sottoscritti con gli accordi di Parigi del 2015 e per permettere all’Unione europea di continuare a vestire i panni di leader nella lotta ai cambiamenti climatici.

Nel tentativo di invertire la rotta, il bilancio annuale del 2019 aveva dedicato particolare attenzione a tre elementi principali, che figurano oggi tra le priorità del prossimo bilancio pluriennale secondo la proposta del Parlamento.

Per prima cosa, un forte aumento delle risorse destinate al programma Erasmus+, il principale programma europeo per l’istruzione e la formazione dei giovani cittadini. Grazie ad aumenti pari a 240 milioni, nel 2019 Erasmus+ aveva raggiunto una dotazione totale di 2,9 miliardi contro i 2,3 del bilancio 2018: significa che quest’anno sarà possibile finanziare circa 260mila borse di studio in più rispetto al 2018. Per il bilancio pluriennale, nel solco del bilancio 2019, il Parlamento ha reclamato un aumento del 200 per cento delle risorse con l’obiettivo di destinare a Erasmus+ oltre 41 miliardi, a fronte della proposta della Commissione che prevedeva un incremento del 77 per cento delle risorse e una dotazione di oltre 26 miliardi.

Il secondo programma su cui il Parlamento punta per costruire un’Europa più sociale e attenta ai giovani è l’Iniziativa per l’occupazione giovanile (Youth Employement Initiative, YEI), il programma che ha come obiettivo garantire che tutti i giovani di età inferiore ai 25 anni possano ottenere un’offerta qualitativamente valida di occupazione, formazione permanente, apprendistato o tirocinio entro quattro mesi dalla fine degli studi o dall’inizio del periodo di disoccupazione. Dal 2014 più di 16 milioni di giovani sono entrati nel programma a livello europeo, tra cui 1,3 milioni in Italia nel programma cosiddetto “Garanzia giovani”.

Nel bilancio del 2019 il Parlamento era riuscito a strappare un aumento di 116 milioni, mentre per il prossimo bilancio pluriennale lo stesso Parlamento propone che la dotazione destinata alla YEI sia quantomeno raddoppiata rispetto agli 8,8 miliardi destinati nel bilancio 2014-2020.

Infine, la proposta forse più ambiziosa avanzata dalla scorsa legislatura del Parlamento europeo nel campo del sociale è rappresentata dall’introduzione di una Garanzia per l’Infanzia, la cosiddetta Child Guarantee, che destini quasi 6 miliardi in 7 anni per il grande obiettivo di eliminare la povertà infantile nel continente europeo. Sarebbe una piccola rivoluzione per l’Europa nel campo delle politiche sociali, che permetterebbe di garantire un futuro migliore agli oltre 25 milioni di bambini europei che oggi vivono in condizioni di povertà ed esclusione sociale attraverso l’accesso con sussidi europei ad un’assistenza sanitaria gratuita di qualità, ad un’istruzione gratuita di qualità, ad un’abitazione dignitosa e ad un’alimentazione adeguata. A questo proposito, è rilevante l’aumento degli investimenti per l’azione preparatoria della Child Guarantee nel bilancio del 2019, che permetterà di continuare la fase pilota iniziata nel 2018 con un fondo di oltre 16 milioni.

Attraverso queste misure, l’Unione europea potrebbe realmente scrivere una nuova narrazione ed allontanare quell’immagine di entità lontana dai cittadini. L’Europa del rigore, del controllo dei conti pubblici potrebbe lasciare spazio ad un’Europa sociale capace di affrontare problemi su scala globale come la disoccupazione e la povertà. Da quel fiscal compact che tanto ha fatto discutere i leader europei credo sia tempo di passare ad un social compact che restituisca all’Europa nuove speranze e una rinnovata fiducia.

Non solo sociale
Oltre alla costruzione del pilastro sociale, nei prossimi sette anni, l’Unione europea dovrebbe consolidare e aumentare i propri investimenti nel campo della ricerca e dell’innovazione. Per reggere la concorrenza dei grandi attori industriali come la Cina e gli Stati Uniti e dei nuovi attori emergenti, l’Europa sarà chiamata nei prossimi anni a fare sistema e a rinnovare profondamente le proprie politiche industriali e di investimento.

A questo proposito il bilancio del 2019 aveva messo il programma per lo stimolo all’innovazione Horizon 2020 al centro delle proprie priorità, aumentando di 150 milioni la dotazione proposta dalla Commissione e investendo globalmente 12,3 miliardi (+2,1 miliardi rispetto al 2018). Per il prossimo bilancio pluriennale la Commissione ha assegnato al nuovo programma Horizon 100 miliardi, mentre il Parlamento ha richiesto che la dotazione sia incrementata fino a 120 miliardi di euro per essere all’altezza delle grandi sfide che ci attendono.

Infine, un ultimo grande passo avanti compiuto nel bilancio del 2019 va registrato nell’ambito delle politiche migratorie. In una situazione di stallo gravissimo, in cui il Consiglio da ormai più di due anni non trova un accordo per riformare il regolamento di Dublino dimostrandosi incapace di trovare ricette a lungo termine che superino l’approccio emergenziale che ha caratterizzato la gestione del fenomeno, il bilancio del 2019 era stato dotato di importanti risorse per tentare di trovare risposte strutturali. Oltre ad un aumento di 33 milioni sul Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (AMIF), le principali risorse erano state investite sulle politiche di investimento in Africa e soprattutto nei Paesi del Mediterraneo per tentare di sradicare le cause profonde del fenomeno migratorio come le guerre, la siccità e le carestie.

Le risorse dello Strumento di vicinato europeo (ENI) destinato principalmente ai paesi africani del Mediterraneo erano state incrementate di 78 milioni, mentre quelle dello Strumento di cooperazione allo sviluppo erano aumentate di oltre 63 milioni.
Procedendo nella stessa direzione, il prossimo bilancio pluriennale dovrebbe prevedere un aumento del 50 per cento sul Fondo AMIF, che supererebbe così i 9 miliardi.

Le sfide che dovrà affrontare il prossimo bilancio pluriennale sono moltissime e la posta in gioco è altissima. Oggi più che mai è fondamentale comprendere come il bilancio non sia un mero esercizio contabile e che le risorse destinate ai vari programmi ci permetteranno di comprendere in quale direzione il nostro continente ha scelto di procedere.

La partita sarà duplice: da un lato il nuovo Parlamento dovrà dimostrare di essere in grado di far sentire la propria voce e difendere il lavoro fatto finora e parzialmente concretizzato nel bilancio annuale del 2019; dall’altro gli stati membri dovranno pesare le proprie priorità nazionali e trovare un equilibrio tra di esse. A questa partita, l’Italia sembra arrivare impreparata. Ad oggi non è ancora stato designato il ministro competente per gli affari europei – le dimissioni di Paolo Savona sono distanti ormai quattro mesi – e i nostri ministri disertano sistematicamente i tavoli europei spingendo il paese verso un isolazionismo sempre più preoccupante. Personalmente, da relatore generale del bilancio 2019 per il Parlamento europeo, ricordo che l’unico governo che non sono mai riuscito ad incontrare è proprio quello italiano.

Al fischio d’inizio della nuova legislatura la partita del nuovo bilancio pluriennale presenta per l’Italia elementi in chiaroscuro. Da un lato, le risorse per le politiche sociali destinate al paese avranno un aumento di oltre il 6 per cento, dall’altro quelle destinate alle politiche agricole diminuiranno sensibilmente. Il governo dovrà essere capace di gestire questa progressiva transizione.

Inoltre, assieme al nuovo bilancio pluriennale, gli stati membri dovranno pronunciarsi sulle nuove risorse proprie di cui il bilancio comunitario dovrebbe dotarsi. L’introduzione di nuove entrate come una tassa sulle transazioni finanziarie, una web tax sui grandi colossi del digitale ed una carbon tax permetterebbe di dotare il bilancio europeo di risorse fresche, diminuendo al contempo i contributi dei singoli. Si tratta dunque di una situazione win-win che potrebbe cambiare radicalmente la capacità di azione dell’Unione europea, se ci sarà la volontà politica comune di seguirle.

Proprio per queste ragioni, la decisione sul bilancio 2021-2027 sarà un’enorme opportunità per cambiare pagina al progetto europeo, e restituire una nuova immagine dell’Unione ai nostri cittadini. L’Europa deve cambiare, deve farlo al più presto e quella del prossimo bilancio pluriennale è già una partita decisiva.