C’è ancora una maggioranza?

Ieri Di Maio non si è presentato a un Consiglio dei ministri per registrare un talk show, ma sono settimane che Lega e M5S litigano su tutto: le tensioni nel governo, messe in ordine

(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

Secondo tutti i principali quotidiani, le tensioni all’interno della maggioranza di governo hanno raggiunto un livello mai toccato in precedenza. Lega e Movimento 5 Stelle litigano su tutto: dalle questioni di principio, festeggiare o non festeggiare la Liberazione il 25 aprile, ai casi giudiziari, come l’inchiesta per corruzione che riguarda il sottosegretario leghista Armando Siri o le vicende della sindaca di Roma Virginia Raggi. In molti ipotizzano che il governo sia tenuto insieme soltanto dalla volontà di arrivare fino alle elezioni europee del prossimo mese, ma non si punta più troppo sulla sua durata dopo il voto.

Nel pomeriggio di martedì si è consumato quello che è stato probabilmente lo scontro più grave fino a questo momento. Intorno alle 18 era stato fissato un Consiglio dei ministri per approvare il decreto crescita e il salva-Roma, una norma per ridurre il peso del debito sui conti della capitale. Salvini e la Lega avevano minacciato per giorni di non approvare la norma se non fosse stata modificata per aiutare non solo Roma, ma tutti i comuni italiani in difficoltà. Il contingente di ministri leghisti è quindi arrivato compatto al Consiglio, pronto a votare contro la norma. Il Movimento 5 Stelle, invece, era quasi completamente assente.

Ad aspettare i leghisti c’erano solo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e la ministra per il Sud, Barbara Lezzi, oltre a quella della Difesa, Elisabetta Trenta, e quello della Cultura, Alberto Bonisoli (vicini al Movimento, ma considerati poco addentro alle dinamiche del partito). Il capo del Movimento e vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio si trovava invece negli studi di La7 dove stava registrando la puntata del programma Dimartedì. Nonostante le assenze, Salvini ha comunque iniziato la riunione e ha messo subito al centro la questione del salva-Roma. Non è chiaro cosa sia accaduto, ma poco dopo le 18 Salvini è uscito da Palazzo Chigi e ha annunciato ai giornalisti che il salva-Roma era stato eliminato dal decreto crescita.

Non appena le agenzie hanno diffuso la dichiarazione di Salvini, fonti del Movimento 5 Stelle si sono affrettate a smentire le sue parole, mentre Di Maio ha lasciato rapidamente gli studi della trasmissione per tornare a Palazzo Chigi. La riunione è ricominciata intorno alle 21, in quello che i giornali hanno definito un clima di forte ostilità tra i partecipanti (alcuni parlano anche di urla e grida). Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in particolare, si sarebbe arrabbiato con Salvini per la sua uscita di poche ore prima, accusandolo di fargli fare la figura del «passacarte». Di Maio avrebbe parlato di «pugnalata alle spalle». Salvini avrebbe risposto ricordando tutti gli attacchi e le critiche subite nelle ultime settimane e arrivate dal Movimento.

Alla fine, intorno alle 22, il Consiglio dei ministri ha inserito nuovamente il salva-Roma nel decreto crescita. Il testo non è stato ancora pubblicato, e non è chiaro se lo sarà in futuro, ma dalle indiscrezioni sembra che la norma sia stata depotenziata in modo da cambiare poco o nulla l’attuale situazione del debito di Roma. Il Movimento 5 Stelle ha promesso di cambiare la norma quando arriverà il momento di convertire il decreto in legge, durante il passaggio parlamentare.

Questo episodio è solo il culmine di tensioni interne alla maggioranza che durano da settimane, forse mesi. Tra le ragioni più immediate di questa situazione sono spesso citate le difficoltà del Movimento 5 Stelle, che nel corso dei dieci mesi trascorsi al governo ha subito numerose sconfitte alle elezioni locali ed è dato in forte calo nei sondaggi. I leader del Movimento hanno iniziato quindi alcune settimane fa a contrastare la Lega “da sinistra”, attaccandola ad esempio sulla gestione dell’immigrazione, sulle sue posizioni tradizionaliste e identitarie e sulle sue alleanze europee con gruppi estremisti.

Gli attacchi si sono intensificati nelle ultime settimane e, secondo quanto scrivono i giornali, due episodi avrebbero fatto arrabbiare Salvini in modo particolare. Il primo è stato l’attacco nei suoi confronti da parte di alcuni vertici dell’esercito fatto filtrare dagli ambienti del ministero della Difesa, guidato dal ministro Trenta che da tempo ha una pessima relazione con Salvini. Il secondo è la richiesta di dimissioni del sottosegretario Armando Siri fatta da tutti i vertici del Movimento. Siri, uno dei più stretti consiglieri di Salvini, è indagato per corruzione in un’inchiesta che riguarda anche la criminalità organizzata siciliana.

In risposta agli attacchi su Siri, Salvini ha alzato il tono dello scontro con il sindaco di Roma Virginia Raggi, chiedendo le sue dimissioni in seguito alla pubblicazione da parte del settimanale l’Espresso di alcune registrazioni nei quali si sente la sindaca definire la situazione della gestione dei rifiuti in città “fuori controllo”.

Secondo quasi tutti gli osservatori, la maggioranza riuscirà a rimanere unita almeno fino alle elezioni europee del 26 maggio, nella convinzione che una caduta del governo nei prossimi giorni finirebbe inevitabilmente con il danneggiare entrambi i partiti. Quello che accadrà dopo rimane incerto. Da mesi oramai, parlamentari e ministri leghisti dicono che se i sondaggi saranno confermati e alle europee la Lega supererà il Movimento 5 Stelle, le distribuzione dei ministeri tra i due partiti andrà rivista (tra chi potrebbe essere sostituito si sono fatti spesso i nomi dei ministri grillini Giulia Grillo, Salute, e Danilo Toninelli, Trasporti e infrastrutture).

Se l’accordo con il Movimento dovesse naufragare, la Lega può comunque contare sul resto del centrodestra, Forza Italia e Fratelli d’Italia, i cui dirigenti chiedono da mesi al partito guidato di Salvini di ritornare sui suoi passi e ricostruire a livello nazionale l’alleanza a tre che esiste a livello locale. Per il momento il centrodestra non ha i numeri per governare in Parlamento e per farlo avrebbe bisogno dell’appoggio di deputati e senatori provenienti dal Movimento o dal centrosinistra.

Il Movimento 5 Stelle è invece in una posizione più complicata e non ha un alleato immediatamente disponibile con cui cercare di formare una maggioranza alternativa in caso di caduta del governo e con cui presentarsi alle prossime elezioni. In teoria, Movimento 5 Stelle e PD potrebbero riuscire a mettere insieme una risicata maggioranza in entrambe le camere (in Senato avrebbero bisogno di qualche aiuto dal Gruppo misto). Il problema è che è una strada politicamente difficilissima da percorrere. Anche se il nuovo segretario del PD Nicola Zingaretti avesse questa intenzione (ha più volte negato di averla), i gruppi Parlamentari del PD sono stati scelti dal precedente segretario, Matteo Renzi, che aveva trasformato in un punto politico irrinunciabile il rifiuto di qualsiasi accordo con il Movimento. Difficile quindi che questo scenario si realizzi.

Il Movimento 5 Stelle ha inoltre un altro problema che spinge i suoi dirigenti ad evitare la crisi. I suoi parlamentari possono infatti svolgere un massimo di due mandati. Se la regola non venisse modificata, quindi, in caso di nuove elezioni quasi tutti gli attuali dirigenti, da Luigi Di Maio al presidente della Camera Roberto Fico, dovrebbero rinunciare a candidarsi per un terzo mandato.