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  • Venerdì 8 marzo 2019

Come vanno i negoziati tra Stati Uniti e talebani

Sono iniziati a Doha poco meno di due settimane fa, e si sta discutendo di cose come "cosa vuol dire terrorismo"

L'ufficio diplomatico dei talebani a Doha (AP Photo/Osama Faisal, File)
L'ufficio diplomatico dei talebani a Doha (AP Photo/Osama Faisal, File)

Poco meno di due settimane fa a Doha, in Qatar, sono iniziati i colloqui di pace tra Stati Uniti e talebani con l’obiettivo di mettere fine alla guerra più lunga dell’intera storia americana. I colloqui in corso non sono i primi che si tengono tra le due parti: negli ultimi anni erano stati fatti diversi tentativi, che però non avevano portato a nulla di definitivo. Questa volta, però, le cose sembrano poter andare diversamente: sia perché c’è già un accordo di massima sul ritiro dei 14mila soldati statunitensi presenti in Afghanistan, rispetto al quale ci sono però ancora importanti e intricate questioni da risolvere; sia per la presenza nella delegazione talebana del mullah Abdul Ghani Baradar, il vicecapo dei talebani afghani, che ha aumentato la capacità decisionale del gruppo in sede di negoziati.

Il punto di partenza dei negoziati di Doha è stato un accordo molto importante trovato tra le parti a gennaio, che prevede due cose: il ritiro dei soldati statunitensi dall’Afghanistan e l’impegno da parte dei talebani che il territorio afghano non verrà usato per lanciare attacchi terroristici contro gli Stati Uniti e i suoi alleati. Le questioni rimaste aperte sono però diverse, e nonostante i risultati raggiunti finora, ha scritto il giornalista del New York Times Mujib Mashal, i colloqui hanno rischiato di collassare in diverse occasioni, a causa di disaccordi profondi.

Uno dei punti più dibattuti è relativo ai tempi e modi del ritiro dei soldati statunitensi dall’Afghanistan. Gli Stati Uniti vorrebbero che il ritiro fosse graduale, che durasse non meno di tre anni, mentre i talebani hanno parlato di operazioni più rapide, dalla durata non superiore a 12 mesi. La decisione finale non è ancora stata presa e sarà legata in parte all’eventuale cessate il fuoco che anticiperà il ritiro dei soldati statunitensi e delle altre truppe internazionali dal territorio afghano.

Un altro punto molto dibattuto è la definizione di “terrorismo”, termine su cui la comunità internazionale discute da decenni e che dovrebbe stabilire nei dettagli l’impegno dei talebani a non permettere il lancio di attentati terroristici dall’Afghanistan contro gli Stati Uniti e i suoi alleati. Mentre il governo americano vorrebbe che il termine “terrorismo” fosse applicato nella sua interpretazione più ampia possibile, i talebani sostengono che non esista una definizione universale del termine e appoggiano un’interpretazione molto più restrittiva, che non rischi di provocare divisioni profonde all’interno del gruppo.

La difficoltà a raggiungere un accordo sui temi ancora in sospeso dipende inoltre da un generale clima di sfiducia tra le parti. Mujib Mashal ha scritto che i talebani pensano che gli americani stiano cercando di usare i colloqui per mettere una pezza alle sconfitte militari subite di recente dalle forze di sicurezza afghane, loro alleate, per mano proprio dei talebani. Dall’altra parte, il governo statunitense si è espresso in maniera piuttosto ambigua nei confronti dei talebani. Il 25 febbraio scorso, per esempio, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha definito i talebani afghani “terroristi”, provocando un certo imbarazzo nella delegazione statunitense che si apprestava a iniziare i colloqui a Doha e costringendo un portavoce dello stesso dipartimento di Stato a dire pubblicamente che Pompeo «aveva parlato a titolo personale» (gli Stati Uniti non considerano i talebani un’organizzazione terroristica).

C’è poi un’ultima cosa da considerare. Ai colloqui in corso tra talebani e Stati Uniti non è stato invitato il governo afghano, con cui per il momento i talebani non vogliono avere niente a che fare. Il problema è che l’eventuale successo dei negoziati di Doha – successo non garantito comunque, visti gli ostacoli – completerebbe solo la prima fase del processo di pace. In un secondo momento, talebani e governo afghano dovranno accordarsi sul ruolo che i primi avranno nella condivisione del potere statale, e come questo condizionerà alcune delle questioni più discusse e divisive, come la condizione delle donne nella società. Per i talebani la seconda fase dell’accordo inizierà solo quando verrà stabilita una data per il ritiro dei soldati statunitensi.

La guerra in Afghanistan, la più lunga nella storia degli Stati Uniti, iniziò nell’ottobre 2001 in risposta agli attacchi terroristici dell’11 settembre a New York e a Washington compiuti da al Qaida, che aveva la sua base nel territorio afghano ed era protetta dal regime dei talebani. Da allora decine di migliaia di soldati americani e afghani, di talebani e di civili sono stati uccisi nella guerra, che solo agli Stati Uniti è costata 932 miliardi di dollari.