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  • Sabato 2 febbraio 2019

Cosa pensa l’Italia sul Venezuela?

Il governo chiede nuove elezioni ma senza ultimatum e senza riconoscere Guaidó, ma dal suo interno sono arrivate dichiarazioni contraddittorie

Un manifestante a Caracas. (Edilzon Gamez/Getty Images)
Un manifestante a Caracas. (Edilzon Gamez/Getty Images)

Negli ultimi giorni alcuni rappresentanti del governo italiano hanno preso posizioni contraddittorie riguardo alla crisi politica in Venezuela, dove il presidente dell’Assemblea Nazionale Juan Guaidó si è autoproclamato presidente ad interim con l’obiettivo di deporre il governo di Nicolás Maduro. Se la comunità internazionale è molto divisa sulla questione, con paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Brasile, Francia e Germania che riconoscono Guaidó e altri come Russia, Cina, Turchia e Messico che riconoscono Maduro, la linea dell’Italia è stata più prudente, ma allo stesso tempo non molto chiara.

Venerdì c’è stata una riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea a Bucarest: la Svezia ha proposto una mozione per accettare temporaneamente la presidenza di Guaidó fino a nuove elezioni. Non si trattava di un riconoscimento formale, ma lo sarebbe stato implicitamente. L’Italia, insieme a Grecia, Austria e Finlandia, l’ha bocciata. Giovedì invece il Parlamento Europeo aveva riconosciuto Guaidó: gli europarlamentari di Lega e Movimento 5 Stelle si erano astenuti. Il principale leader politico della maggioranza ad essersi espresso sul Venezuela è Luigi Di Maio, che ha detto:

«Visto che siamo già stati scottati dalle ingerenze in altri Stati non vogliamo arrivare al punto di riconoscere soggetti che non sono stati votati. Per questo non riconosciamo neppure Maduro e per questo l’Italia continua a perseguire la via diplomatica e di mediazione con tutti gli Stati per arrivare ad un processo che porti a nuove elezioni ma senza ultimatum e senza riconoscere soggetti che non sono stati eletti. Il cambiamento lo decidono i venezuelani: dobbiamo creare i presupposti per favorire nuove elezioni»

Secondo qualcuno, però, la posizione di Di Maio è un po’ ambigua: chiedere che in Venezuela ci siano nuove elezioni significa, di fatto, non riconoscere l’elezione di Maduro, che ha vinto le elezioni nel 2018 – il cui risultato è contestato dall’opposizione e da parte della comunità internazionale – e che si è appena insediato per il suo secondo mandato. Formalmente, la crisi venezuelana si gioca proprio su questo: Guaidó ritiene illegittima la vittoria di Maduro, e invoca la legge costituzionale per cui, in caso di usurpazione, la presidenza spetti al presidente dell’Assemblea Nazionale per un governo di transizione che porti a nuove elezioni.

Il M5S non vuole riconoscere Guaidó per la sua tradizionale opposizione alle interferenze occidentali nei paesi stranieri: ma, a quanto dice Di Maio, l’Italia sta comunque lavorando diplomaticamente perché il governo Maduro venga rimosso e ci siano nuove elezioni, solo senza ultimatum – diversi paesi hanno chiesto che questo succeda entro domenica – e senza riconoscere Guaidó. Ma c’è stato chi ha tenuto una posizione in netta contraddizione: Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri del M5S, si è schierato più nettamente contro qualsiasi tipo di interferenza, chiedendo che l’Italia non facesse «lo stesso errore fatto in Libia». Gli ha risposto direttamente Guaidó, che ha dato un’intervista al Tg2 per chiedere l’appoggio dell’Italia e ricordare la gravissima crisi umanitaria ed economica che va avanti da anni nel paese.

Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, finora, è stato piuttosto silenzioso: qualche giorno fa aveva però detto che l’Italia si riconosce nella posizione dell’Unione Europea, e che è favorevole a nuove elezioni entro un termine prefissato, ma non a un ultimatum. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha tenuto una linea simile, spiegando che la posizione dell’Italia è «molto prudente» e che non ritiene «opportuno dare investiture che non sono passate da un processo elettorale». Ha però specificato che questo non significa appoggiare Maduro, ma lavorare perché ci siano nuove elezioni. Sembra, insomma, che l’Italia voglia arrivare allo stesso risultato di chi sostiene Guaidó: ma senza riconoscere la sua presidenza, e senza forzare la mano dando scadenze ravvicinate.

Guglielmo Picchi, sottosegretario agli Esteri (come Di Stefano) della Lega, dice che «la posizione dell’Italia è chiara»: non riconosce la vittoria di Maduro, e chiede quindi nuove elezioni. Cioè riconosce la rivendicazione di Guaidó. In un altro tweet, Picchi ha risposto a Di Stefano dicendo che, non avendo «competenza geografica e politica sul Venezuela» parla «a titolo personale». È una posizione molto simile a quella di un altro sottosegretario agli Esteri, Riccardo Merlo del Movimento Associativo Italiani all’Estero, che dice che durante la sua adolescenza passata in Argentina “pregava” per un’ingerenza straniera che liberasse il paese dalla dittatura, aggiungendo: «Maduro, il tempo è scaduto».