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  • Sabato 12 gennaio 2019

Come va in Venezuela, e come potrebbe andare in futuro

La situazione del paese continua a peggiorare, e c'è chi crede che Maduro non riuscirà a finire il secondo mandato che ha appena cominciato

Una donna venezuelana che indossa un cappellino con la bandiera del proprio paese piange durante una protesta contro il presidente Nicolás Maduro fuori dall'ambasciata del Venezuela a Lima, in Perù, il 10 gennaio 2019 (AP Photo/Martin Mejia)
Una donna venezuelana che indossa un cappellino con la bandiera del proprio paese piange durante una protesta contro il presidente Nicolás Maduro fuori dall'ambasciata del Venezuela a Lima, in Perù, il 10 gennaio 2019 (AP Photo/Martin Mejia)

Il 10 gennaio il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha prestato giuramento per dare inizio al suo secondo mandato presidenziale. La cerimonia non si è tenuta di fronte al Parlamento, come prevede la Costituzione del Venezuela, ma alla Corte Suprema: il parlamento è controllato dall’opposizione, che ritiene illegittimo il risultato delle elezioni presidenziali vinte da Maduro lo scorso maggio, mentre la Corte, teoricamente un organo indipendente, sostiene da tempo il presidente.

Anche gli osservatori internazionali e diversi governi stranieri ritengono che il risultato delle elezioni sia irregolare, oltre a essere preoccupati per la gravissima situazione economica del Venezuela che va avanti da circa quattro anni. Per questo al giuramento erano presenti pochissimi capi di stato e di governo stranieri. C’erano il presidente cubano Miguel Díaz-Canel, il presidente del Nicaragua Daniel Ortega e quello della Bolivia Evo Morales, ma non c’erano né rappresentanti dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, né del cosiddetto “Grupo de Lima”, che raggruppa 14 paesi del continente americano. Dopo il discorso di insediamento di Maduro, inoltre, il presidente del Paraguay Mario Abdo ha annunciato la rottura dei rapporti diplomatici tra il suo paese e il Venezuela, e il conseguente ritiro immediato dei diplomatici paraguaiani da Caracas.

Non sono le prime dimostrazioni di opposizione al regime di Maduro da parte della comunità internazionale. Gli Stati Uniti hanno vietato alle aziende di fare affari con il paese, e come già l’Unione Europea e gli Stati Uniti, il Perù ha detto che vieterà le visite e le transazioni finanziarie di rappresentanti del governo venezuelano. Il 4 gennaio inoltre quasi tutto il “Grupo de Lima” – di cui fanno parte tutti i più grandi paesi sudamericani e il Canada – aveva annunciato che non avrebbe più riconosciuto Maduro come presidente del Venezuela nel suo secondo mandato e lo aveva invitato a cedere i suoi poteri al parlamento del paese. Il nuovo presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador, un politico di sinistra, si è però rifiutato di sottoscrivere l’annuncio e l’invito, diminuendone la portata.

Un articolo dell’Economist ha riassunto il succedersi di eventi che ha portato a questa situazione a partire dalla presidenza di Hugo Chávez, il predecessore di Maduro morto nel 2013. Tra il 1999 e la sua morte Chávez aumentò tantissimo la spesa pubblica e al contempo nazionalizzò le aziende private, senza investire in settori industriali diversi da quello energetico. Licenziò inoltre moltissimi amministratori competenti della PDVSA, l’azienda petrolifera statale che rappresenta la principale fonte di introiti dello stato, perché non erano suoi sostenitori; decise poi di vendere petrolio a paesi amici come Cuba a condizioni di grande favore.

Queste strategie pagarono molto inizialmente, mentre le conseguenze negative si videro solo dopo diversi anni. Durante la presidenza di Chávez, infatti, i prezzi del petrolio restarono alti, e quindi i bilanci dello stato rimasero sotto controllo. Grazie alla forte domanda di petrolio, il governo poté distribuire a pioggia o quasi sussidi e pensioni, migliorando le condizioni di vita di milioni di persone e ottenendo un grande consenso. Le cose cominciarono a cambiare nel 2014, quando nel frattempo era diventato presidente Maduro.

Maduro continuò a seguire le politiche di Chávez. Per pagare i debiti che il Venezuela aveva contratto con gli investitori stranieri ridusse le importazioni: per questo molti beni di prima necessità cominciarono a scarseggiare portando a breve a una grossa crisi alimentare. Nel 2017, mentre le riserve di valuta straniera del paese diminuivano, Maduro evitò il default affidando la gestione di pozzi petroliferi e altre infrastrutture del settore energetico ad aziende statali cinesi e russe. Maduro aumentò poi la moneta in circolazione stampandone di nuova, e portando l’inflazione a livelli altissimi. La scorsa estate ha introdotto una nuova moneta, il bolívar soberano, togliendo cinque zeri al bolívar, per limitare l’iperinflazione e la crescita fuori controllo dei prezzi: un piano controproducente secondo l’opposizione e gli economisti. La nuova moneta ha già perso il 95 per cento del suo valore in confronto a quello del dollaro.

Durante il primo mandato di Maduro il PIL del Venezuela si è dimezzato. Secondo le previsioni dell’Economist l’economia del Venezuela sarà quella che andrà peggio nel 2019.

Anche se i prezzi del petrolio dovessero risalire, difficilmente il Venezuela potrebbe beneficiarne perché ormai la PDVSA è una società disastrata. Dagli anni di Chávez a oggi non ci sono stati investimenti rilevanti per trovare nuovi giacimenti di petrolio e migliorare la tecnologia usata dall’azienda. Al contrario, moltissimi macchinari sono stati rubati o danneggiati da dipendenti disperati per il crollo dei propri stipendi. La crisi si è aggravata dopo che Maduro ha messo a capo della società un generale dell’esercito senza esperienza nel settore petrolifero. Oggi il Venezuela produce meno petrolio di quanto facesse negli anni Cinquanta; i cittadini del paese beneficiano dell’industria petrolifera al pari di quanto succedeva negli anni Venti.

I problemi economici poi si sono ripercossi su tutti gli aspetti dalla società. In certe zone del paese mancano spesso l’elettricità e l’acqua potabile. Sono aumentati i tassi di corruzione e violenza e il sistema sanitario è collassato. Per questo tre milioni di persone – un decimo della popolazione – sono emigrati, per la maggior parte nella vicina Colombia, e molte altre cercano di farlo, generando una crisi simile a quella dovuta alla fuga dei siriani in Europa.

È difficile fare previsioni su quando le cose potranno cominciare a migliorare, perché secondo molti dipende principalmente da quanto tempo passerà prima della caduta di Maduro. Ma è un’eventualità su cui è difficile fare previsioni, visto che l’opposizione al presidente è molto divisa: solo il 5 gennaio i diversi partiti che ne fanno parte sono riusciti a trovare un accordo per spartirsi una serie di cariche politiche che avrebbero dovuto dividersi nel 2015. Gli osservatori ottimisti però hanno fiducia nel nuovo presidente del parlamento, Juan Guaidó, un 35enne che ha contribuito a fondare il partito Voluntad Popular (Volontà Popolare), il cui leader Leopoldo López è agli arresti domiciliari dal 2017.

C’è però chi pensa che Maduro possa perdere il controllo del Venezuela a causa di quelli che finora sono stati suoi sostenitori. Secondo l’Economist, Maduro ha mantenuto parte del suo appoggio politico chiudendo un occhio sulla corruzione, sul traffico di droga e sullo sfruttamento illecito di risorse petrolifere, attività che hanno permesso a molti di arricchirsi. Con il peggiorare della situazione economica, però, è possibile che proprio tra i sostenitori del governo nascano complotti contro Maduro, oppure che membri della maggioranza stringano accordi con l’opposizione per non trovarsi in una posizione di svantaggio dopo l’eventuale affermarsi di una nuova forza politica.