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  • Lunedì 8 ottobre 2018

La scomparsa di Jamal Khashoggi, dall’inizio

Secondo voci sempre più insistenti il giornalista e dissidente saudita – scomparso da giorni – è stato ucciso nel consolato dell'Arabia Saudita a Istanbul

Il giornalista saudita Jamal Khashoggi (AP Photo/Virginia Mayo)
Il giornalista saudita Jamal Khashoggi (AP Photo/Virginia Mayo)

Da quasi una settimana non si hanno notizie di Jamal Khashoggi, un giornalista saudita di 59 anni scomparso martedì 2 ottobre dopo essere entrato nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, in Turchia. Khashoggi è un giornalista molto noto, collaboratore del Washington Post e critico con il regime saudita. Alcuni funzionari del governo turco nelle ultime ore hanno detto alla stampa di credere che Khashoggi sia stato ucciso all’interno del consolato. L’Arabia Saudita dice nega le accuse e sostiene invece che Khashoggi sia uscito dal consolato, prima di aver fatto perdere le sue tracce. Il caso arriva in un momento delicato per le relazioni tra Turchia e Arabia Saudita e rischia di peggiorarle ulteriormente.

Dall’inizio

Khashoggi si trovava martedì a Istanbul perché si sarebbe dovuto sposare con una donna turca, Hatice Cengiz, ed era andato al consolato dell’Arabia Saudita per presentare dei documenti. Dopo quattro ore dal suo ingresso nel consolato la fidanzata, che lo stava aspettando all’esterno, ne ha denunciato la scomparsa. Mercoledì scorso la polizia turca, che si occupa della sorveglianza del perimetro esterno del consolato saudita, ha detto che dai filmati in suo possesso non risulta che Jamal Khashoggi abbia mai lasciato l’edificio, mentre i funzionari sauditi hanno più volte negato che sia ancora all’interno. Secondo informazioni non ufficiali riportate dai giornali, e attribuite a fonti vicine al governo turco, Jamal Khashoggi sarebbe stato ucciso poco dopo il suo ingresso e il suo corpo sarebbe stato smembrato all’interno del consolato.

La posizione dei sauditi rimane la stessa: un funzionario del consolato citato dall’agenzia di stampa ufficiale dell’Arabia Saudita ha negato le accuse di omicidio, definendole senza fondamento. Oggi Reuters ha scritto che la polizia turca ha richiesto di poter entrare all’interno del consolato saudita per poter proseguire le indagini sulla sparizione di Jamal Khashoggi e, durante una conferenza congiunta con il presidente dell’Ungheria Viktor Orbán a Budapest, il presidente turco Recep Tyyip Erdoğan ha detto che «spetta all’Arabia Saudita ora dimostrare che il giornalista saudita scomparso ha lasciato il consolato saudita a Istanbul».

Chi è Jamal Khashoggi?

Jamal Khashoggi è un giornalista e dissidente saudita che scrive per il Washington Post e che da quasi un anno vive in un esilio autoimposto negli Stati Uniti. Khashoggi aveva iniziato la sua carriera negli anni Ottanta scrivendo dell’occupazione sovietica in Afghanistan e negli anni Novanta intervistò più volte Osama bin Laden, in Afghanistan e poi nel 1995 in Sudan, prima che fondasse al Qaida.

In passato Khashoggi è stato vicino all’élite politica saudita e per molti anni è stato consulente dell’ex capo dell’intelligence e ambasciatore saudita negli Stati Uniti e nel Regno Unito, il principe Turki al Faisal (forse anche, scrive Associated Press, in ragione della sua conoscenza con bin Laden). Negli ultimi anni le sue posizioni hanno iniziato a dare fastidio al governo e dopo il cambio di leadership in Arabia Saudita nel giugno del 2017, quando il principe ereditario Mohammad bin Salman – noto anche con le sole iniziali MbS – ha di fatto preso il potere, Khashoggi ha deciso di lasciare il paese.

Khashoggi ha spesso criticato la politica estera dell’Arabia Saudita, esprimendo i suoi dubbi sul boicottaggio del Qatar, sulla crisi con il Canada e sulla guerra in Yemen, e si è schierato contro le campagne di arresti di attivisti e dissidenti politici e le repressioni delle libertà individuali decise da Mohammed bin Salman. Sul New Yorker la giornalista Robin Wright ha scritto che l’ultima volta in cui si erano visti, ad agosto, Khashoggi le aveva detto di essere convinto che la nuova leadership saudita volesse ucciderlo.

Cosa è successo?

Khashoggi era andato al consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul per consegnare i documenti relativi al divorzio con la prima moglie, rimasta in Arabia Saudita. Era già stato al consolato il 28 settembre. Prima di entrare aveva lasciato il proprio cellulare alla compagna dicendole di temere che lo avrebbero trattenuto: per questo le aveva detto di chiamare un politico turco del partito del presidente Erdoğan, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), nel caso non fosse uscito dall’edificio. Dopo quattro ore Khashoggi non era ancora uscito dal consolato, e Cengiz aveva deciso di chiamare la polizia.

Nei giorni scorsi molti giornali statunitensi, come il Washington Post e il New York Times, hanno raccontato che 15 cittadini sauditi erano arrivati a Istanbul su due voli diversi e avevano raggiunto il consolato saudita più o meno alla stessa ora di Khashoggi, martedì, per poi tornare nei paesi da cui erano venuti. Secondo fonti dei giornali statunitensi vicine all’indagine turca, queste persone sarebbero state degli agenti mandati dal governo saudita per uccidere Khashoggi. Secondo alcuni l’omicidio del giornalista sarebbe stato premeditato, ma è anche possibile – posto che Khashoggi sia davvero morto – che l’intento iniziale dei sauditi fosse semplicemente intimidirlo e portarlo vivo in Arabia Saudita, ha spiegato il New York Times. La polizia turca ora sta monitorando tutti gli aeroporti di Istanbul, in caso di ulteriori sviluppi.

In risposta alle voci che circolano sul presunto assassinio di Khashoggi, la sua compagna Hatice Cengiz ha pubblicato su Twitter una sua foto dicendo che si rifiuta di credere alla sua morte, aspettando una conferma ufficiale da parte del governo turco.

La posizione dei sauditi

I funzionari sauditi continuano a negare qualsiasi responsabilità in merito alla scomparsa e alla morte di Jamal Khashoggi. L’agenzia di stampa ufficiale dell’Arabia Saudita ha riportato le dichiarazioni di un funzionario del consolato, di cui non è stato rivelato il nome, che considera senza fondamento le accuse di omicidio. Il funzionario ha inoltre detto di nutrire dei dubbi sul fatto che le fonti citate dai giornali statunitensi appartenessero effettivamente a persone informate sul corso delle indagini.

Nei giorni scorsi a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, il principe Mohammad bin Salman ha dato un’intervista a Bloomberg, durante la quale ha affrontato anche il caso del giornalista scomparso. In quell’occasione MbS aveva invitato il governo turco a entrare nel consolato per proseguire le indagini e cercare Khashoggi; oggi la polizia di Istanbul ha chiesto ufficialmente di poterlo fare. MbS aveva affermato di «non avere nulla da nascondere», ma alla domanda se Khashoggi fosse indagato in Arabia Saudita, aveva risposto evasivamente due volte dicendo che prima bisognava scoprire dove fosse. Sabato mattina, intanto, una delegazione di giornalisti di Reuters ha visitato il consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul scortata dal console generale Mohammad al-Otaibi. I giornalisti non hanno trovato traccia di Khashoggi, ma hanno riportato che le telecamere di sorveglianza all’interno dell’edificio non registrano filmati, per cui non esiste alcuna immagine che mostri Khashoggi entrare o uscire dal consolato.

Intanto Al Arabiya, l’emittente televisiva degli Emirati Arabi Uniti con sede a Dubai, ha intervistato domenica il consulente legale della famiglia Khashoggi, Motasem Khashoggi, fratello di Jamal. La famiglia, che vive in Arabia Saudita, ha detto di essere in contatto con il governo e di supportare pienamente le sue azioni e quelle dell’ambasciata saudita ad Ankara (l’ambasciatore saudita ad Ankara è stato chiamato due volte dal ministro degli Esteri turco per coordinarsi sulle indagini). Motasem Khashoggi ha detto che secondo lui alcune persone stanno usando la vicenda di suo fratello in modo strumentale, e ha detto che la donna turca di nome Hatice Cengiz che si definisce la fidanzata di Jamal non è mai stata presentata alla famiglia e non sarebbe, secondo lui, legata in alcun modo a Jamal Khashoggi. Al Arabiya ha pubblicato anche una seconda intervista al figlio maggiore di Khashoggi, Salah, in cui sono riportate le stesse dichiarazioni rilasciate da Motasem Khashoggi.

Cosa cambierà ora nelle relazioni tra Turchia e Arabia Saudita?

Nel caso in cui Khashoggi fosse stato effettivamente ucciso, le relazioni tra Turchia e Arabia Saudita, che al momento non sono tra le più cordiali, potrebbero complicarsi ulteriormente. Al momento i due paesi si trovano su schieramenti opposti in diversi crisi regionali nel Medio Oriente, come in Qatar: il paese del Golfo Persico è sotto embargo da parte dell’Arabia Saudita e di altri quattro paesi, mentre la Turchia è tra i suoi primi sostenitori. Di fatto l’omicidio di un cittadino saudita in Turchia – per quanto tecnicamente su territorio saudita – potrebbe essere considerato come una violazione della sovranità turca e potrebbe portare a un congelamento dei rapporti diplomatici tra i due paesi.

Secondo quanto riporta l’inviato di Al Jazeera a Istanbul Jamal Elshayyal: «Il governo turco sta cercando un modo di uscire da questa situazione, per evitare un collasso delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Turchia». Ma se venisse dimostrato che agenti sauditi hanno ucciso un giornalista all’interno del consolato a Istanbul, fonti interne al governo hanno riferito ad Al Jazeera che la risposta della Turchia sarà netta. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha detto che sta seguendo da vicino la questione e che «informeremo il mondo qualsiasi sia il risultato delle indagini». Ha anche aggiunto che trova molto spiacevole che tutto questo stia succedendo nel suo paese, ma spera che Khashoggi sia ancora vivo.