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  • Sabato 22 settembre 2018

Piccolo glossario sulla fase finale di Brexit

Negli ultimi tempi si sente parlare molto di "Chequers plan" e "Backstop", ma anche di torte e ciliegie: due dritte per capirci qualcosa

(PAUL ELLIS/AFP/Getty Images)
(PAUL ELLIS/AFP/Getty Images)

Le scadenze entro cui Regno Unito e Unione Europea devono decidere come regolare i loro rapporti dopo l’uscita del paese dall’Unione sono ormai molto vicine: la cosiddetta Brexit avverrà ufficialmente il 29 marzo 2019, ma per ragioni tecniche un accordo dovrà essere trovato entro novembre. È probabile che leggendo gli articoli sugli ultimi sviluppi abbiate trovato espressioni che solo di recente sono entrate nel gergo giornalistico e delle istituzioni europee, come backstop e Chequers: per questo abbiamo messo insieme una piccola guida da consultare in caso di dubbi e perplessità. Riguardano tutti la questione del confine fra Irlanda e Irlanda del Nord o le future relazioni commerciali fra l’UE e il Regno Unito, i due nodi su cui si sono incastrate le trattative.

Piano backstop
È il cosiddetto piano B nel caso in cui alla fine del periodo di transizione – che si conclude nel dicembre 2020 – le relazioni fra Regno Unito ed Unione Europea non siano ancora state determinate. È un tema che riguarda soprattutto il confine di terra tra Irlanda (un paese membro dell’Unione Europea) e Irlanda del Nord (parte del Regno Unito). Entrambe le parti concordano che in caso di un mancato accordo il confine fra le due Irlande – lungo quattrocento chilometri – rimanga libero, cioè che merci e persone possano continuare a circolare come avviene oggi. È stato pensato per dare una garanzia all’Irlanda sul fatto che non sarà danneggiata da Brexit.

Il problema di questo piano è che l’Unione Europea e il Regno Unito non sono d’accordo su come attuarlo: secondo l’UE l’Irlanda del Nord dovrebbe di fatto restare nel mercato unico e i controlli doganali dovrebbero avvenire tra Irlanda del Nord e resto del Regno Unito, mentre per Theresa May il piano dovrebbe prevedere che l’intero paese resti nel mercato libero per un certo periodo di tempo anche dopo il dicembre del 2020.

Chequers plan
È il piano per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea per cui a luglio Theresa May ha litigato con parte del suo partito e che ha portato alle dimissioni di due ministri britannici. Si può leggere qui. In sostanza, è un compromesso tra le posizioni di chi vuole una “Hard Brexit”, un’uscita secca del Regno Unito da tutti i trattati e le istituzioni dell’Unione Europea, e quelle di chi vuole una “Soft Brexit”, che permetta al paese di beneficiare ancora del mercato unico e altre agevolazioni di cui godono gli stati membri dell’UE.

Più nello specifico, il piano Chequers prevede che le merci continuino a circolare liberamente attraverso il confine irlandese, e che contemporaneamente Unione e Regno Unito concordino, durante un periodo di transizione 20 mesi, un nuovo accordo per la circolazione delle merci e delle persone che preveda l’assenza di controlli al confine per tutto il territorio britannico, in modo che non ci sia bisogno di regole speciali per l’Irlanda del Nord. All’Unione Europea questa soluzione non piace, perché darebbe al Regno Unito una posizione privilegiata di accesso al mercato unico europeo, al quale in teoria ha rinunciato con Brexit. Per quanto riguarda la circolazione delle persone, il piano non è molto chiaro perché da un lato dice che sarà interrotta e che il Regno Unito controllerà quante persone arriveranno dall’estero, dall’altra descrive il confine irlandese come frictionless, senza frizioni, quindi senza controlli.

Il piano prende il nome da quello della residenza estiva della prima ministra, dove il 6 luglio si è tenuta la riunione per stabilirne i termini.

La residenza estiva dei primi ministri britannici, Chequers, ad Aylesbury, in Inghilterra, il 6 luglio 2018 (Leon Neal/Getty Images)

No deal
Letteralmente, “nessun accordo”. Quest’espressione si usa per indicare la prospettiva in cui l’Unione Europea e il Regno Unito non riescano a mettersi d’accordo sui loro futuri rapporti e Brexit avvenga senza che siano stabilite nuove regole formali sui rapporti commerciali tra paesi dell’Unione e Regno Unito. Nelle ultime settimane i giornali britannici hanno provato a immaginare cosa succederebbe se il Regno Unito uscisse senza alcun tipo di accordo: oltre a lungaggini burocratiche e a file lunghissime al porto di Dover, ci sarebbero anche difficoltà enormi per imbottire i sandwich, per esempio, e per portare all’estero il proprio gatto. Il governo ha ammesso che potrebbero esserci conseguenze di vario tipo per chiunque (comprese le banche del seme).

Modello norvegese
La Norvegia non fa parte dell’Unione Europea ma dal 1994, insieme a Islanda e Liechtenstein, fa parte dello Spazio Economico Europeo (SEE) che prevede la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali con i paesi dell’UE; per questo non vi controllano il passaporto quando arrivate all’aeroporto di Oslo. L’Unione Europea ha proposto al Regno Unito di diventare come la Norvegia, ma Theresa May ha rifiutato perché se il paese restasse nel mercato unico «sarebbe una presa in giro del referendum». Il governo britannico teme poi di fare la fine della Norvegia, che ogni anno paga circa 900 milioni di euro per mantenere la sua relazione con l’Unione Europea, senza però avere la possibilità di partecipare ai vari processi decisionali.

“Cake and eat it”
Per ultime, due espressioni un po’ più particolari. La prima, Cake and eat it, fa riferimento a un modo di dire britannico analogo all’italiano “la botte piena e la moglie ubriaca”: lo hanno usato i negoziatori europei per descrivere l’approccio di quelli britannici, che vorrebbero mantenere tutti i vantaggi che vengono dal far parte dell’UE senza i relativi obblighi, tra cui la libera circolazione delle persone.

“Cherry picking”
Ha un significato molto simile a quello dell’espressione precedente: è sempre usato dai negoziatori europei per dire che il Regno Unito vuole scegliere da sé quali regole europee continuare a seguire e quali invece rifiutare completamente. Il verbo cherry-pick, letteralmente “raccogliere ciliege”, ha assunto il significato di “scegliere selettivamente”.

Venerdì si è molto parlato di quest’espressione e della precedente per via di una storia su Instagram dell’account del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Nella storia si vedeva una foto di Tusk insieme a Theresa May, con il presidente intento a mostrare alla prima ministra alcuni piatti di dolci. Insieme all’immagine si leggevano le frasi “A piece of cake, perhaps?”, cioè “Gradisce una fetta di torta?”, e “Sorry, no cherries”, letteralmente “Mi dispiace, non ci sono ciliegie”. Alcuni politici britannici hanno trovato la storia e il successivo post su Instagram molto irrispettosi.

https://www.instagram.com/p/Bn8Luwbjzf9/?hl=it&taken-by=donaldtusk