Le borsette in pelle di salmone?

Sempre più aziende di lusso usano pelle di pesce per vestiti e borsette: molta arriva da una conceria islandese e – tranquilli – non puzza

Pelli di pesce ad asciugare in una conceria a Kisumu, in Kenya, 11 giugno 2018
(TONY KARUMBA / AFP) (Photo credit should read TONY KARUMBA/AFP/Getty Images)
Pelli di pesce ad asciugare in una conceria a Kisumu, in Kenya, 11 giugno 2018 (TONY KARUMBA / AFP) (Photo credit should read TONY KARUMBA/AFP/Getty Images)

Da qualche anno John Galliano, Prada, Christian Dior, Louis Vuitton, Ferragamo, Nike e altre importanti aziende di moda sono particolarmente interessate all’Islanda: non per il successo del turismo o del calcio, per le sue aurore boreali e gli aerei abbandonati a fare da sfondo a una sfilata, ma per la sua pelle di pesce. È infatti nella pittoresca cittadina di Sauðárkrókur, affacciata su un fiordo nel nord-est del paese, che si trova Atlantic Leather, l’unica azienda d’Europa – e una delle pochissime al mondo – a lavorare pelle di pesce pregiata, impiegata dai marchi di alta moda per scarpe, borse e vestiti.

I prodotti di pelle sono sempre più richiesti: per farsi un’idea, nel 2015 il mercato mondiale della pelle aveva raggiunto i 43 miliardi di euro. La domanda cresce soprattutto in Cina – per via della classe medio-borghese – e tra i millennials, cioè i nati dalla metà degli anni Ottanta ai primi anni Duemila. Nell’ultimo trimestre del 2018 il gruppo di lusso LVMH, che controlla aziende come Louis Vuitton e Christian Dior, ha avuto un aumento del 25 per cento nelle vendite di prodotti di pelle.

Rifornirsi della pelle necessaria, per quantità e qualità, è però sempre più difficile e costoso, senza contare i problemi etici che hanno portato clienti e marchi a cercare soluzioni alternative a quelle di origine animale. Molte aziende si servono di eco-pelle cresciuta in laboratorio, ricavata dagli scarti della lavorazione dell’ananas o stampata in 3D. Le concerie occidentali fanno particolare attenzione a utilizzare anche gli avanzi della lavorazione per la pelletteria più piccola, anziché gettarli come accade più comunemente in quelle del Sud-est asiatico, come in Bangladesh, Cina e India.

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Poi c’è la pelle di pesce, derivata dagli scarti dell’industria alimentare: una tonnellata di filetti di pesce corrisponde per esempio a 40 chili di pelle che verrebbero altrimenti gettati. Lavorare il prodotto crudo e conciarlo non è facile e Gunnstein Bjornsson, il direttore esecutivo di Atlantic Leather, ci ha messo sei anni per mettere a punto la tecnica giusta. Bjornsson iniziò a lavorare nella conceria a 22 anni, negli anni Settanta, quando lavorava pelli di pecora. Nel 1994 si interessò a quella di pesce – che era già indossata nell’antichità soprattutto dai più poveri – ma la tecnologia di allora non consentiva di eliminare tutto il grasso e la pelle restava puzzolente proprio «come una zuppa di pesce». Nel 2000 riuscì finalmente a conciarla alla perfezione: l’anno dopo le modelle di John Galliano sfilavano con pelle di pesce conciata nella sua fabbrica.

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Ora Atlantic Leather si estende su tremila metri quadrati e lavora quattro specie di pesce: salmone, merluzzo, persico e pesce lupo, disponibili in svariati colori, tagli e consistenze. Compra gli scarti da un’azienda vicina e utilizza l’energia geotermica, rinnovabile, per i macchinari. Rispetto alla pelle di mucca, quella di pesce è più resistente perché le fibre si incrociano tra loro anziché andare in un’unica direzione. «È estremamente morbida e disponibile in pezzi piccoli e tantissimi colori», spiega la stilista svedese Hanna Altmann, sottolineando il vantaggio di pagarla quanto quella bovina e di poterla ordinare in piccole quantità, essendo i pesci più piccoli.

La pelle più comune è quella di salmone, descritta come “sottile, flessibile e molto resistente”. È adatta a venire colorata ed è quindi disponibile in moltissime tinte brillanti, oltre che bianca; c’è anche la versione lavabile e quella conciata al vegetale. Ha due trame, liscia o in rilievo, e 50 tagli diversi.

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La pelle di merluzzo non è omogenea, e anche se lisciata risulta a tratti morbida a tratti ruvida: è sottile e flessibile, e la forma del pesce la rende ideale per pezzi di tessuto triangolari.

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Quella di persico è ruvida, con grosse scaglie che le danno un aspetto selvaggio se vengono lasciate aperte, e che restano in rilievo anche se compresse. È appariscente, e adatta alle finiture metalliche.

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Atlantic Leather è inoltre l’unica azienda al mondo a lavorare la pelle dell’anguilla lupo. Il mantello di questo pesce è chiazzato da macchioline, che sono sempre visibili tranne quando è tinta di nero; è anche l’unica senza scaglie, quindi liscia e setosa.

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Gli affari di Atlantic Leather vanno sempre meglio e, viste le premesse, è probabile che continueranno a crescere. Il fatturato del 2017 – ha detto l’azienda al Post – è stato di 1,2 milioni di euro, mentre nel 2018 le richieste sono aumentate del 20 per cento rispetto all’anno precedente; dall’inizio dell’anno sono state vendute 150mila pelli, circa 4.000 a settimana. Per produrre ognuna, dalla conciatura alla coloritura, ci vogliono circa tre settimane.

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