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  • Sabato 9 giugno 2018

I primi Mondiali dell’Islanda

La più grande sorpresa del calcio internazionale avrà un girone molto difficile, ma ha dimostrato di saper fare cose incredibili

I giocatori dell'Islanda festeggiano il gol segnato nell'amichevole di New York contro il Perù (Mike Stobe/Getty Images)
I giocatori dell'Islanda festeggiano il gol segnato nell'amichevole di New York contro il Perù (Mike Stobe/Getty Images)

L’Islanda non è più una sorpresa del calcio mondiale. Dopo essere arrivata fino ai quarti di finale degli ultimi Europei, due anni fa, la squadra non si è più fermata. È arrivata prima nel suo girone di qualificazione ai Mondiali, davanti a squadre come Croazia e Turchia, e sarebbe tra le favorite per qualificarsi in tutti i gruppi dei Mondiali: tranne forse il suo, il gruppo D, considerato il più complicato di tutto il torneo per la presenza di Argentina e Croazia. La costanza delle prestazioni della squadra potrebbe aver fatto dimenticare la loro portata: parliamo pur sempre di una nazione con la metà degli abitanti di Genova che è riuscita ad arrivare ai vertici del calcio mondiale seguendo un piano studiato nei minimi dettagli.

La nazionale islandese accolta dal suo pubblico dopo l’eliminazione dagli Europei (AP Photo/Brynjar Gunnarsson)

Come hanno fatto?

Giocare a calcio in Islanda – come fare mille altre attività – non è la cosa più semplice al mondo: per buona parte dell’anno le temperature sono sotto lo zero, e in inverno e in autunno le ore di luce durante il giorno sono pochissime. Anche per queste ragioni i principali campionati islandesi di calcio si tengono nel periodo più caldo dell’anno, fra maggio e ottobre: e fino a pochi anni fa era impensabile persino allenarsi nei giorni più freddi. Per decenni, inoltre, il movimento calcistico islandese è rimasto ai margini del professionismo: pochissimi calciatori islandesi giocavano nei campionati europei più prestigiosi, e ancora meno tornavano indietro ad allenare o gestire le squadre locali.

A metà degli anni Novanta, approfittando anche dell’ottima situazione economica del paese in quegli anni, la federazione islandese avviò un progetto per rimediare a questi problemi. Fu avviata la costruzione di diversi campi al chiuso, per potersi allenare e disputare partite anche d’inverno, e fu reso più professionale il corso per aspiranti allenatori. Il risultato è che oggi in Islanda esistono 13 campi indoor e decine di campi e campetti con terreni in erba sintetica, che permettono di giocare in qualsiasi condizione meteorologica.

Anche il numero degli allenatori professionisti è cresciuto moltissimo. Fino al 2003 non c’era nessuno che possedesse la licenza europea A o B per allenare una squadra di professionisti: oggi in Islanda vivono 716 persone che ne hanno una, e spesso trovano lavoro nelle varie accademie giovanili sparse per l’isola. C’è, per dirla in un altro modo, un allenatore di calcio “qualificato” ogni 500 abitanti: in Inghilterra, dove si gioca il campionato più popolare al mondo, il rapporto è uno ogni 10mila. Alcune squadre hanno sfruttato queste possibilità meglio di altre: il Breiðablik, la squadra di una piccola città vicino a Reykjavík, ha sviluppato una struttura giovanile molto efficiente e ha lanciato quattro giocatori che fanno parte della rosa che parteciperà ai Mondiali.

Finanziare con sussidi governativi lo sport, e in particolare uno così popolare come il calcio, ha avuto effetti positivi diversi da quelli sportivi: una recente sperimentazione compiuta proprio in Islanda ha dimostrato che con l’aumentare dei programmi extra–scolastici è diminuito il tasso di adolescenti che fumano o consumano alcol.

Il successo sportivo, invece, non è stato così immediato. Fino a sei anni fa l’Islanda occupava il 131esimo posto nel ranking UEFA, dove adesso gravitano le nazionali di Yemen e Nicaragua. Le cose iniziarono a girare nel verso giusto intorno al 2010. Nel girone di qualificazione per gli Europei del 2012 l’Islanda finì penultima ma nelle singole partite se la giocò con nazionali molto più forti come Portogallo e Danimarca. Andò particolarmente bene anche ai successivi gironi di qualificazione in vista dei Mondiali del 2014: arrivò seconda nel girone E dietro alla Svizzera e perse i playoff contro la Croazia.

Ma è durante gli Europei del 2016 che si è fatta notare in tutto il mondo. All’inizio del torneo ha passato il girone senza perdere nemmeno una partita, e pareggiando con il Portogallo (che avrebbe poi vinto il torneo). Agli ottavi di finale ha poi eliminato l’Inghilterra, una delle squadre favorite per la vittoria finale; ai quarti ha perso contro la Francia, l’altra finalista. Al ritorno sull’isola, i calciatori della squadra furono celebrati come degli eroi: migliaia di persone li accolsero con il tipico applauso “ritmato” reso famoso proprio dai tifosi islandesi durante gli Europei.

Che squadra è oggi?

Più o meno la stessa che ha disputato gli Europei. È cambiato però l’allenatore: se n’è andato l’esperto svedese Lars Lagerbäck, sostituito dal suo vice Heimir Hallgrímsson. Fino a due anni fa, quando scelse di dedicarsi al calcio, Hallgrímsson lavorava ancora come dentista. E nonostante ormai la maggior parte dei calciatori giochi in campionati europei di prestigio, una certa dinamica “di paese” tipica delle piccole nazionali è ancora viva. Nella conferenza stampa in cui Hallgrímsson ha comunicato i 23 giocatori convocati per i Mondiali, la prima domanda non l’ha fatta un giornalista ma il suocero di un portiere locale che non era stato convocato.

L’ossatura-base della squadra è la stessa da anni. In difesa ci sono i due solidi centrali Ragnar Sigurðsson e Kári Árnason, che agli Europei del 2016 risultarono una delle coppie più affiatate del torneo. Il centrocampo è probabilmente il reparto più forte: ci giocano tra gli altri Gylfi Sigurðsson, un centrocampista molto completo che l’estate scorsa è stato comprato dall’Everton per 60 milioni di euro, Emil Hallfreðsson dell’Udinese e Jóhann Berg Gudmundsson, un’ala destra che viene da una stagione strepitosa col Burnley in Premier League. In attacco i gol sono garantiti soprattutto da Alfreð Finnbogason, uno che quest’anno prima di un infortunio al polpaccio aveva segnato 11 gol in 20 partite di Bundesliga, la Serie A tedesca.

Anche lo stile di gioco è lo stesso impostato da Lagerbäck, che punta su una fase difensiva molto compatta – il catenaccio, si diceva una volta – ripartenze improvvise e schemi sui calci piazzati, dove i calciatori islandesi riescono spesso a sovrastare gli avversari. L’Islanda ha sfoggiato buona parte del suo repertorio nell’importantissima vittoria per 1-0 contro Croazia dell’11 giugno 2017, con la quale si assicurò con una buona sicurezza la partecipazione al Mondiale.

Nel girone dei Mondiali è stata sorteggiata con Argentina, Nigeria e di nuovo con la Croazia. Per sperare di proseguire nel tabellone, inoltre, dovrà cercare di arrivare prima nel girone: se finisse al secondo posto, agli ottavi di finale quasi sicuramente incontrerebbe la Francia, considerata una delle favorite alla vittoria finale.