È morto Vincino

Cioè Vincenzo Gallo, lo storico vignettista e illustratore del Foglio: aveva 72 anni

Vincino alla presentazione di Il Male a Roma nel 2012
(ANSA/UFFICIO STAMPA)
Vincino alla presentazione di Il Male a Roma nel 2012 (ANSA/UFFICIO STAMPA)

Vincenzo Gallo, giornalista e vignettista noto come Vincino, è morto oggi, martedì 21 agosto, a Roma; aveva 72 anni ed era malato da tempo. La notizia è stata data su Twitter dal quotidiano Il Foglio, con cui Vincino collaborava fin dalla fondazione, 22 anni fa. Questa è la sua ultima vignetta, uscita sul giornale di oggi.

Vincino era nato a Palermo il 30 maggio del 1946, ed era laureato in Architettura. Nel 1968 si avvicinò a Lotta Continua e ai movimenti studenteschi di protesta, e nel 1969 iniziò a collaborare con il quotidiano L’Ora di Palermo. Nel 1972 si trasferì a Roma per lavorare al giornale di Lotta Continua, dove rimase fino al 1978, anno in cui fondò e diresse L’avventurista, l’inserto satirico del giornale, e partecipò alla nascita della rivista satirica Il male, che poi diresse fino al 1982. Tra il 1984 e il 1985 diresse il quotidiano satirico Ottovolante e sempre negli anni Ottanta collaborò con Il Clandestino, supplemento satirico dell’Espresso, con Tango, inserto dell’Unità, e con Linus. Nel 1987 iniziò a lavorare anche per il Corriere della Sera e nel 1988 con Cuore, anno in cui riaprì Il Clandestino con i giornalisti Vauro, Riccardo Mannelli e Sergio Saviane; sempre con Vauro nel 2011 rifondò Il Male, poi chiuso nel 2013. Ha collaborato tra gli altri anche con Radio Radicale e Vanity Fair.

Vincino  collaborò quindi con molte testate anche diverse tra loro – al Corriere per esempio mandava ogni giorno 5-6 vignette così che potessero scegliere le tre che avrebbero pubblicato – senza rinunciare mai alle sue idee e alle sue prese di posizione. Al Foglio si schierò più volte contro la linea ufficiale del quotidiano, come quando prese in giro la campagna anti-aborto del direttore Giuliano Ferrara o quella per boicottare la presenza di Roberto Benigni a Sanremo nel 2002. Nel 2010 disegnò invece una divertente serie di vignette sul Bunga Bunga, allora tema all’ordine del giorno, che trovate qui.

Tra i momenti più divertenti della sua carriera c’è la storia del Primo premio planetario dell’umorismo nero, fondato da lui e Vauro nel 1978 e destinato a Giulio Andreotti. Fecero scolpire un suo busto in marmo e lo portarono al Pincio, a Roma, c’era anche Roberto Benigni; poi arrivò la polizia e sospese la cerimonia; il busto venne sequestrato e tre poliziotti caddero nel portarlo via, pensando che fosse di gesso. Il busto rimase otto mesi in carcere, poi riuscirono a farlo uscire di prigione e Vincino se lo portò a casa.

Questo che segue è il ritratto che ne fece un mese fa Giuliano Ferrara, suo amico ed ex direttore del Foglio, per l’uscita della sua autobiografia, Mi chiamavano Togliatti.

«Vincino è un populista, un antisistema, però conosce la storia, un populista che si è informato. Uno dei suoi fantasmini o silhouette dice a un altro, per spiegarsi tante cose tra padri e figli: “Voi avete avuto la guerra, noi il ‘68. Meglio noi”. C’è nient’altro da dire. Vincino ha sempre paura, è sempre in fuga da chi lo vuole prendere a botte, strilla in questura fino a impietosire i poliziotti che lo corcano, ne prende tante, ne dà qualcuna, scherza e bi-scherza, arriva nella redazione di Lotta Continua e dice di levare l’argenteria dai tavoli della redazione, niente revolver, perché è un fifone di coraggio, formato a Palermo tra i morti di mafia che non riesce a disegnare se non in pantomima, ha la faccia come il culo della satira, se ne impipa di tutto e della bella figura prima di ogni altra cosa. Il suo completo disinteresse si rovescia nell’ironia dell’avidità, si dispera come Leporello per la sua mesata: c’è sempre il problema del compenso a Vincino, che è per di più architetto, ma che vergogna, laureato con il minimo dei voti, e questo è un vanto, militante ma venduto, un piccolo borghese che ha strillato le sue battute, e stillato i suoi disegnini, nel Corriere e nel Foglio, da cui lo abbiamo provvidenzialmente licenziato, e anche se per burla lui si è messo paura, e se ne vanta per un quarto di secolo».

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L’amico Vauro su Twitter

Questa è invece una chiacchierata sulla satira tenuta con il giornalista Salvatore Merlo, e pubblicata sempre sul Foglio, nel 2015.

«Gli dico che le vignette di Charlie Hebdo a me non piacevano, che la bestemmia non è trasgressione ma aggressione, specie alle orecchie di un laico, di uno che come me in Dio non ci crede. Lui intanto ascolta, la testa affondata nelle spalle, sconsolato nel rievocare Wolinski, “ancora non ci credo che sia morto”, dice. Il più amato, Wolinski, perché forse per lui il più consanguineo, “con il suo tratto improbabile e tremolante”. Allora osservo Vincino con quel disagio che gli uomini non toccati da nessuna passione provano per i colpiti. E lui a questo punto risponde alla mia domanda, ricorda la vignetta di Charlie in cui si raffigurava un atto di sodomia tra Gesù, Dio e lo Spirito Santo: la bestemmia non è trasgressione, gli ripeto. “Io forse quella vignetta del trenino con la santissima Trinità non l’avrei fatta, io. Ma non ne sono nemmeno sicuro. Dentro la pochade ci sta tutto, e la gente è questo che cerca, la gente compra la satira perché cerca gli eccessi… Ma poi, che vuoi? Riflettere su se stessi, indagarsi, indagare? Un disegnatore di satira deve lasciarsi vivere. Deve disegnare”. Ma tu l’avresti disegnato Maometto chiappe all’aria? “Sul Male, ai tempi della guerra in Iran, disegnammo un ayatollah che se ne stava serio, diritto, in piedi, con un’enorme mezzaluna fallica che gli usciva dalla tonaca”. E insomma ci sono dei punti in cui la rozzezza squinternata coincide con l’arte, dice lui».

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