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  • Mercoledì 15 agosto 2018

Erdoğan guarda a est

In mezzo alla crisi con gli Stati Uniti, il presidente turco si è avvicinato ancora di più alla Russia di Vladimir Putin, senza però far saltare del tutto le vecchie alleanze

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (BULENT KILIC/AFP/Getty Images)
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (BULENT KILIC/AFP/Getty Images)

La crisi diplomatica tra Stati Uniti e Turchia non sembra avere margini per essere risolta in maniera rapida. I due paesi sono formalmente alleati e fanno entrambi parte della NATO, ma i loro rapporti sono precipitati negli ultimi giorni, a causa di una controversia nata attorno al caso del pastore statunitense Andrew Brunson, detenuto in Turchia con accuse di spionaggio.

Una delle conseguenze di questa situazione, che tra le altre cose ha provocato il crollo del valore della lira turca, è stato un ulteriore avvicinamento della Turchia alla Russia di Vladimir Putin. Martedì il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha incontrato ad Ankara la sua controparte russa, Sergei Lavrov, e ha criticato duramente le sanzioni occidentali. Da parte sua Lavrov ha promesso una cooperazione più stretta con la Turchia e ha accennato al fatto che in futuro i due paesi potrebbero evitare di usare il dollaro nei loro scambi bilaterali. «Questa settimana i funzionari ad Ankara hanno mostrato una chiara propensione verso Mosca», ha scritto il Wall Street Journal; e non era una cosa scontata, se si considerano le crisi che hanno caratterizzato negli ultimi anni i rapporti tra i due paesi (la più grave fu quella che iniziò dopo l’abbattimento di un aereo da guerra russo da parte dell’aviazione turca, nel novembre 2015).

I rapporti tra Turchia e Occidente, comunque, sono tesi da diverso tempo, soprattutto dal tentato colpo di stato contro il governo di Erdoğan del luglio 2016. Negli ultimi due anni Erdoğan ha accusato in più occasioni gli Stati Uniti di non voler estradare il predicatore Fethullah Gülen, in auto-esilio in territorio americano dal 1999 e ritenuto responsabile dal governo turco dell’organizzazione del golpe; e ha accusato l’Europa per avere criticato la Turchia per gli arresti e i licenziamenti di militari e dipendenti pubblici decisi contro i presunti sostenitori di Gülen e in generale contro gli oppositori del regime. Trump ed Erdoğan si erano scontrati anche sulla Siria e sulla complicata situazione dei curdi siriani, preziosi alleati degli americani nella lotta contro lo Stato Islamico (o ISIS) ma allo stesso tempo considerati dei terroristi dal governo turco. Tutte queste questioni avevano già spinto Turchia e Russia a migliorare i loro rapporti, un processo che è diventato ancora più evidente negli ultimi giorni.

Ci sono però due cose che fanno pensare che per il momento Erdoğan non cercherà di rompere definitivamente i rapporti con Stati Uniti ed Europa. Il giornalista David Gauthier-Villars ha scritto sul Wall Street Journal che nonostante negli ultimi giorni Erdoğan abbia usato toni molto duri, il governo turco non ha mai attaccato direttamente Trump, probabilmente per evitare di chiudere le porte a un eventuale accordo sulla questione del pastore Andrew Brunson: la Turchia, infatti, sta pagando a caro prezzo la crisi diplomatica con gli Stati Uniti e la decisione di Trump di raddoppiare i dazi sull’acciaio e sull’alluminio provenienti dal paese. Inoltre, ha aggiunto Matthew Karnitschnig su Politico, Erdoğan non sembra avere oggi la forza e l’interesse per indebolire i suoi già fragili rapporti con i paesi europei, soprattutto perché ha bisogno di una valuta forte che non può essere il rublo, nonostante l’avvicinamento alla Russia di Putin.