Giuseppe Conte e il caso Stamina

Il presidente del Consiglio indicato da Lega e M5S fu l'avvocato della famiglia di Sofia, la bambina diventata simbolo del trattamento senza alcuna prova scientifica, e che lui difese

Giuseppe Conte (ANSA)
Giuseppe Conte (ANSA)

Giuseppe Conte, indicato lunedì da Luigi Di Maio e Matteo Salvini come il prossimo presidente del Consiglio, durante la sua carriera da avvocato fu strettamente legato alla complessa e controversa vicenda del trattamento Stamina. Conte nel 2013 era il legale della famiglia di Caterina Ceccuti, la madre di Sofia, la bambina con una malattia neurodegenerativa non curabile (leucodistrofia metacromatica), che nella forma infantile porta alla morte a circa cinque anni di distanza dalla comparsa dei primi sintomi. La bambina divenne il caso più noto della vicenda Stamina, trattamento che secondo i suoi sostenitori conteneva “cellule staminali”, ma la cui presenza non è stata mai riscontrata nei test di laboratorio eseguiti in Italia da quando furono avviate verifiche di tipo sanitario e giudiziario nei confronti dell’organizzazione. Il caso ha portato a processi e al patteggiamento di Davide Vannoni, il principale promotore del trattamento.

Conte ebbe un ruolo rilevante nella storia di Sofia nel 2013, quando lavorò a un ricorso per ottenere da un giudice di Livorno che la bambina potesse proseguire il trattamento Stamina, sul quale all’epoca c’erano già grandi dubbi e la mancanza di prove sulla sua efficacia. La richiesta fu presentata dai genitori di Sofia con l’assistenza legale di Conte, che aveva trovato il modo per accelerare i tempi del ricorso dopo che un’iniziativa legale analoga era stata respinta dal tribunale di Firenze pochi mesi prima. Il ricorso a Livorno fu reso possibile grazie al cambio di residenza della famiglia in quella provincia, provando di avere vissuto “stabilmente nell’ultimo anno e mezzo dalla diagnosi di Sofia” nella zona, secondo quanto era stato dichiarato dal padre della bambina.

Complici le pressioni dei media, con campagne-inchieste ricorrenti da parte delle Iene, nel 2013 il caso Stamina era al centro del dibattito pubblico e politico. Proprio quelle pressioni e le richieste da parte delle famiglie di persone con gravi malattie portarono il governo ad autorizzare per decreto, con conversione in legge da parte del Parlamento, la sperimentazione del trattamento e il proseguimento delle cosiddette “cure compassionevoli”. Il Movimento 5 Stelle – che ha indicato Conte a futuro presidente del Consiglio e lo aveva già presentato come suo futuro ministro, in campagna elettorale – si schierò a favore di Stamina ritenendo che il trattamento fosse “efficace”, anche se in totale assenza di prove scientifiche e di una corretta revisione del sistema.

Il caso Stamina si sarebbe trascinato ancora a lungo, prima che fosse definitivamente bocciato da una commissione del ministero della Salute e che Vannoni ricevesse pene pesanti, come quella patteggiata a 22 mesi per associazione a delinquere. In quegli anni, si parlò di Giuseppe Conte come di un riferimento dal punto di vista del confronto legale su Stamina. Conte naturalmente faceva l’interesse dei suoi clienti, ma – come segnala il Manifesto – fu tra i partecipanti di una associazione creata appositamente durante il caso Stamina per sostenere la “libertà di cura”.

A giudicare dalle iniziative di questo tipo e dalle dichiarazioni rese all’epoca ai media, sembra che Conte fosse persuaso dell’efficacia di Stamina, e non solo impegnato nel fare gli interessi legali dei propri clienti. L’associazione onlus “Voa Voa” – dal titolo del libro scritto dalla madre di Sofia, Caterina Ceccuti – era stata promossa dall’attrice Gina Lollobrigida e aveva tra i beneficiari la Fondazione Stamina di Vannoni. In un articolo pubblicato su La Nazione nel giugno del 2013, e ancora consultabile in pdf sul sito di “Voa Voa”, si faceva riferimento a un “Comitato per la Fondazione Onlus Voa Voa!”. Giuseppe Conte era stato indicato tra i componenti del comitato di “Voa Voa” e tra i firmatari dell’iniziativa.

In una intervista diffusa nel pomeriggio di oggi da Adnkronos, Guido De Barros, il padre di Sofia, ha detto che non gli risulta che Conte fosse “tra i firmatari del comitato Voa Voa”. De Barros ha spiegato che Conte “non chiese alcun compenso professionale, fece tutto pro bono per aiutare la nostra famiglia”, definendo il rapporto con la sua famiglia di “natura solidaristica”.

Su Repubblica di mercoledì 23 maggio, Conte ha negato in un’intervista di avere fatto parte in modo attivo di “Voa Voa” e ha aggiunto di non avere mai conosciuto Vannoni: “Confermo di non aver mai incontrato Vannoni e di non aver mai fatto parte del comitato della fondazione. Ho solo assistito in giudizio due genitori disperati come i coniugi De Barros”.