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  • Mercoledì 2 maggio 2018

Quel Roma-Liverpool del 1984

Era la finale di Coppa dei Campioni, l'unica mai disputata dalla Roma: si giocò all'Olimpico e finì male

Lo Stadio Olimpico prima della partita (UEFA)
Lo Stadio Olimpico prima della partita (UEFA)

Questa sera la Roma giocherà la partita più importante della sua storia recente, il ritorno della semifinale di Champions League contro il Liverpool. Nella partita di andata, però, ha perso 5-2: questo vuol dire che per passare il turno e qualificarsi alla finale la Roma dovrà compiere un’altra impresa (dopo quella contro il Barcellona) e vincere almeno 3-0. Con questo risultato si qualificherebbe alla seconda finale di Champions League della sua storia: la prima la giocò nel 1984 — quando il torneo si chiamava ancora Coppa dei Campioni — proprio contro il Liverpool e proprio allo Stadio Olimpico, dove le due squadre si affronteranno stasera. La sconfitta nella finale del 1984 è tuttora uno dei ricordi più vivi nell’ambiente dei tifosi romanisti, per come arrivò e per tutto quello che successe durante e dopo la partita, anche per chi quel giorno non c’era e non ha ricordi del Liverpool di Bruce Grobbelaar, Ian Rush e Kenny Dalglish.

La finale si giocò il 30 maggio, otto anni dopo la prima finale di Coppa Campioni disputata all’Olimpico di Roma, vinta peraltro dal Liverpool contro i tedeschi del Borussia Mönchengladbach. In quegli anni il Liverpool e il calcio inglese stavano attraversando uno dei loro momenti migliori e più vincenti. Dal 1977 al 1984 la Coppa dei Campioni fu vinta sempre — tranne un anno — da squadre inglesi, le migliori dell’epoca: il Liverpool allenato da Bob Paisley prima e Joe Fagan poi, il Nottingham Forest di Brian Clough e l’Aston Villa di Tony Barton. Fra queste tre, il Liverpool fu la squadra che vinse di più e con maggior regolarità. Oltre agli otto campionati inglesi, la squadra fu capace di vincere quattro Coppe dei Campioni in otto anni.

La squadra che affrontò la Roma all’Olimpico era all’apice di un nuovo ciclo vincente iniziato con l’arrivo in panchina di Joe Fagan, che nel 1983 aveva sostituito Bob Paisley, di cui negli anni passati era stato vice allenatore. La squadra era composta da giocatori ricordati tuttora come i più rappresentativi del club, i vari Bruce Grobbelaar, Ian Rush, Graeme Souness e Kenny Dalglish: un miscuglio omogeneo di britannici e irlandesi a cui Fagan diede un gioco di stile europeo pur mantenendo in parte l’impronta del calcio inglese. Fu questa la chiave principale del successo di quel Liverpool. In campo europeo la squadra giocava infatti a viso aperto: ai lanci lunghi per le progressioni in profondità preferiva la costruzione delle azioni palla a terra, dalla difesa, con i giocatori che erano soliti scambiarsi le posizioni in campo a partita in corso. Ma era pur sempre una squadra inglese degli anni Ottanta, allenata da gente abituata al calcio inglese degli anni ancora precedenti, e che quindi prendeva ogni partita come una battaglia: non perse mai l’intensità dei ritmi e l’inclinazione a giocare un calcio ruvido e molto fisico.

Dal canto suo, anche la Roma si trovava in uno dei periodi più vincenti della sua storia. Allenata ad intermittenza dallo svedese Nils Liedholm — in carica dal 1974 al 1977 e poi dal 1979 al 1984, dopo due stagioni al Milan — negli anni precedenti aveva vinto due Coppa Italia (ne vincerà una anche nel 1984) e l’anno precedente il secondo Scudetto nella storia del club. La squadra era una delle più forti mai avute dalla Roma. In porta c’era Franco Tancredi; la difesa era a quattro, formata dai terzini Michele Nappi e Aldo Maldera, con al centro Dario Bonetti e Ubaldo Righetti; il centrocampo giocava a tre con il capitano Agostino Di Bartolomei in posizione arretrata dietro ai brasiliani Falcao e Tonino Cerezo; in attacco, tridente formato da Francesco Graziani (detto Ciccio) e Bruno Conti a sostegno del centravanti Roberto Pruzzo. Era una squadra che oggi in molti definiscono ancora moderna, a cui Liedholm diede principi di gioco simili a quelli del calcio olandese, su tutti l’uso della difesa a zona.

La finale della Coppa Campioni fu quindi giocata dalle due squadre più forti e moderne di quella stagione. Una cosa però le divideva: l’esperienza e l’abitudine a giocarsi tornei così importanti in partite secche. Il Liverpool, lo abbiamo detto, era una squadra esperta e in gran parte abituata a partite di alto livello. Per la Roma quella era soltanto la prima finale dopo una storia europea tutto sommato anonima. Aveva in squadra due campioni del mondo del 1982, di cui uno era un fuoriclasse di livello mondiale: Bruno Conti. L’altro fuoriclasse in squadra era il brasiliano Paulo Roberto Falcao, che però venne preso di mira con un serie di interventi duri da parte dei giocatori del Liverpool già nel primo tempo e nel resto della partita non riuscì mai a incidere. Fu anche parecchio sfortunata, la Roma: l’altro suo giocatore fondamentale, l’attaccante Roberto Pruzzo, uscì dal campo dopo un’ora di gioco per dei dolori intestinali.

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Il Liverpool andò in vantaggio dopo un quarto d’ora grazie al gol di Phil Neal, terzino destro che sugli sviluppi di un’azione in attacco si era portato fino in area di rigore. Il gol nacque da un cross dalla trequarti destra del Liverpool, che fu preso in aria da Tancredi, il portiere della Roma, il quale però mollò la presa dopo un contrasto con Ronnie Whelan non giudicato falloso dall’arbitro. Bonetti raggiunse il pallone per primo, se lo portò avanti di testa ma sul rinvio colpi Tancredi sulla schiena. La palla finì nel mezzo dell’area di rigore, dove Neal arrivò prima dei difensori della Roma. Nonostante il colpo, la Roma riuscì a raggiungere il pareggio a pochi minuti dall’intervallo. Il gol fu merito soprattutto di Conti e Pruzzo. Dal lato sinistro del campo, Conti lanciò la palla in area di rigore avversaria con un cross calciato di controbalzo che Pruzzo mandò in rete con una torsione d’istinto.

Per il Liverpool la fatica di quel primo tempo, giocato peraltro in un Olimpico teso e rumoroso, si fece sentire nella ripresa, dove la Roma prese il controllo del campo, senza però riuscire a tramutarlo nel gol del vantaggio. La partita proseguì ai tempi supplementari e poi ai calci di rigore (per la prima volta nella storia delle finali di Coppa Campioni). La Roma, senza uno dei suoi migliori rigoristi, Maldera, squalificato e sostituito in campo da Sebino Nela, segnò il primo rigore con Di Bartolomei dopo che il Liverpool ne sbagliò uno con Nicol. Phil Neal pareggiò ma poi Conti calciò alto. Il Liverpool segnò i due successivi mentre Graziani sbagliò il quarto e ultimo rigore della Roma tirandolo alto sopra Grobbelaar, le cui strane movenze fatte per distrarre entrarono nella storia del torneo e del Liverpool, che poi vinse con l’ultimo calcio di rigore segnato da Alan Kennedy.

Per la Roma e i suoi tifosi perdere la finale di Coppa Campioni nel proprio stadio fu un colpo durissimo. Dopo la partita, nelle strade attorno all’Olimpico ci furono violenti scontri fra le due tifoserie: “una guerriglia” secondo le cronache di quel giorno, con tifosi accoltellati e bastonati e assalti ai pullman dei tifosi inglesi. Nella stessa serata della finale, Antonello Venditti si esibiva in concerto al Circo Massimo. Dopo la notizia della sconfitta cantò commosso insieme al pubblico l’inno “Roma Roma Roma”.

Quell’anno la Roma vinse la Coppa Italia, e fu l’ultimo successo di una squadra rimasta nella storia del club per le vittorie e per i giocatori che la composero. L’anno seguente Liedholm tornò al Milan e a Roma arrivò un altro allenatore svedese, Sven-Goran Eriksson, che non ebbe le stesse fortune. Di Bartolomei, il capitano, seguì Liedholm al Milan mentre l’anno successivo Falcao tornò in Brasile. Di Bartolomei non torno più a Roma e si ritirò nel 1990. Il 30 maggio del 1994, morì suicida a 39 anni: non si è mai capito se fu o no una coincidenza, ma Di Bartolomei si uccise esattamente dieci anni dopo la finale persa contro il Liverpool.

 

Qui le informazioni per seguire in diretta Roma-Liverpool, stasera.