Smettere di mangiare carne porta meno benefici del previsto contro il riscaldamento globale

Almeno secondo un nuovo studio che ha ipotizzato cosa accadrebbe se negli Stati Uniti diventassero di colpo tutti vegani

(Joe Raedle/Getty Images)
(Joe Raedle/Getty Images)

Gli allevamenti producono moltissimo gas serra, la principale causa del riscaldamento globale, e per questo motivo si sente spesso dire che una loro netta riduzione consentirebbe di far diminuire le emissioni, mitigando gli effetti che stanno portando al cambiamento climatico. Questo assunto è diventato ricorrente al punto da essere quasi un luogo comune nel dibattito sul riscaldamento globale, ma come ha dimostrato una recente ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica PNAS, l’eliminazione degli allevamenti e il passaggio a una dieta sostanzialmente vegana avrebbe un impatto marginale nel limitare le emissioni di anidride carbonica (CO2) e degli altri gas serra. Lo studio è stato accolto con interesse dagli studiosi delle cause dei cambiamenti climatici, perché offre nuove prospettive sugli approcci da seguire per arginare il problema.

La ricerca è stata realizzata da Robin R. White del Virginia Tech e da Mary Beth Hall del dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, che hanno lavorato insieme per realizzare un modello matematico e simulare una specie di realtà alternativa dove tutti i 320 milioni di statunitensi decidono di diventare vegani e di non mangiare più prodotti derivati dagli animali. Secondo i loro calcoli, se l’intera nazione passasse a una dieta senza bistecche e compagnia le emissioni di gas serra dovute alle attività agricole diminuirebbero del 28 per cento, una riduzione notevole, ma comunque distante dal 49 per cento delle emissioni di cui sono responsabili gli allevamenti. Ci sarebbero inoltre problemi per la popolazione, che non avrebbe a disposizione importanti nutrienti come il calcio e alcune vitamine.

White ha spiegato su Science di essere partita in modo radicale con la sua simulazione: “La nostra logica è stata iniziare con uno scenario estremo”, lavorando poi a ritroso per valutare varie implicazioni. Insieme con la sua collega, White ha stimato gli effetti di una conversione delle attuali coltivazioni per gli allevamenti a piantagioni per il consumo di cibo da parte della popolazione. Nel complesso, aumenterebbe la quantità di rifiuti prodotti in agricoltura (come le parti non commestibili del mais e di altri ortaggi) che di solito non vengono buttate e utilizzate per nutrire gli animali. Nel caso in cui si decidesse di incenerire questi prodotti di scarto, per smaltirli, si produrrebbero non meno di 2 milioni di tonnellate di CO2 in più ogni anno. Aumenterebbe anche il consumo di fertilizzanti sintetici, sia per l’accresciuta produzione di vegetali, sia per la mancanza di sistemi più naturali per la fertilizzazione come il letame. La produzione di maggiori quantità di fertilizzanti sintetici porterebbe all’emissione di 23 milioni di tonnellate di CO2 in più nell’atmosfera ogni anno.

A conti fatti, dice la ricerca, anche se gli allevamenti sono attualmente responsabili del 49 per cento delle emissioni in agricoltura negli Stati Uniti, il passaggio a una dieta vegana non eliminerebbe quella intera quota di gas serra. Nella migliore delle ipotesi, e cioè nel caso di una soluzione radicale su larga scala difficile da realizzare, le emissioni di CO2 legate all’agricoltura passerebbero da 623 milioni di tonnellate a 446 milioni di tonnellate all’anno. Ci sarebbe quindi un miglioramento più contenuto di quanto immaginato spesso dal luogo comune sugli allevamenti. Lo studio valuta questi aspetti, concentrandosi meno su quelli economici, e naturalmente ci sarebbero implicazioni di altro tipo: da quelle dell’occupazione, in un settore che impiega milioni di persone, ai consumi e alle abitudini di un’intera nazione.

White e Hall hanno anche tenuto in considerazione un altro effetto, spesso trascurato in studi di questo tipo: le conseguenze sul piano nutrizionale. Una dieta a base di soli vegetali non consentirebbe di soddisfare le necessità di calcio, acidi grassi e vitamine B12 e A per un corretto funzionamento dell’organismo. I vegani riescono a compensare facendo attenzione alla loro dieta e aumentando il consumo di alcuni alimenti più ricchi di queste sostanze, ma i cibi che consentono di farlo non sono prodotti in quantità sufficienti per tutti e la dieta non sarebbe quindi sostenibile per l’intera popolazione statunitense.

L’articolo su PNAS ha ricevuto diversi commenti da parte di altri ricercatori, che in alcuni casi non hanno nascosto le loro perplessità per le conclusioni, sia sul piano delle emissioni sia su quello nutrizionale. Per quanto riguarda la dieta, si potrebbero organizzare diversamente le coltivazioni, per modificare la loro resa e utilizzarle per la produzione dei vegetali con sostanze nutritive che possono sostituire quelle della carne. Secondo altri detrattori, lo studio considera gli Stati Uniti come un sistema chiuso e non tiene per esempio in considerazione l’importazione di carne da altri paesi. Se gli statunitensi smettessero di importare carne, ci potrebbero essere ulteriori riduzioni nelle emissioni nei paesi produttori, come Argentina e Brasile.

Fare simulazioni che prendano in considerazione tutti gli effetti di un cambiamento così radicale è impossibile, ma il lavoro di White e Hall è comunque interessante e s’inserisce nel filone di ricerche che aiutano (o dovrebbero aiutare) i governi a calibrare diversamente le loro politiche sia dal punto di vista energetico che produttivo. Il cambiamento climatico costerà sempre di più ai governi e per questo mitigarne gli effetti potrebbe contribuire a ridurre la spesa, senza contare i benefici per l’ambiente e tutti noi.