• Libri
  • Lunedì 2 ottobre 2017

Un po’ di cose su “Furore”, letto da Baricco su Rai3

Il romanzo di John Steinbeck uscì nel 1939, parla di povertà e migranti ed è uno dei più famosi della narrativa americana

Manoscritti e lettere dall'archivio di John Steinbeck 
(AP Photo/Bebeto Matthews)
Manoscritti e lettere dall'archivio di John Steinbeck (AP Photo/Bebeto Matthews)

Questa sera su Rai3 è andato in onda “Steinbeck, Furore”, un programma in cui lo scrittore Alessandro Baricco ha letto in diretta alcuni passi del romanzo Furore scritto dall’americano John Steinbeck e pubblicato nel 1939 con il titolo The Grapes of Wrath. Baricco, che con questo programma è tornato su Rai3 dopo vent’anni, è stato accompagnato da una selezione musicale di Francesco Bianconi dei Baustelle: l’evento ha riproposto la lettura tenuta nel periodo del Salone del libro di Torino lo scorso maggio, e anche in questo caso si è svolta nello spazio MRF di Torino Mirafiori. È stato organizzato per la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, che cade il 3 ottobre e che l’anno scorso era stata commemorata con la messa in onda del documentario Fuocoammare.

La copertina originale di Furore, del 1939

Furore è considerato un “Great American Novel”, un grande-romanzo-americano, uno di quelli in grado di dipingere e incarnare lo spirito degli Stati Uniti in un momento storico, un racconto epico che riassume e rappresenta l’intera nazione: altri romanzi del genere sono Il Grande Gatsby di Frances Scott Fitzgerald, Via col Vento di Margaret Mitchell, Il giovane Holden di J.D. Salinger e, tra i più recenti, Pastorale Americana di Philip Roth. Steinbeck, che aveva 37 anni quando uscì Furore, ci mise cinque mesi a scriverlo: cento giorni di solo lavoro, al ritmo di duemila parole al giorno. Lo iniziò nel maggio del 1939 e lo terminò, esausto, in ottobre. All’epoca aveva già scritto Uomini e topi, tradotto in Italia per Bompiani da Cesare Pavese, ma Furore è la sua opera più famosa e rappresentativa: uscì il 14 aprile del 1939 e divenne subito un caso politico e di denuncia sociale, più che letterario; fu il libro più venduto negli Stati Uniti in quell’anno e in quello successivo, vinse il premio Pulitzer per la narrativa e contribuì all’assegnazione del Nobel per la letteratura a Steinbeck, nel 1962.

John Steinbeck dopo la notizia che aveva vinto il Nobel per la letteratura nello studio del suo editore a New York, nel 1962
(AP Photo/Anthony Camerano)

Steinbeck raccontò di aver voluto «mettere un’etichetta vergognosa su quei bastardi avidi che sono responsabili» della Grande Depressione e delle sue conseguenze, e di aver «fatto del mio meglio per far saltare i nervi al lettore» a ogni pagina: ci riuscì e Furore divenne il romanzo di denuncia della Grande Depressione degli anni Trenta, raccontando il viaggio della speranza dei contadini affamati del Midwest verso la più prospera California, dove Steinbeck stesso era nato. Ebbe un impatto paragonabile ai reportage di fotografi come Walker Evans e Dorothea Lange commissionati dalla Farm Security Administration, l’agenzia governativa che cercava di alleviare la crisi di contadini e allevatori durante la Grande Depressione: venne bandito in alcune librerie, bruciato, accusato di essere mistificatore, usato come baluardo da operai e socialisti e difeso dalla First Lady Eleanor Roosevelt. In breve, divenne anche un manifesto a sostegno del New Deal del presidente Franklin D. Roosevelt. Dalla sua pubblicazione ha venduto 14 milioni di copie, è stato tradotto in tutto il mondo, citato in canzoni, film e serie tv, e nel 1940 fu adattato in un film diretto da John Ford e interpretato da Henry Fonda, che vinse l’Oscar per la miglior regia e per la miglior attrice non protagonista, a Jane Darwell.

Furore racconta la storia di povertà e disperazione di una delle tante famiglie americane colpite dalla Grande Depressione e in particolare l’esodo dal Midwest, dove la siccità e il Dust Bowl, le tempeste di sabbia, avevano distrutto i raccolti: le famiglie pativano la fame e non potevano pagare i debiti alle banche, che requisivano le fattorie lasciandole ancora di più in povertà, con l’unica speranza di spostarsi vesto Ovest in cerca di lavoro e paghe migliori. Il fenomeno, seppur più devastante, ricorda quello dei nuovi poveri americani: bianchi e protestanti, gente abituata alla fatica e che nonostante la fatica non riusciva più a sopravvivere.

John Steinbeck circondato da lettori e ammiratori a Mosca, 21 ottobre 1963
(AP Photo)

Il romanzo è lo sviluppo di The Harvest Gypsies, una serie di cinque articoli scritti da Steinbeck, illustrati da Lange e pubblicati nel 1936 sul San Francisco News per raccontare la vita di contadini e allevatori scappati dal Midwest e impiegati nell’industria agricola californiana. Steinbeck li scrisse servendosi dei rapporti inviatigli da Tom Collins, a capo di uno dei campi allestiti in California dal governo federale per i migranti del Midwest. Molti di questi erano stati scritti da Sanora Babb, che lavorava per Collins e ogni sera prendeva appunti sulle storie che le venivano raccontate per scrivere un libro: lo propose nel 1936 con il titolo Whose Names are Unknown, ma la casa editrice Random House lo rifiutò per non sovrapporlo a Furore; uscì soltanto nel 2004, un anno prima della morte di Babb.

Furore si apre con il rilascio dal carcere del contadino Tom Joad, condannato per aver ucciso l’uomo che l’aveva accoltellato. Lungo il viaggio di ritorno verso la sua fattoria in Oklahoma incontra Casy, un suo compagno di scuola diventato predicatore; arrivati a casa scoprono che la famiglia è ridotta in povertà, è rimasta senza la fattoria espropriata dalla banca ed è finita a vivere dallo zio John Joad, che ha rifiutato di andarsene. La famiglia decide allora di trasferirsi in California e attraversa mezzo paese viaggiando sull’autostrada 66: incontra orde di altri migranti, dorme in tende improvvisate e ascolta le storie di quelli tornati dalla California. Il nonno e la nonna muoiono durante il viaggio mentre Rosa Tea, la sorella incinta di Tom, viene abbandonata dal marito. Il personaggio della madre fa coraggio a tutti mantenendo viva la speranza.

Una donna con cinque figli scappata dall’Oklahoma e rifugiatasi in California, vicino a Fresno, a causa della siccità e della carestia provocata dal Dust Bowl, 18 maggio 1937 (AP Photo)

Arrivati in California, i protagonisti scoprono che è diversa dalla terra promessa che immaginavano: è piena di migranti in cerca di lavoro, gli stipendi sono bassi, gli operai sono sfruttati e ridotti alla fame. C’è un campo profughi organizzato dal governo che però non ha risorse per tutti. I Joad trovano lavoro in un frutteto mentre Casy organizza un gruppo sindacale, è coinvolto in una manifestazione che diventa violenta e viene ucciso da un poliziotto, a sua volta ucciso da Tom che assiste alla scena e poi scappa e va a lavorare in un campo di cotone. Rosa Tea partorisce un bambino morto, la casa in cui vive la famiglia viene allagata dalle piogge e la famiglia si rifugia così in un vecchio granaio. Qui vivono un ragazzino e suo padre, ridotti alla fame. Rosa Tea pietosamente offre all’uomo di allattarlo e sfamarlo, in una delle scene più famose della narrativa americana.

La famiglia Barnett nella tenda improvvisata in cui vivevano a Bakersfield, in California, dove erano arrivati dopo essere scappati dal Dust Bowl, 23 luglio 1937 (AP Photo)

Il titolo originale doveva essere inizialmente The Oklahomans, Gente dell’Oklahoma, ma poi Steinbeck ascoltò il consiglio della moglie Carol e lo cambiò con The Grapes of Wrath, che significa “I frutti dell’ira”: è un verso tratto da The Battle Hymn of the Republic della poetessa femminista Julia Ward Howe, a sua volta una citazione dell’Apocalisse. In Italia venne tradotto con Furore da Carlo Coardi per Bompiani, che fino al 2013 rimase l’unica traduzione italiana disponibile del romanzo; in quell’anno venne aggiornata da una più recente di Sergio Claudio Perroni, sempre per Bompiani.

55 vecchie fotografie americane