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  • Giovedì 29 giugno 2017

Israele vuole costruire un’isola artificiale vicino a Gaza

È un'idea che circola da un po', da ieri c'è anche un video che mostra che aspetto potrebbe avere

Il ministero dei Trasporti israeliano sta facendo circolare di nuovo l’idea di costruire un’isola artificiale nella Striscia di Gaza per dotarla di un porto commerciale, cosa che potenzialmente allevierebbe i gravissimi problemi economici della zona. Di questa possibilità si parla almeno dal 2011, ma negli ultimi mesi è diventata più concreta: il ministro dei Trasporti israeliano Yisrael Katz ne parla spesso in pubblico e nelle interviste, e ieri il governo ha diffuso un video in cui illustra i rendering del progetto.

Secondo il progetto presentato dal governo israeliano, l’isola sarà grande otto chilometri quadrati e sarà collegata alla terraferma con un ponte di cinque chilometri. Dovrà ospitare un porto, uno scalo per le merci, una centrale di desalinizzazione ed eventualmente un aeroporto (quello di Gaza è stato distrutto da Israele fra il 2001 e il 2002). Il costo stimato per l’intero progetto è di 5 miliardi di dollari, che dovrebbero arrivare da fondi internazionali. Israele stima che per costruire l’intera area sarebbero necessari cinque anni. Il progetto prevede che il governo israeliano si occupi della sicurezza dell’isola con l’appoggio della comunità internazionale.

Il progetto è stato criticato sia in Israele che in Palestina. I critici israeliani lo ritengono poco pratico e difficilmente realizzabile, mentre i palestinesi temono che le autorità israeliane vogliano rendere permanente il loro controllo sulle merci e le persone che entrano a Gaza (la Striscia è sotto embargo dal 2007). Considerati i cattivi rapporti con Hamas – il gruppo politico-terrorista che controlla la Striscia di Gaza dal 2007 – il governo israeliano conta sull’appoggio di Fatah, il partito moderato che governa in Cisgiordania e di cui fa parte il presidente palestinese Mahmoud Abbas. I leader di Fatah però non sembrano molto convinti: qualche mese fa Nabil Shaath, il consigliere di Abbas per gli affari esteri, ha detto al Times of Israel che i palestinesi «sono capaci di prendersi cura di sé stessi. Abbiamo solamente bisogno che Israele ci lasci in pace e che tolga l’embargo sulla Striscia di Gaza».

Da anni i due milioni di persone che abitano nella Striscia di Gaza vivono in condizioni molto precarie, sia a causa dell’embargo – che limita la disponibilità di diversi beni e impedisce lo sviluppo economico dell’area – sia per le condizioni imposte da Hamas, che governa grazie al pesante impiego di milizie paramilitari. Il tasso di disoccupazione è superiore al 40 per cento ed è considerato il più alto al mondo. Le carenze di beni essenziali come acqua e medicine sono frequenti. Nelle ultime settimane, per via di un nuovo litigio fra Hamas e Fatah, gli abitanti della Striscia stanno ricevendo luce ed elettricità solamente per poche ore al giorno, come già accaduto altre volte negli ultimi anni.

Alcuni hanno fatto notare che Katz potrebbe spingere per la realizzazione del progetto per ragioni personali: da qualche tempo si è fatto portavoce dell’ala più moderata del Likud, il partito israeliano di destra del primo ministro Benjamin Netanyahu, e ha già fatto capire che intende guidare il partito e il paese dopo che Netanyahu esaurirà il suo mandato.

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