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  • Martedì 15 novembre 2016

Le democrazia è questo

Le proteste contro l'elezione di Donald Trump sono pericolose – oltre che inutili – dice Petula Dvorak del Washington Post

di Petula Dvorak – The Washington Post

Dei manifestanti protestano contro l'elezione di Donald Trump a Seattle, nello stato di Washington, il 14 novembre 2016 (JASON REDMOND/AFP/Getty Images)
Dei manifestanti protestano contro l'elezione di Donald Trump a Seattle, nello stato di Washington, il 14 novembre 2016 (JASON REDMOND/AFP/Getty Images)

Cosa è andato perduto nelle elezioni statunitensi della settimana scorsa? La decenza. L’umanità. La moralità. A 360 gradi. Dai manifestanti a Portland, in Oregon, ai razzisti che hanno demolito il senso di sicurezza a Silver Spring, in Maryland, troppe persone stanno minando le fondamenta del nostro paese all’indomani di un’elezione polarizzante. E il primo punto all’ordine del giorno è sistemare le cose: è una questione che riguarda la democrazia.

Donald Trump sarà il presidente degli Stati Uniti. Dire cose come #nonilmiopresidente equivale a dire #nonèlamiacostituzione o #nonèilmiopaese o #nonèlamiaamerica. Questa è la nostra America. Di tutti noi. Sì, Hillary Clinton ha ottenuto più voti su base nazionale. La maggioranza degli americani che è andata a votare la settimana scorsa ha votato per lei (e vergognosamente il 43 per cento di voi è rimasto a casa, in totale: se siete tra queste persone, sarà meglio che non abbiate partecipato a quelle proteste). Ma è la stessa Costituzione che dà ai manifestanti il diritto di riunirsi pacificamente ad aver creato il collegio elettorale che ha consegnato la Casa Bianca a Trump. La democrazia è questo, e spaccare vetrine nelle città, bruciare bandiere nei campus universitari o uscire dalle classi nei licei non cambierà le cose. Né dovrebbe cambiarle. Capisco che sfogare la propria rabbia contro tutto quello che Trump rappresenta e mostrare al mondo che non siamo tutti d’accordo con lui faccia sentire bene. Ma serve solo a fornire ai comici del materiale valido per i loro monologhi. In qualche modo, una parte di persone americane per bene ha perso la capacità di controllare i suoi impulsi sbagliati.

Gli sconfitti arrabbiati che stanno contestando il processo democratico sono inutili quanto i vincitori traboccanti d’odio che girano per le città dipingendo di nascosto svastiche e graffiti razzisti. Voglio mettere in chiaro che l’unica differenza tra i due è che gli uni sono ridicoli mentre gli altri sono pericolosi. Ma in realtà anche questo non è del tutto vero. Il graffito con la scritta “solo per bianchi” scarabocchiato nella chiesa episcopale di Silver Spring e le svastiche disegnate nel bagno di una scuola media di Bethesda, in Maryland, sono riferimenti a orrori reali e sanguinosi della storia. Lo stesso vale per la svastica con cui è stata imbrattata una chiesa in Indiana e la scritta “#Soloperbianchi” apparsa su una porta in Minnesota. Il tessuto connettivo tra tutti gli odiati? La parola “Trump”, che ha accompagnato la maggior parte degli atti vandalici. In Indiana, fuori da una chiesa, sono arrivati a scrivere “Heil Trump”.

Ci sono poi stati gli studenti di quinta elementare a Ventura, in California, che hanno intonato il coro «Costruisci un muro!», i muri di Durham, in North Carolina, imbrattati con la scritta “Le vite dei neri non contano, e nemmeno il vostro voto” [un riferimento al movimento Black Lives Matter, ndt], e le bandiere confederate fatte sventolare durante una parata in occasione della Festa dei reduci di guerra a Petaluma, in California. Ad alcune donne è stato strappato l’hijab dalla testa in pubblico, e una maestra elementare musulmana in Georgia ha ricevuto un messaggio inquietante in cui le si diceva di impiccarsi con il suo velo. Una studentessa della University of Michigan è stata minacciata di essere bruciata viva se non si fosse tolta l’hijab.

Queste azioni deplorevoli hanno l’obiettivo di terrorizzare minoranze religiose ed etniche. Devono essere condannate e non basta un distaccato e timido “smettetela”, come quello pronunciato da Trump in un’intervista durante il programma 60 Minutes di domenica. La decisione di Trump di portare alla Casa Bianca come suo consigliere e stratega Stephen K. Bannon – che ha guidato la sua campagna elettorale ed è considerato razzista, antisemita e misogino – è semplicemente agghiacciante. Tutto questo però non giustifica le proteste contro il risultato delle elezioni, che sono il cuore della democrazia americana. Quando i giovani reagiscono bruciando bandiere e uscendo di classe, forse si sentono meglio. Ma vi ricordate come anche dopo l’elezione del presidente Obama nel 2008 e nel 2012 le cose non fossero tutte rose e fiori? Quando delle famiglie nere si trovarono croci in fiamme sul prato di casa, i manifestanti avevano cartelli con disegni di cappi e caricature razziste, o folle di persone bruciavano la sua immagine? Quelle persone stavano protestando contro la vittoria di Obama. Probabilmente, nella loro compagine d’odio, quelle azioni li fecero sentire meglio, ma non servirono minimamente a cambiare l’indirizzo di Obama per otto anni.

Questo ci porta a una considerazione: protestare contro il nostro processo democratico è anche pericoloso. Protestate contro qualcosa che potete cambiare, come fecero i manifestanti che combatterono per i diritti civili, per dare alle donne il diritto di voto, o farci ritirare dalla guerra. Protestate contro le azioni e le politiche di Trump. Fate pressione sui membri del Congresso. Sbattetevi per liberarvi del collegio elettorale, se siete stufi di questo sistema. Alle elezioni del 2018 sostenete candidati che possano davvero cambiare le cose. Agli studenti che escono di classe dico di aggrapparsi a quella rabbia e portarla con loro nell’età adulta, di combattere l’autocompiacimento e lottare per il sistema che vogliono. La democrazia è questo. Donald Trump presidente? Anche questo è democrazia.

© 2016 – The Washington Post