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  • Lunedì 19 settembre 2016

I giornalisti possono usare i social network per le insinuazioni?

Un importante giornalista di Newsweek ha scritto una cosa pesante su Donald Trump, senza prove, ed è stato molto criticato da esperti e colleghi

di Paul Farhi – The Washington Post

Kurt Eichenwald nel 2009 a New York (Charles Eshelman/Getty Images)
Kurt Eichenwald nel 2009 a New York (Charles Eshelman/Getty Images)

Kurt Eichenwald è un giornalista investigativo di lunga esperienza e con alle spalle un libro diventato un bestseller e anni di lavoro tra New York Times, Vanity Fair e, attualmente, Newsweek. Viene quindi da chiedersi cosa stesse pensando quando martedì ha scritto su Twitter: «Credo che nel 1990 Trump sia stato ricoverato in un istituto di cura mentale per un esaurimento nervoso: è per questo che non diffonde la sua documentazione medica». Non ci sono prove che dimostrino che Trump sia mai stato ricoverato per un problema del genere, e infatti Eichenwald non ne cita nessuna. Il tweet è stato cancellato velocemente dal profilo di Eichenwald, ma ha fatto in tempo a raccogliere centinaia di retweet e “mi piace” e circolare moltissimo. Mercoledì Eichenwald e il direttore di Newsweek, Jim Impoco, non hanno risposto a ripetute richieste di commenti. Lo strampalato e apparentemente falso tweet di Eichenwald, però, mostra ancora una volta come sui social network i giornalisti siano tentati dall’oltrepassare i confini della condotta professionale.

La facilità con cui è possibile postare su Twitter o Facebook ha spinto un numero consistente di giornalisti a fare quello che ci si aspetta non facciano durante il loro lavoro: far circolare opinioni o voci che non sarebbero mai all’altezza della pubblicazione sui giornali o per cui lavorano. Se da una parte gli editori spingono i giornalisti a interagire con i lettori sui social network, alcuni di loro non si sono limitati a incoraggiare il dibattito o promuovere il loro lavoro. Ci sono casi di giornalisti licenziati o richiamati dal proprio datore di lavoro per post che hanno sollevato dubbi sulla loro correttezza o neutralità rispetto a una storia. Lo scorso autunno, per esempio, Elise Labott di CNN fu sospesa per due settimane per aver postato un tweet di parte su un voto sui profughi alla Camera dei Rappresentanti americana.

La maggior parte delle società di news hanno elaborati codici di condotta che chiariscono cosa è accettabile fare online e cosa no per i loro giornalisti. In sostanza, le regole si riducono a questo: non postare niente che non sarebbe ritenuto accettabile in un articolo. «Dal nostro punto di vista, il giornalismo è sempre giornalismo, a prescindere da dove avvenga», ha detto Andrew Seaman, presidente del comitato etico della Society of Professional Journalists, la più antica organizzazione giornalistica americana. «Se qualcosa non va bene sulla carta stampata, quindi, non va bene nemmeno sui social network… La qualità del giornalismo dovrebbe rimanere sempre la stessa». La reazione di Seaman – che è anche un giornalista di Reuters – al tweet poi cancellato di Eichenwald è stata concisa: «Completamente irresponsabile».

Il tweet di Eichenwald sembra superare il solito limite. È un’insinuazione non sostenuta da prove e potenzialmente provocatoria su un importante candidato alla presidenza nel mezzo di una campagna elettorale. Trump ha già denunciato dei giornalisti per affermazioni controverse, anche se riportate in modo più prudente. Ha avviato (e perso) una causa per diffamazione contro l’allora giornalista del New York Times Timothy L. O’Brien, che nel suo libro del 2005 Trump Nation aveva scritto che il patrimonio netto di Trump era considerevolmente inferiore a quanto dichiarato da Trump stesso. Più di recente la moglie di Trump, Melania, ha fatto causa al Daily Mail che aveva scritto senza fornire prove che negli anni Novanta Melania aveva lavorato come escort. Per ottenere un risarcimento, Melania Trump ha ingaggiato Charles Harder, l’avvocato che ha seguito la causa per violazione della privacy del wrestler Hulk Hogan contro Gawker, che ha portato alla chiusura del sito.

Il tweet di Eichenwald su Trump è arrivato il giorno prima della pubblicazione su Newsweek di un articolo molto discusso, scritto dallo stesso Eichenwald, sulla Trump Organization, l’immenso impero economico di Trump. L’articolo solleva domande importanti sul potenziale conflitto di interessi tra le grandi holding di Trump e gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, nel caso di una sua elezione. Eichenwald ha anticipato la pubblicazione dell’articolo twittando: «Il mio grande articolo, che potrebbe cambiare il dibattito su questa campagna elettorale, sarà pubblicato domani online su Newsweek». Qualche minuto dopo Eichenwald ha postato il suo commento sulla salute mentale di Trump, che ha generato confusione su quale sarebbe stato l’argomento del suo articolo su Newsweek. Poco dopo ha postato un altro tweet per chiarire che le due cose non erano legate tra loro: «Ragazzi, il mio pezzo che esce domani non parla dell’esaurimento nervoso di Trump. Credo che l’ordine dei tweet abbia creato confusione». Eichenwald ha scritto poi di aver cancellato il tweet sulla salute mentale di Trump «perché le persone lo stavano confondendo» con il suo articolo in uscita su Newsweek.

Eichenwald non ha mai detto di averlo cancellato perché non era vero. In un’intervista, Seaman ha detto che i giornalisti dovrebbero attenersi a principi e standard più alti. «Credo che per un giornalista importante postare insinuazioni sui social network senza fornire prove sia pesante», ha detto. «Le insinuazioni non sono giornalismo, e credo che portino l’opinione pubblica a diffidare di articoli affidabili e sostenuti da prove».

© 2016 – The Washington Post