Quattro buoni motivi per vedere Room

Il film esce oggi in Italia e se ne è parlato benissimo: i protagonisti sono Brie Larson (che ha da poco vinto l'Oscar) e Jacob Tremblay (che ha 9 anni)

(Da "Room")
(Da "Room")

Room – uno dei film di cui si è più parlato prima, durante e dopo gli Oscar di domenica notte – è nei cinema italiani da oggi, giovedì 3 marzo. Era candidato a quattro premi Oscar – Miglior film, Miglior regia, Migliore sceneggiatura non originale e Miglior attrice protagonista – e ne ha vinto uno, grazie all’attrice Brie Larson. Il regista è Lenny Abrahamson – quello di Frank, il film con il personaggio con una maschera di cartapesta in testa – e la storia è tratta dal romanzo Stanza, letto, armadio, specchio di Emma Donoghue: il libro, pubblicato in Italia da Mondadori, è del 2010 e il suo titolo inglese è Room. 

Nel cast di Room c’è anche Jacob Tremblay, un attore canadese di nove anni che quando ha girato il film ne aveva sette e nel film interpreta un bambino di cinque anni. Tremblay aveva già avuto qualche ruolo al cinema – ne I Puffi 2 per esempio – ma questo è il suo primo ruolo drammatico e da protagonista. La sua interpretazione è piaciuta tantissimo e c’è anche chi ha scritto che avrebbe meritato una nomination all’Oscar.

tremblay

Libro e film raccontano la storia di Joy, una ragazza di 24 anni che da sette anni vive reclusa in una stanza dopo che un uomo l’ha rapita e rinchiusa lì. L’uomo – chiamato “Old Nick” (che in inglese è uno dei nomi del diavolo) – abusa regolarmente di lei e da quando ha rapito la ragazza l’ha messa incinta, facendo nascere Jack. Jack, che ha cinque anni, ha vissuto tutta la sua vita nella stanza dove è rinchiusa sua madre: vede la tv ma crede che tutto quello che c’è nella tv sia finto. Queste sono le premesse essenziali della trama, già il trailer del film mostra alcune cose in più: per chi non volesse sapere proprio nulla del film è meglio non continuare a leggere (e nemmeno guardare il trailer).

Un film in due atti e mezzo
Come si vede nel trailer, Joy prova a spiegare a Jack che il mondo non è solo Room, la stanza in cui vivono, e che lei ha bisogno di lui per scappare. Deve fingersi morto, farsi avvolgere in un tappeto, farsi portare fuori dalla stanza da Old Nick, e al momento giusto scappare. Jack ci riesce – siamo a meno di metà film – e lui e Joy possono quindi provare a ricominciare (o cominciare davvero, nel caso di Jack) ad avere una vita normale.

Il film si può immaginare come diviso in due atti e mezzo perché la prima parte – quella in cui i due protagonisti sono rinchiusi nella stanza – è descritta dai critici come un thriller emotivo, con alcuni elementi comuni ad altri film in cui qualcuno è rinchiuso in qualche luogo. Alla fine della prima parte c’è quello che Entertainment Weekly descrive un intermezzo che ricorda un escape thriller (il momento in cui Joy elabora un piano per far scappare Jack e il momento in cui Jack lo mette in atto). La seconda parte del film dopo l’intermezzo è invece stato descritto come un dramma psicologico. Se la prima parte prova a rispondere alla domanda “Come può una donna sopravvivere per anni segregata e stuprata da un folle?”, la seconda parte risponde alla domanda “Come si ricomincia ad avere una vita normale dopo anni passati in quel modo?”.

Una storia tratta da un libro
Stanza, letto, armadio, specchio ha una grande particolarità: è raccontato tutto dal punto di vista di Jack, che spiega cos’è e come si vive in “room” e, più avanti, com’è fatto e come funziona il mondo. Nel film restano alcuni momenti in cui la stanza e il mondo sono visti con gli occhi di Tremblay. Quei momenti sono resi soprattutto in due modi: con le parole e con le inquadrature. Ci sono momenti – uno è all’inizio del film e nel video qui sotto – in cui la voce fuori campo di Jack racconta la stanza e il mondo e altri in cui le inquadrature sono proprio fatte dal punto di vista di Jack (ci sono per esempio molti primi piani di sua madre, vista dal basso verso l’alto).

Donoghue – la scrittrice irlandese-canadese autrice del libro – è anche l’autrice della sceneggiatura del film e ci sono due curiosità legate a questo fatto. Primo: Donoghue ha detto di aver scritto la sceneggiatura del film subito dopo aver scritto il libro, prima ancora che venisse pubblicato. Ha spiegato che si era accorta del potenziale cinematografico della storia e di aver deciso di scriversi da sé la sceneggiatura, per poterla far avere al regista giusto nel momento più opportuno. Secondo: nel 2011, mentre Donoghue cercava famosi registi cui far dirigere il film tratto dal suo libro, Abrahamson, che prima di allora aveva diretto giusto due piccoli film, si interessò al libro. Decise allora di scrivere una lettera di cinque pagine in cui spiegare a Donoghue come e perché voleva trasformare il suo libro in un film. La lettera si può leggere su IndieWire: le prime due pagine sono una sorta di analisi del libro, cui segue la spiegazione di come Abrahamson si proponeva di adattare dal testo alla cinepresa il punto di vista di Jack.

Donoghue ha spiegato a Slate che il suo libro non è ispirato in modo diretto a nessun evento reale ma che, comunque, è stato “innescato” dalle notizie del 2008 su Josef Fritz, l’uomo austriaco che aveva tenuto imprigionata in un bunker per 24 anni sua figlia, stuprandola.

Una stanza di tre metri per tre
Donoghue è stata sul set del film per gran parte delle riprese. Nel video qui sopra si vede il momento in cui viene invitata per la prima volta a entrare nella stanza-prigione che è stata interamente costruita per il film. Ethan Thobman, responsabile della scenografia del film, ha spiegato che costruire la stanza è stato molto difficile perché l’obiettivo era riuscire a rendere in pochissimo spazio un ambiente molto vissuto, in cui fosse credibile che due persone fossero state per anni. Abrahamson ha anche spiegato che la stanza è stata costruita davvero e del tutto e che ha chiesto di costruirla molto prima dell’inizio delle riprese così che Larson e Tremblay potessero vederla e pensare a cosa significava viverci dentro.

Due attori bravissimi
Su IMDB il voto medio di Room – votato da più di 77mila spettatori – è 8,3 su 10 ed è piuttosto difficile trovare un critico cinematografico che abbia parlato davvero male del film: qualcuno ha scritto che il film non rende onore al libro ma la grande maggioranza delle recensioni sono tra il buono e l’ottimo. È poi praticamente impossibile trovare qualcuno che non abbia parlato benissimo delle interpretazioni di Larson e Tremblay.  Il Washington Post ha scritto che la relazione tra Joy e Jack ricorda quella tra padre e figlio in La vita è bella. Parlando di Larson Slate scrive che la sua non è solo un’interpretazione emozionante, è anche ragionata e piena di spunti su cosa significhi essere genitori ed essere umani. Slate parla poi di un «legame quasi simbiotico» tra Larson e Tremblay.  Entertainment Weekly ha scritto che Tremblay «è uno di quei pochi bambini-attori che sa trasmettere innocenza e resilienza senza sembrare precoce».

Larson ha spiegato in un video del dietro le quinte del film che la prima volta che ha incontrato Tremblay gli ha fatto tre domande: «Qual è il tuo colore preferito? Qual è il tuo animale preferito? Ti piace Star Wars?» Chi ha seguito gli Oscar si è accorto che Tremblay ha, in effetti, una grande passione per Star Wars (al punto da avere le calze di Darth Vader).

Intervistata da Jimmy Kimmel durante la promozione del film Larson ha raccontato qualche aneddoto sui vari tour promozionali che lei e Tremblay – spesso accompagnato dai genitori– hanno fatto. Larson ha detto che fatica a catalogare il suo rapporto con Tremblay – un po’ collega, un po’ amica, un po’ babysitter – e ha raccontato di quando, ai SAG Award (i premi del sindacato degli attori) doveva occuparsi di lui nel post-cerimonia.