Breve guida all’anno bisestile

No, non cade solamente ogni quattro anni: le cose da sapere tra cui quando fu inventato e perché

Un'illustrazione del disegnatore Bob Satterfield del 2003 (Foto di:Wikipedia)
Un'illustrazione del disegnatore Bob Satterfield del 2003 (Foto di:Wikipedia)

Il 2016 è un anno bisestile, non è formato da 365 giorni come tutti gli altri, ma da 366: oggi, il 29 febbraio, è il giorno in più e Google ha sostituito il suo logo nella pagina iniziale del motore di ricerca per ricordarlo. I doodle sono delle animazioni o disegni che vengono pubblicati da Google, spesso per celebrare l’anniversario della nascita di qualche scienziato o innovatore oppure per dei particolari giorni dell’anno, come la Festa della Repubblica o il 29 febbraio degli anni bisestili. Google ha alcuni illustratori che lavorano ai vari doodle durante l’anno, quello di oggi è di Olivia Huynh e mostra un coniglio, con il numero 29 che si mette a dormire tra quello del 28 febbraio e quello del primo marzo. Inizialmente Huynh aveva pensato ad un altro disegno, con una rana, che potete vedere qui sotto.

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L’anno bisestile esiste da più di duemila anni: venne introdotti da Giulio Cesare nell’Antica Roma e poi cambiato con una riforma radicale da papa Gregorio XIII, con l’obiettivo di rimettere in regola il calendario con l’anno solare. Qui di seguito ci sono le risposte ad alcune domande che ci poniamo spesso quando capita un anno bisestile, ad esempio “ogni quanto cade un anno bisestile?”.

Quando cade l’anno bisestile?

Non esattamente ogni quattro anni, in realtà. Gli anni precedenti a quello che segna l’inizio di un nuovo secolo – quindi 1800, 1900, 2000 – sono bisestili soltanto se si possono dividere per 400. Quindi il 2000 è stato un anno bisestile, il 2100 non lo sarà. La formula per sapere se un anno è bisestile è: se le ultime due cifre sono divisibili per quattro, oppure se l’intero anno è divisibile per 400.

A cosa serve l’anno bisestile?

Un anno solare, cioè il tempo che la Terra impiega a fare un giro completo intorno al Sole, non è perfettamente divisibile in periodi di 24 ore, cioè in giorni: dura circa 365 giorni e 6 ore. Se tutti gli anni avessero 365 giorni, ogni quattro anni il calendario si ritroverebbe in anticipo di un giorno. Grazie all’anno bisestile, il calendario si “rimette in regola” aggiungendo un giorno proprio quando l’anticipo accumulato raggiunge le 24 ore (sei ore all’anno, per quattro anni).

Un altro problema è dovuto al fatto che in realtà l’anno astronomico non dura esattamente 365 giorni e 6 ore, ma qualche minuto in meno, per la precisione 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. Quindi, anche utilizzando gli anni bisestili, dopo 400 anni il calendario si troverebbe sballato, in ritardo di circa tre giorni. Per risolvere il problema, gli anni precedenti a quello di inizio secolo, cioè quelli divisibili per cento, non sono considerati bisestili a meno che non siano divisibili anche per 400. In questo modo, ogni 400 anni ci sono 3 anni bisestili in meno, di modo da eliminare i tre giorni di anticipo.

Quando fu inventato l’anno bisestile?

Quasi tutti i calendari elaborati nel corso della storia incorporavano qualche sistema per correggere il fatto che l’anno solare non si potesse dividere esattamente in giorni. L’osservazione del Sole e delle stelle è stata una delle prime scienze a essere sviluppate in quasi tutte le civiltà e già molti secoli prima di Cristo gli astronomi conoscevano bene i tempi della rivoluzione della Terra intorno al Sole. Nel caso del nostro calendario, l’origine dell’anno bisestile risale a Giulio Cesare, che nel 46 avanti Cristo impose un po’ d’ordine alla caotica situazione del calendario romano.

Fino al suo arrivo, l’anno romano durava 355 giorni. Per compensare la differenza con l’anno solare, ogni tanto veniva aggiunto al calendario un intero “mese intercalare” di durata variabile, di solito una ventina di giorni tra febbraio e marzo. In teoria la regola prevedeva che a un anno da 355 giorni dovesse fare seguito uno da 377 giorni, a cui seguiva di nuovo uno da 355 e poi uno da 378, per poi ricominciare il ciclo. Alternandosi in questo modo, il calendario romano riusciva a essere più o meno in linea con quello solare.

In pratica però, le cose funzionavano malissimo. L’autorità che governava i calendari, il Pontefice Massimo, era una figura politica e molto spesso accadeva che il mese intercalare venisse accorciato o allungato, inserito o “dimenticato”, in base all’interesse dei Pontefici o dei suoi alleati. Se ad esempio il Pontefice Massimo aveva convenienza a ritardare un’elezione prevista per marzo, poteva inserire dopo febbraio un mese intercalare insolitamente lungo. La situazione era estremamente caotica e Cesare cercò di risolverla. Con l’aiuto di matematici ed esperti, alcuni dei quali conosciuti durante la sua campagna in Egitto, Cesare progettò un calendario diviso in anni di 365 giorni, e di 366 ogni quattro anni.

Perché l’anno bisestile si chiama così?

I romani non contavano i giorni del mese come noi (2 febbraio, 7 marzo, 12 giugno, per esempio), ma usavano un complicato sistema in cui ogni mese veniva diviso in calende, idi e none. Nel calendario giuliano si stabiliva che negli anni da 366 giorni, il “giorno” in più dovesse essere inserito a febbraio il sesto giorno prima delle calende di marzo, cioè il 24 febbraio. Legalmente, il 24 febbraio veniva considerato un “giorno doppio”, formato da 48 ore. In questi anni, quindi, c’erano due “sesti giorni prima delle calende di marzo”, da cui “bisextus” (due volte il sesto) e quindi, bisestile. Il primo “29 febbraio”, cioè il giorno in più secondo i moderni calendari, probabilmente comparve nel medioevo, quando i giorni dei mesi cominciarono ad essere contanti in modo sequenziale e non più alla maniera romana.

E la faccenda degli anni di secolo?

La riforma di Cesare aveva trascurato che un anno solare non dura esattamente 365 giorni e sei ore. Il calendario giuliano, quindi, si trovava in ritardo di tre giorni ogni 400 anni. Tra guerre civili, caduta dell’Impero romano, invasioni barbariche ed epidemie di peste, nessuno fece caso a questo errore per circa un millennio e mezzo. Solo nel 1582 il Papa di allora, Gregorio XIII, si accorse che quell’anno la primavera era cominciata l’11 marzo, dieci giorni in anticipo rispetto alla data dell’equinozio. Gregorio decise di risolvere la questione una volta per tutte e impose una drastica riforma: dopo venerdì 4 ottobre 1582 il calendario sarebbe saltato direttamente a sabato 15. I dieci giorni di mezzo, in un certo senso, non sono mai esistiti.

Questo però non risolveva il problema della durata media dell’anno. Per evitare di perdere altri dieci giorni nel migliaio di anni successivi, venne stabilito che gli anni multipli di cento sarebbero stati bisestili soltanto se fossero stati multipli anche di 400. Il calendario gregoriano fu introdotto gradualmente in Europa e arrivò soltanto in anni recenti in Russia, dove per secoli rimase in vigore il vecchio calendario giuliano, in ritardo di un paio di settimane su quello gregoriano. Così la famosa Rivoluzione di Ottobre, che portò alla caduta dello zar, per gli Europei dell’epoca avvenne in realtà quando i loro calendari segnavano già novembre.