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  • Giovedì 24 dicembre 2015

La storia di Hassan Aboud, comandante dell’ISIS

È stata raccontata dal premio Pulitzer C. J. Chivers sul New York Times, e chiarisce molte cose dei meccanismi di arruolamento dello Stato Islamico

Hassan Aboud.
Hassan Aboud.

Hassan Aboud è un comandante dello Stato Islamico (o ISIS) piuttosto noto in Siria per essere stato fino al 2014 il capo di uno dei gruppi di ribelli islamisti che combattono nella guerra siriana contro il regime siriano di Bashar al Assad. Nell’ultimo anno – da quando si è unito all’ISIS – Aboud è stato responsabile di molte violenze, tra cui l’uccisione di diversi ribelli del suo vecchio gruppo. La storia di Aboud, che è insieme misteriosa e inquietante, è stata raccontata in un lungo articolo di C.J. Chivers, giornalista premio Pulitzer del New York Times.

Chivers ha ricostruito i motivi che hanno spinto Aboud a unirsi all’ISIS – soprattutto soldi e possibilità di compiere atti sempre più violenti – che sono molto diversi da quelli presentati nella propaganda jihadista e legati a motivazioni religiose: «Questi uomini scelti, sedotti dai regali e dall’oscuro prestigio dello Stato Islamico, sono quelli che tengono in piedi il sistema che rivendica di essere un califfato», ha scritto Chivers.

La storia di Aboud mostra anche altre cose: racconta il ruolo che ha avuto l’invasione statunitense dell’Iraq nella crescita di un forte senso anti-americano tra i sunniti della zona, l’oppressione della popolazione sunnita da parte dei governi siriano e iracheno post-invasione e le possibilità create dall’inizio della guerra siriana per chi voleva combattere il jihad.

Chi è Hassan Aboud
Aboud è originario di Sarmin, una città che si trova nel governatorato di Idlib, nel nord-ovest della Siria. Da quando ha lasciato il suo vecchio gruppo per unirsi all’ISIS, ad Aboud non è stato più permesso di tornare a Sarmin, una zona che oggi è controllata dai ribelli (i ribelli sono nemici dell’ISIS, come lo sono dell’esercito di Assad). Di Aboud non si conosce l’età esatta – Chivers scrive che ha tra i trenta e i quarant’anni – ma si sa che da metà del 2013 non ha più la parte bassa di entrambe le gambe, a causa di alcune ferite gravi subìte durante una manovra con un razzo artigianale. Hassan al Dugheim, un religioso appartenente al fronte dei ribelli, ha detto al New York Times che nel corso degli anni Aboud ha dimostrato di avere buone doti tattiche e una spietatezza notevole, ma ha anche di essere uno “stupido” – «e che lo Stato Islamico ha trovato in lui un uomo che poteva essere lusingato, comprato e poi usato».

I legami di Aboud con i sunniti iracheni
La storia di Aboud è interessante non solo per la sua più recente defezione dal gruppo di ribelli nel 2014, ma anche per i suoi precedenti legami con i ribelli sunniti della provincia occidentale irachena di Anbar, la zona dove fu creato il primo gruppo antenato dell’ISIS, quello fondato dal giordano Abu Musab al Zarqawi. Aboud arrivò in Iraq nel 2004 assieme a uno dei suoi fratelli, conosciuto come Abu Shadi: cominciò a combattere gli americani attorno a Fallujah e Ramadi, due città oggi sotto il controllo totale o parziale dell’ISIS. Secondo alcune testimonianze degli abitanti di Sarmin raccolte dal New York Times, Aboud era piuttosto attento a non diffondere troppe informazioni riguardo le sue attività in Iraq: i sunniti siriani che si alleavano con i sunniti iracheni erano visti come una potenziale minaccia per il governo alauita di Assad (che è vicino al più ampio orientamento sciita dell’Islam). Sembra che Aboud fosse tornato a Sarmin nel 2005. Non è chiaro nemmeno oggi se Aboud avesse giurato fedeltà o meno ad al Qaida (il gruppo di al Zarqawi allora era alleato ad al Qaida; oggi non è più così).

Nel 2009 l’esercito siriano attaccò Sarmin con lo scopo di smantellare una rete di sunniti ribelli e Abu Shadi, il fratello di Aboud, fu arrestato dal regime. Quattro anni dopo Aboud raccontò al New York Times: «Mio fratello fu messo in prigione per la sua barba. […] Loro [il regime siriano] possono farti la guerra per un’idea che hai in testa, per la tua barba, per il modo in cui preghi o ti vesti. È come un assedio alle tue emozioni e alle tue idee».

Di nuovo in guerra
Quando iniziò la cosiddetta “Primavera araba” in Siria, nel 2011, Aboud si unì prima alle proteste e poi ai ribelli che cominciarono a combattere più estesamente il regime di Assad. Aboud fondò un gruppo che si chiamava “Dawood Brigade”: all’inizio era formato da pochi combattenti ma a differenza di altri gruppi siriani era più unito, aveva più soldi (li otteneva soprattutto da donatori del Golfo Persico) e poteva beneficiare dell’esperienza di Aboud: «Nessun altro gruppo a Idlib aveva la stessa ferocia, e lui l’aveva reso così grazie all’addestramento», ha raccontato un attivista che per un periodo lavorò con lui. Mohyeddin Abdulrazzaq, un altro attivista, ha detto: «Hassan Aboud era considerato un uomo sacro tra i suoi combattenti».

Le pratiche di guerra di Aboud diventarono in poco tempo sempre più violente: cominciò a rapire gli alauiti per chiedere il riscatto ai familiari e mostrava sempre più spesso un’attitudine definita come “criminale”. Alla fine del 2012 rimase ferito gravemente alla parte bassa delle gambe per l’esplosione di un razzo costruito in maniera artigianale: fu portato di corsa in ospedale e gli furono amputati entrambi i piedi. Un medico disse di lui: «Per essere uno che aveva appena subìto l’amputazione di entrambi i piedi, aveva il morale alto». A partire dall’anno successivo, i rapporti tra Dawood Brigade, il gruppo di Aboud, e un altro gruppo suo alleato cominciarono a rovinarsi, soprattutto per questioni di soldi. È in questo periodo che Aboud cominciò a essere avvicinato dall’ISIS.

Il passaggio nell’ISIS
Aboud cominciò ad incontrarsi con alcuni esponenti dell’ISIS, tra cui sembra anche con Abu Ali an Anbari, un ex funzionario militare iracheno incaricato di reclutare nuovi comandanti locali (il gruppo di Aboud, comunque, non fu l’unico a essere infiltrato dall’ISIS). Dugheim, il religioso appartenente al fronte dei ribelli, ha detto: «L’ISIS offrì ad Hassan Aboud una grande quantità di soldi – due milioni di dollari – quando Hassan Aboud di fatto non aveva niente. L’ISIS gli diede armi, soldi e cibo» (il New York Times ha scritto di non essere stato in grado di verificare la testimonianza di Dugheim). L’influenza dell’ISIS cominciò a farsi sentire in alcune pratiche del gruppo di Aboud, che si fecero più violente. Per esempio prima del 2013 non c’era traccia dell’uso dei suoi membri in azioni suicide: nell’ottobre dello stesso anno venne diffuso in video che mostrava l’addestramento di un uomo di mezza età finalizzato a compiere un attentato suicida.

Un funzionario americano ha detto al New York Times che quella dell’ISIS «fu un’operazione intelligente», perché fu in grado di individuare le persone più vulnerabili da usare per i propri obiettivi. La nuova affiliazione di Aboud fu evidente solo nel luglio del 2014, quando lui stesso annunciò di essere diventato un servitore di Abu Bakr al Baghdadi, il capo dell’ISIS, e di volere andare a Raqqa, la capitale del gruppo. Da allora di Aboud e delle sue attività si sa molto poco: stando a dove sono stati uccisi i suoi uomini, si può immaginare che abbia combattuto a Kobane, Aleppo, vicino a Raqqa, vicino a Homs, per il controllo del giacimento gassifico di Shaer e a Palmira. Il suo gruppo è stato anche accusato – senza però prove certe – di essere il responsabile dell’attentato contro il gruppo islamista Ahrar al Sham e di avere tenuto prigioniero il giornalista americano James Foley prima di consegnarlo all’ISIS (anche questo non è confermato). Dugheim ha raccontato di essere stato uno degli ultimi a sentire Aboud prima del suo arrivo a Raqqa: gli chiese, «Perché ti piace l’ISIS?», Aboud rispose, «Perché l’ISIS è combattuto dagli americani».

Una volta sotto l’influenza dell’ISIS, Aboud cominciò anche a mettere in piedi una rete di assassini che uccidesse i suoi vecchi alleati e amici, e a celebrare gli omicidi con una canzone fatta con la sua voce e con un coro di voci maschili che dicono: «Uccideremo qualunque traditore». Un parente di Aboud ha detto al New York Times che questa registrazione – dove si sente la sua voce fredda mentre descrive l’uccisione di vecchi amici – è il segno di un uomo che si è dato al crimine, di una rivoluzione che si è rovinata e di un popolo che è stato tradito.