Il PD ha trovato un accordo sul Senato?

Sembra di sì, attraverso tre emendamenti presentati dalla maggioranza: in cosa consiste

Maria Elena Boschi al Senato (Fabio Cimaglia / LaPresse)
Maria Elena Boschi al Senato (Fabio Cimaglia / LaPresse)

È scaduto il termine per la presentazione degli emendamenti in aula al cosiddetto ddl Boschi, e sembra che il PD abbia trovato un accordo interno che metta d’accordo sia la maggioranza che la minoranza del partito.

Il ddl Boschi è il disegno di legge costituzionale per la riforma del Senato che, semplificando, prevede di modificare le funzioni e la composizione della camera alta del Parlamento italiano. Il M5S ha presentato 210 emendamenti, Forza Italia 1.173, i Conservatori e riformisti di Raffaele Fitto 160, SEL 61 mila e la Lega ben 82.730.460. Ci sono infine 17 emendamenti presentati dalla cosiddetta minoranza del PD, che potrebbero però essere ritirati se venissero approvati i tre presentati dalla maggioranza del PD. Nei giorni scorsi (e fino alla scorsa notte) ci sono state lunghe trattative e mediazioni – anche durante la direzione nazionale del PD – sul testo della legge tra la maggioranza del PD (favorevole alla riforma) e la minoranza, che contesta il fatto che i membri del Senato non saranno direttamente eletti (una norma presente nella riforma fin dalla primissima stesura). Oggi i principali giornali nazionali scrivono che maggioranza e minoranza hanno raggiunto un accordo.

Il governo ha depositato tre emendamenti firmati da Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato, e che secondo quanto detto dal sottosegretario alle Riforme, Luciano Pizzetti, riguardano «le funzioni del nuovo Senato, l’articolo 2 sulla composizione e la Consulta», cioè l’elezione dei giudici costituzionali. I tre emendamenti sono stati giudicati «degni» dal senatore della minoranza PD Vannino Chiti, e i giornali danno conto delle reazioni soddisfatte di altri parlamentari della stessa corrente.

Emendamento all’articolo 2
L’articolo 2 della riforma modifica il comma 5 dell’articolo 57 della Costituzione e stabilisce tra le altre cose che il nuovo Senato sarà formato da «95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali», più 5 senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. I senatori quindi non sarebbero eletti direttamente, come continuerebbe ad avvenire per i deputati; e il Senato, nel rispetto di quanto stabilito dalla Costituzione, avrebbe mansioni soprattutto di rappresentanza delle autonomie locali.

Il tema della discussione nel PD è però riassunto in una preposizione: il testo dell’articolo 2 che regola la riforma del Senato non elettivo è stato già approvato da entrambe le camere, ma con una differenza. Al Senato – nell’agosto del 2014 – la norma era passata così: «La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti», non escludendo quindi l’elezione diretta dei senatori. Alla Camera – lo scorso marzo – è stata invece approvata con questo testo: «La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti». In questa versione i senatori si intendono quindi espressamente eletti dai Consigli regionali.

Il nuovo emendamento firmato da Finocchiaro aggiunge alla frase «la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti» un’altra frase: «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge». Sembra quindi che nella nuova stesura i senatori saranno eletti dai consigli regionali tenendo però conto delle scelte fatte dagli elettori al momento del voto: quindi, per esempio, i candidati più votati. Ma potrebbero esserci altri criteri.

Nello stesso articolo al comma successivo, scrive Repubblica, si dice che ci dovrà essere una legge «approvata da entrambe le Camere per regolare le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio».

Emendamento sulle funzioni
Il secondo emendamento frutto della mediazione tra maggioranza e minoranza del PD prevede modifiche all’articolo 1 del disegno di legge e riguarda le funzioni del nuovo Senato. Il Senato avrà maggiori poteri di controllo rispetto al testo originario della riforma, ma continuerà a non poter votare la fiducia al governo. Nella modifica si dice che al nuovo Senato verranno restituite le funzioni di verificare «l’impatto delle politiche dell’Unione Europea sui territori» e di «valutare le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni» (nel testo votato dalla Camera, il Senato si limitava a «concorrere» nella valutazione).

Emendamento sulla Consulta
Nel terzo e ultimo emendamento uscito dalla trattativa si dice che tornerà al Senato la funzione di eleggere due giudici della Corte Costituzionale. Nella lettura alla Camera questa funzione era stata tolta. Il testo dell’emendamento dice: «La Corte Costituzionale è composta da 15 giudici, dei quali un terzo nominati dal presidente della Repubblica, un terzo dalle supreme magistrature, ordinaria ed amministrativa, tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica».