Pagare per Facebook

Spendereste un euro al mese per usarlo? O per usare Google? E non sarebbe meglio che dar loro le vostre vite?

(AP Photo/Eric Risberg)
(AP Photo/Eric Risberg)

La giornalista e sociologa di origine turca Zeynep Tufekci ha scritto sul New York Times un articolo in cui propone una parziale modifica al modello economico grazie al quale stanno in piedi i maggiori social network in circolazione, cioè Facebook, Twitter e Instagram. Tufekci propone di dare la possibilità a ciascun utente di pagare una quota mensile corrispondente al prezzo a cui i social network in questione vendono i dati personali a fini pubblicitari, modificando anche lo stesso rapporto fra i social network e i propri utenti. In uno dei passaggi principali dell’articolo, Tufekci spiega che nei confronti di Facebook e Twitter preferisce essere «un cliente, piuttosto che un prodotto».

Al momento, tutti i social network più diffusi non prevedono metodi di pagamento diretto per l’utilizzo delle funzioni principali: la loro gratuità fa parte dei motivi per cui sono diventati così popolari e diffusi. Esiste la possibilità di pagare per utilizzare funzioni “speciali”, oppure per garantire maggiore visibilità ad alcune pagine o profili, ma si tratta perlopiù di meccanismi riservati alle aziende e legati alla valorizzazione di marchi o prodotti. Al momento, Facebook, Twitter e Instagram si reggono in piedi quasi solamente grazie alla vendita degli spazi pubblicitari all’interno delle proprie pagine – e quegli introiti pubblicitari sono legati all’analisi e alla cessione di informazioni personali sugli utenti raccolte proprio su ciascun social network.

Secondo Tufekci, questo sistema presenta due storture. Gli utenti, per prima cosa, sono spesso infastiditi dalla scarsa trasparenza con la quale vengono trattati i propri dati: proprio da questo fastidio è nato Ello, un social network di cui si è parlato molto nei mesi scorsi e che promette di trattare i dati degli utenti con maggiore cautela e rispetto di Facebook (ma che non è esattamente diffusissimo, per usare un eufemismo). Dall’altra parte, sta diventando sempre più evidente come per Facebook e i social network questo modello sia poco redditizio: secondo cifre diffuse da Facebook, nel secondo trimestre del 2014 Facebook ha guadagnato per ciascun utente 60 centesimi di dollaro, in media 20 centesimi di dollaro al mese (circa 17 centesimi di euro). Il tutto a fronte di 20 ore di utilizzo mensile da parte dell’utente medio. Scrive Tufekci:

In pratica il modello economico è basato su guadagni veramente miseri, e su un “patto” dalle basi molto fragili. Le pubblicità su Internet sono praticamente inutili, a meno che non siano molto mirate e basate su un’estesa raccolta di informazioni riguardo ciascun utente. D’altra parte, però, un sondaggio del 2012 del Pew Research Center – uno dei più importanti centri studi negli Stati Uniti – ha scoperto che due terzi degli americani adulti non vogliono ricevere pubblicità mirate e basate sulla sottrazione e analisi dei loro dati personali.

Secondo Tufekci, questo produce anche due problemi a lungo termine: il fatto che solo aziende con molti soldi possano permettersi di sostenere guadagni così esigui – cosa che di fatto restringe il mercato a poche, enormi società – e il fatto che la nostra esperienza online verrà “rovinata” da questa logica: «la gente si è riversata su Internet perché ci aiuta a tenerci in contatto e a ottenere un gran numero di informazioni, uno scopo nobile e cruciale. Eppure questo modello economico basato sulla pubblicità conduce al fatto che le società sono portate a manipolare la nostra attenzione sulla base delle richieste degli inserzionisti, invece che fornire il servizio che vorremmo». Tufekci fa l’esempio del famoso algoritmo di Facebook, grazie al quale nella sezione Notizie di ciascun profilo vediamo ciò che è stato selezionato per noi in base ai nostri interessi e alla frequenza con cui visitiamo certe pagine o profili.

La soluzione proposta da Tufekci è permettere agli utenti dei social network di diventarne dei clienti:

Scommetto che un sacco di gente sarebbe contenta di pagare 20 centesimi al mese – o anche di più – per impedire a Facebook o Google di sapere dove si trova ed essere trattato come un cliente a cui importa della privacy. Se anche solo un quarto degli utenti di Facebook – che attualmente sono 1,5 miliardi – pagasse un dollaro al mese per essere trattato in maniera diversa, Facebook otterrebbe 4 miliardi di dollari all’anno: una cifra considerevole.

Una delle critiche più frequenti che vengono opposte a ragionamenti simili a quello di Tufekci è che le persone si sono abituate ad ottenere certi servizi senza pagare nulla in cambio, e di conseguenza non sono disposte ad iniziare a farlo (è lo stesso problema di cui si discute da anni nell’ambito del giornalismo online, e riguarda anche i modelli di sostenibilità dei siti dei giornali). Secondo Tufekci, però, le persone stanno lentamente cambiando mentalità: «Milioni di persone si sono abbonate a Netflix a dispetto del fatto che le copie pirata di migliaia di film si trovano facilmente online. Un metodo di micro-pagamento sicuro e intuitivo grazie al quale paghiamo una piccolissima cifra ogni volta che apriamo Facebook, fino a un certo limite fissato al mese, probabilmente migliorerebbe l’intero sistema».