Si candida anche Marco Rubio
È un senatore Repubblicano americano di origini cubane, considerato molto promettente: fino a qualche tempo fa era adorato dall'estrema destra, adesso molto meno
di Francesco Costa – @francescocosta
Marco Rubio, senatore Repubblicano della Florida, ha detto ai suoi finanziatori e sostenitori che ha intenzione di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti d’America. La candidatura di Rubio era attesa da tempo ed è stata poi annunciata ufficialmente durante un discorso pubblico lunedì a Miami. Rubio, scrive Associated Press, ha detto ai suoi sostenitori che si considera “preparato come nessun altro” tra i Repubblicani per candidarsi alla presidenza e che ha intenzione di “difendere il sogno americano”; ha aggiunto che secondo lui la campagna elettorale in vista delle elezioni del 2016 sarà “una scelta tra passato e futuro” e che Hillary Clinton, che ha annunciato la sua candidatura domenica sera, è “un leader del passato”.
Rubio ha 43 anni, è nato a Miami ma ha origini cubane; è sposato con Jeanette Dousdebes, un’ex impiegata di banca e cheerleader di origini colombiane, con cui ha fatto quattro figli. Ha studiato Giurisprudenza e ha lavorato come avvocato prima di fare politica ed è cristiano cattolico (cosa che potrebbe dargli qualche problema). I suoi genitori sono cubani immigrati negli Stati Uniti nel 1956, durante la dittatura di Batista: ma Rubio per anni ha raccontato, prima di essere smentito dal Washington Post, che i suoi si trasferirono negli Stati Uniti nel 1959 per scappare dalla dittatura di Fidel Castro.
Tra gli anni Novanta e il Duemila Rubio ha avuto alcuni incarichi minori nella politica locale di Miami, si è candidato al Senato nel 2009 ed è stato eletto completando prima una rimonta eccezionale alle primarie contro Charlie Crist, all’epoca governatore Repubblicano uscente, e poi vincendo alle elezioni di metà mandato del 2010 battendo di nuovo Crist, che nel frattempo aveva deciso di candidarsi comunque come indipendente, e il candidato democratico Kendrick Meek. Il modo in cui vinse quella complicata elezione lo ha trasformato istantaneamente in un personaggio politico di rilevanza nazionale e in uno dei giovani leader Repubblicani più promettenti.
Le sue idee sono molto di destra: durante le campagna elettorale del 2010 Rubio ottenne un corposo sostegno dai Tea Party, la corrente più populista e radicale del partito Repubblicano, e una volta eletto in Senato ha votato o ha espresso opinioni a favore di grossi tagli al bilancio dello Stato, contro l’introduzione di maggiori controlli su chi compra delle armi, contro le tasse sugli immobili e le rendite finanziarie, contro il diritto delle donne a decidere se interrompere una gravidanza, contro la legalizzazione della marijuana, contro i matrimoni gay e contro la lotta ai cambiamenti climatici (che secondo lui non dipendono dalle attività dell’uomo). Nonostante tutto questo, però, negli anni Rubio si è guadagnato la diffidenza di una parte degli elettori Repubblicani più estremisti, e questo per via di un motivo in qualche modo esemplare delle attuali difficoltà politiche della destra statunitense.
Nel 2013 Marco Rubio ha fatto parte di un comitato bipartisan di senatori che aveva l’obiettivo di trovare una riforma dell’immigrazione condivisa tra Democratici e Repubblicani, un tema storicamente molto controverso e politicamente delicato. L’accordo fu trovato a giugno e il Senato approvò la riforma a larghissima maggioranza: il compromesso prevedeva una cosa che piaceva alla destra e una che piaceva alla sinistra. Quella che piaceva alla destra, e la sinistra avrebbe tollerato, era il rafforzamento militare del confine tra Stati Uniti e Messico, con lo schieramento di 20.000 soldati e nuove recinzioni per oltre 1000 chilometri. Quella che piaceva alla sinistra, e la destra avrebbe tollerato, era una specie di sanatoria: gli 11 milioni di immigrati irregolari negli Stati Uniti – spesso genitori di figli cittadini americani, ma comunque a rischio di deportazione – avrebbero potuto ottenere la cittadinanza attraverso un processo graduale. Questa riforma sta molto a cuore agli statunitensi di origini latinoamericane, che molto spesso hanno parenti o amici privi di documenti: ma la Camera a maggioranza Repubblicana la bocciò e Rubio fu accusato dai suoi di “tradimento”, di avere posizioni poco intransigenti e di aver ceduto ai Democratici (Obama è poi intervenuto personalmente con un ordine esecutivo).
La circostanza è particolarmente interessante perché tantissimi analisti e osservatori pensano che i Repubblicani abbiano un futuro di sconfitte davanti a loro se non riescono a conquistare i consensi di almeno un pezzo dell’elettorato latinoamericano, che è in grande crescita e sia nel 2008 che nel 2012 ha votato in larghissima maggioranza per i Democratici, risultando spesso decisivo e trasformando in stati tendenzialmente “blu”, democratici, anche posti storicamente “rossi”, repubblicani, come il Colorado o il Nevada. Gli equilibri non sono sempre stati questi: sia nel 2000 che nel 2004 George W. Bush ottenne un significativo numero di voti dagli elettori latinoamericani, grazie a un programma tollerante sull’immigrazione. L’elezione di Obama e la successiva radicalizzazione del partito repubblicano hanno cambiato le cose. Ancora oggi Rubio si trova a doversi difendere dalle critiche dell’estrema destra e nel video che ha diffuso per lanciare la sua candidatura non si parla mai di immigrazione.
Molti considerano Marco Rubio – insieme con Scott Walker, governatore del Wisconsin che dovrebbe annunciare a breve la sua candidatura – una via di mezzo tra il candidato più populista e caro alla destra americana, che in questo momento sembra essere Ted Cruz, e quello più caro all’establishment, cioè Jeb Bush: è giovane e politicamente fresco, ha opinioni molto di destra ma ha dimostrato di saper avere un approccio pragmatico e saper raggiungere compromessi proficui su temi importanti. Questo potrebbe essere un suo punto di forza alle elezioni presidenziali di novembre ma anche un punto debole alle primarie del partito Repubblicano, dove tra l’altro dovrà contendersi elettori e finanziatori del suo stato proprio con Jeb Bush, che in Florida è stato governatore fino al 2007.
Alcuni sostengono che Rubio nei momenti decisivi non si faccia trovare pronto: non solo per il fallimento della riforma sull’immigrazione, che non si può imputare direttamente a lui, ma anche per come sprecò la sua prima e più grande occasione di visibilità pubblica. Quando nel 2013 i Repubblicani lo incaricarono di pronunciare la risposta ufficiale al discorso sullo stato dell’Unione di Barack Obama, Rubio disse delle cose piuttosto banali e con tono incerto, prima di interrompersi goffamente per afferrare una bottiglietta d’acqua e portarla alla bocca durante uno dei passaggi del discorso. Fu molto preso in giro ed è l’unica cosa che ci si ricorda tutt’ora di quel discorso.
foto: Marco Rubio (BRENDAN SMIALOWSKI/AFP/Getty Images)