Gente di Dublino
Eamonn Doyle fotografa persone per le strade della capitale irlandese senza mostrarne i volti, lasciando che sia chi guarda a "indovinarne" le facce
Eamonn Doyle è un fotografo, musicista e produttore irlandese, fondatore di una casa discografica e direttore di un importante festival dedicato alle arti elettroniche che si svolge a Dublino da diversi anni. Uno dei suoi ultimi progetti fotografici, diventato poi un libro che ha avuto molto successo in Irlanda e non solo, si chiama “i” e raccoglie le foto di decine di persone, soprattutto anziani, scattate per le strade di Dublino, con uno stile molto riconoscibile e originale rispetto a quello tipicamente associato alla street photography: quasi tutti i soggetti sono fotografati di spalle e dall’alto, mentre camminano per strada o sono seduti su una panchina in attesa di qualcosa, con la strada che diventa la scenografia continua di questi attimi di vita quotidiana.
Doyle ha scelto di non mostrare il volto dei suoi soggetti, in modo da “appiattirli” sulla strada ed evocare l’impossibilità di conoscerli. Un po’ come capita con gli sconosciuti con cui abbiamo tutti i giorni degli incontri fugaci. La scelta è stata fatta da Doyle non per evidenziare un “allontanamento” dalle persone, ma per spingere lo spettatore a guardare altrove e trovare spunti diversi da quelli ovvi, fino quasi a “indovinare” le facce mancanti. Come spiega lo stesso fotografo:
Le fotografie di “i” segnano il mio ritorno alla fotografia dopo una lunga pausa. In quel periodo stavo riscoprendo l’opera di Samuel Beckett, in particolare la trilogia che comprende i romanzi Molloy, Malone muore e L’innominabile. Ho cominciato così ad essere attirato da un certo tipo di figure solitarie “beckettiane” che vedevo per le strade di Dublino e che mi sembrava calpestassero lo stesso terreno giorno dopo giorno. Memore delle parole di Wittgenstein nella prefazione al Tractatus, “ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”, mi chiedevo come avrei potuto affrontare il fotografare queste persone che erano, e che in fondo restano, dei totali estranei per me. La domanda allora è diventata: è possibile scattare delle fotografie di queste persone in modo tale da onorare la loro essenziale (ed anche esistenziale) distanza da me? È possibile fotografarli in un modo che dica “io non voglio venire a conoscenza di queste persone fotografandole, ma voglio che venga fuori qualcosa nel tentativo di fotografarle, anche mancato”? Questa tensione tra il tentativo, e il successivo fallimento, di acquisire conoscenze e ciò che succede nell’atto di tentare è qualcosa che mi interessa molto, ed è una contraddizione con la quale molti dei personaggi di Beckett sembrano familiari.
Tutte le foto del progetto e del libro di Eamonn Doyle si possono vedere sul suo sito.