Tracce e storie dal deserto di Sonora

Foto, immagini d'archivio e testimonianze che parlano dei movimenti migratori al confine con gli Stati Uniti, nelle foto di Lara Shipley

Desire Lines © Lara Shipley, courtesy Overlapse

Il deserto di Sonora, al confine tra Messico e Stati Uniti, è da sempre una zona di passaggio. Nel corso dei secoli è stato abitato e attraversato da cacciatori nomadi, popolazioni indigene, conquistatori, missionari e industriali; in tempi più recenti è diventato noto soprattutto perché zona di passaggio dei migranti provenienti dall’America latina e centrale e diretti negli Stati Uniti. La fotografa Lara Shipley ha cercato di mettere tutte queste storie insieme nel suo libro Desire Lines (pubblicato da Overlapse), in cui unisce immagini di archivio, mappe satellitari, testimonianze storiche o di persone che vivono lì e migranti di passaggio, per fare un ritratto esaustivo dei movimenti migratori della regione.

Nella postfazione del libro, Shipley ha spiegato che una buona parte dei suoi viaggi in macchina l’ha passata «pensando ai sentieri invisibili, o appena visibili, che si snodavano attraverso il deserto: le linee del desiderio del passato e del presente, tracciate da coloro che erano disposti ad affrontare un paesaggio incredibilmente pericoloso pur di lasciare i luoghi da cui provenivano».

Un tema del suo lavoro ha infatti a che fare con la dualità di un territorio che può essere bellissimo o pericolosissimo, a seconda di chi lo attraversa e con quali motivazioni. Al di là delle bellezze paesaggistiche, il deserto di Sonora è una delle zone più aride del Nord America e molte persone migranti sono morte cercando di attraversarlo di nascosto, senza che si riuscisse poi ad identificarle. Una delle foto del libro mostra un gruppo di volontari, suore e religiosi che opera nella zona: piantano una croce vicino al luogo dove è morta una persona migrante e le dedicano una cerimonia funebre.

Desire Lines © Lara Shipley, courtesy Overlapse

Il libro di Shipley parla anche molto della dicotomia tra l’apparente solitudine che si prova di fronte a territori così vasti e vuoti, contrapposta a una silenziosa e massiccia sorveglianza militare, segnalata dal ronzio degli elicotteri di sorveglianza e dai cartelli di avvertimento sparsi nel deserto. Shipley racconta ad esempio di come le sia capitato di aver scattato una foto a una collina apparentemente insignificante, per poi notare solo in seguito, zoomandola, la figura in lontananza di un poliziotto di frontiera che la guardava con il binocolo. Negli anni in cui ha visitato il deserto per il suo progetto, sebbene si sentisse in uno dei luoghi più remoti e solitari del mondo, si è imbattuta in continuazione in tracce di sorveglianza: «È incredibilmente inquietante, questa illusione di spazio libero in un paesaggio pieno di occhi».

Le fotografie di Shipley sono alternate a interviste a migranti e persone del posto, storie orali di famiglie passate per il deserto e fotografie d’archivio, per dare un’immagine completa del ruolo che le migrazioni hanno avuto nel plasmare la storia del territorio, e viceversa il ruolo che il territorio ha avuto nelle storie di migrazione che lo hanno interessato.

Lara Shipley è una fotografa statunitense: i suoi lavori sono stati esposti in musei come il Museum of Modern Art e il Whitney Museum of American Art di New York e lo Smithsonian American Art Museum a Washington D.C., ma potreste aver visto il suo lavoro Passersby  – di cui Desire Lines è la continuazione – anche al festival di fotografia di Cortona. È ricercatrice universitaria di fotografia alla Michigan State University. Altri suoi lavori si possono vedere qui.