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  • Martedì 20 gennaio 2015

Le guerre islamiste passano dalla Cecenia

Adriano Sofri sull'impressionante manifestazione di Grozny contro Charlie Hebdo e su quello che significa

La manifestazione di Grozny, in Cecenia, contro Charlie Hebdo, del 19 gennaio 2015. (AP Photo/Musa Sadulayev)
La manifestazione di Grozny, in Cecenia, contro Charlie Hebdo, del 19 gennaio 2015. (AP Photo/Musa Sadulayev)

Lunedì 19 gennaio a Grozny, la capitale della Cecenia, tantissime persone hanno manifestato in relazione all’attacco alla redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo: al contrario di quanto avvenuto in moltissime piazze di tutto il mondo, però, a Grozny le persone hanno manifestato contro Charlie Hebdo, attorno alla grande moschea della città, esponendo striscioni con slogan come “Noi amiamo Maometto! Noi non siamo Charlie!”.

Adriano Sofri scrive oggi su Repubblica della manifestazione di Grozny e soprattutto del suo significato in un posto come la Cecenia, dove negli ultimi anni l’estremismo islamico si è saldato ai movimenti armati indipendentisti: e quindi le notizie di queste settimane sono una ragione in più per occuparsi di quello che sta accadendo in Cecenia – dove lo scorso 4 dicembre alcuni militanti islamici ceceni hanno attaccato la capitale uccidendo 16 persone – e su come la lunga storia di rivendicazioni, attentati e repressioni violente in Cecenia riguarda anche lo Stato Islamico e i movimenti estremisti musulmani altrove nel mondo.

La fotografia di Grozny permette di misurare il punto cui è arrivato il paradosso ceceno. Una folla enorme (un milione, secondo le autorità cecene, cui piace strafare, 800 mila, dicono altre fonti) attorno a una moschea enorme (la più grande d’Europa): così la risposta all’appello di Ramzan Kadyrov contro la copertina di Charlie Hebdo, «volgare, immorale e svergognata», parole non troppo diverse da quelle urlate nelle piazze aizzate contro i vignettisti francesi in Niger, in Pakistan, in Giordania e altrove. Esagerazione a parte, il sottopadrone ceceno — il padrone è Putin — aveva bisogno di una rivalsa. Lo scorso 4 dicembre un commando di ribelli aveva occupato la Casa della Stampa nel cuore della capitale e tenuto testa a lungo alle forze del regime, uccidendo 14 militari e ferendone una quarantina, e guastando la festa a Putin alla vigilia del discorso alla nazione. I ceceni di un tempo menavano un doppio vanto: di ragionare ciascuno con la propria testa, e però di diventare un sol uomo di fronte ai russi. Tutto in malora: ora sono ceceni contro ceceni, e divisi in due greggi, l’uno al servizio dei russi, l’altro che ha giurato fedeltà al sedicente Califfato. I ceceni, donne e uomini, che stanno altrove, sono spogliati di ogni voce.

Ma il destino paradossale di questo piccolo popolo (un milione e 250 mila) è anche lo specchio del paradosso universale. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, era appena andato alla manifestazione di Parigi, e se ne era detto impressionato. Non tanto da impedire che in Russia si rincarassero minacce contro espressioni “blasfeme”, e che a Grozny si mettesse sottobraccio un cordone che scimmiottasse quello parigino, vescovi ortodossi compresi. La tragedia cecena, costata dal ‘94 decine di migliaia di morti, fece passare nel corso di due “guerre” successive i suoi combattenti dalla secolare rivendicazione nazionale a quella islamista.

(continua a leggere sulla rassegna stampa di Zeroviolenza.it)