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  • Domenica 4 gennaio 2015

I guai dell’Iran per la crisi del petrolio

Il governo iraniano sta permettendo ai giovani di "comprare" l'esclusione dal servizio militare per risanare il bilancio e nel 2015 la recessione economica potrebbe peggiorare

An Iranian oil worker rides his bicycle at the Tehran's oil refinery south of the capital Tehran, Iran, Monday, Dec. 22, 2014. (AP Photo/Vahid Salemi)
An Iranian oil worker rides his bicycle at the Tehran's oil refinery south of the capital Tehran, Iran, Monday, Dec. 22, 2014. (AP Photo/Vahid Salemi)

Nei primi giorni del 2015 il prezzo del petrolio ha continuato a scendere, come era successo negli ultimi mesi del 2014. Venerdì 2 gennaio si è fermato a 56 dollari al barile, quasi 15 dollari in meno rispetto all’inizio di dicembre e la metà del valore record raggiunto lo scorso luglio, 110 dollari al barile. Il crollo del prezzo del petrolio è stato uno degli eventi economici più importanti del 2014 e avrà probabilmente conseguenze importanti anche nel 2015. Si è parlato molto, ad esempio, dei grossi danni che sta provocando all’economia russa, ma si è parlato meno degli effetti sull’economia di un altro paese che dipende molto dalle esportazioni di greggio: l’Iran.

“Comprare” l’esenzione dal servizio militare
Lo scorso dicembre il governo iraniano ha deciso di dare la possibilità ai giovani di “comprare” l’esclusione dai due anni di servizio militare obbligatorio. Si tratta di una misura importante in un paese che ha relazioni piuttosto turbolente con quasi tutti i suoi vicini e che possiede un esercito di quasi mezzo milione di soldati, in gran parte coscritti (è il nono esercito più grande del mondo, tre volte più numeroso di quello italiano). La scelta è stata in qualche misura obbligata per il regime dell’Iran: il paese è stato colpito duramente dal crollo dei prezzi del petrolio e ora ha parecchie difficoltà a mantenere in ordine il suo bilancio.

Permettere ai più ricchi di acquistare l’esenzione dalla coscrizione militare avrà almeno due effetti positivi per le casse dello stato. Da un lato ne migliorerà direttamente i conti, facendo affluire il denaro per l’acquisto delle esenzioni e facendo risparmiare quello che sarebbe stato destinato a pagare, addestrare ed equipaggiare le reclute. Dall’altro avrà anche un effetto indiretto: permetterà a molti giovani iraniani di impegnarsi in attività economicamente più redditizie per il paese, come ad esempio proseguire gli studi oppure trovare un lavoro.

Già nel 1999, in un altro momento storico di calo del prezzo del petrolio, il parlamento iraniano propose di consentire l’esenzione dal servizio militare a pagamento. Allora come oggi, la proposta fu portata avanti dai riformatori iraniani e fortemente osteggiata dai conservatori, sia per ragioni di prestigio militare che di eguaglianza tra i ricchi che possono permettersi di acquistare l’esenzione e gli altri. Nel 1999 il prezzo del petrolio tornò rapidamente a salire e l’opposizione dei conservatori portò alla bocciatura della legge.

La crisi economica in Iran e le sanzioni internazionali
Oggi la situazione è molto diversa. Da tre anni l’economia del paese è in crisi, soprattutto per le pesanti sanzioni imposte da Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite a causa del mancato accordo sul programma nucleare iraniano (gli ultimi incontri tra le parti si sono conclusi senza molti risultati lo scorso novembre). Uno dei tagli che sono stati fatti per fare fronte a questa situazione riguarda proprio il bilancio destinato al settore della Difesa, il che ha influito negativamente sulle condizioni di vita dei soldati nelle caserme e sul loro stipendio. La recente crisi del petrolio rischia di dare il colpo definitivo alla traballante economia iraniana. Il sistema fiscale in Iran è particolarmente inefficiente e arretrato e circa un terzo delle entrate pubbliche deriva dalle esportazioni di petrolio (il petrolio contava per metà delle entrate fino a pochi anni fa). Si calcola che il paese sia in possesso della quarta più grossa riserva di petrolio al mondo ed è il secondo paese esportatore dell’OPEC, il cartello che riunisce alcuni dei principali paesi produttori di petrolio (il primo è l’Arabia Saudita).

Il prezzo del petrolio sta causando problemi al paese da quasi un anno. Nel 2013 il governo iraniano aveva preparato la legge di bilancio per il 2014 tenendo conto di un prezzo del petrolio di 108 dollari al barile. Per quasi metà dell’anno fiscale, però, il prezzo è stato sensibilmente inferiore. La legge di bilancio per il 2015, che entrerà in vigore con il nuovo anno fiscale il prossimo 20 marzo, è costruita su un prezzo del petrolio di 72 dollari al barile, sedici dollari in più dell’attuale prezzo del petrolio. «L’Iran si sta muovendo verso un budget dai confini molto austeri», ha raccontato al Wall Street Journal Fereydoun Khavand, un esperto di Iran dell’Università di Parigi, utilizzando un termine in genere più in voga per le economie in crisi dell’eurozona, piuttosto che per i paesi in via di sviluppo ricchi di materie prime.

La questione del budget del 2015
Fino a poche settimane fa, i rappresentanti del governo iraniano hanno mantenuto un tono piuttosto deciso e sicuro quando parlavano del crollo del prezzo del petrolio. Il vice-presidente Eshag Jahangiri, ad esempio, ha definito il crollo del prezzo del petrolio un “complotto politico” ordito dai nemici dell’Iran e ha detto che se anche il prezzo dovesse scendere a 40 dollari al barile, l’Iran «continuerà a cavarsela bene». Il discorso di Jahangiri ha contribuito però ad aumentare le aspettative di un ulteriore calo del prezzo del petrolio, contribuendo in parte all’ulteriore abbassamento che si è visto nelle ultime settimane. In realtà, secondo diversi analisti, l’Iran riuscirà a mantenere l’attuale budget per il 2015 soltanto se il prezzo del petrolio tornerà a salire intorno agli 80 dollari a barile per il resto dell’anno.

Se le cose invece dovessero continuare ad andare male, l’Iran sarà costretto a compiere ulteriori tagli al suo bilancio che a loro volta rischiano di peggiorare la recessione nella quale si trova il paese, in un ciclo che i paesi europei hanno conosciuto bene in questi ultimi anni. «Siamo alla vigilia di una grande crisi», ha scritto l’economista iraniano Hossein Raghfar. Le conseguenze, però, saranno di portata più ampia e probabilmente coinvolgeranno gran parte del Medio Oriente. Di fronte alla necessità di tagliare il bilancio, ad esempio, l’Iran potrebbe essere costretto a diminuire il suo appoggio al regime siriano di Bashar al Assad, al gruppo terroristico libanese Hezbollah e a Hamas, la fazione palestinese che domina la Striscia di Gaza. Infine, in caso di crisi prolungata, l’Iran potrebbe trovarsi costretto ad accettare le limitazioni al suo programma nucleare richiesta da Stati Uniti e Unione Europea, così da ricevere in cambio un allentamento delle sanzioni.