Che aria tira in Israele
Gli ultimi sondaggi danno il partito di Netanyahu in calo e i suoi alleati in difficoltà: ma potrebbe non bastare alle opposizioni per vincere alle elezioni anticipate
Il 17 marzo del 2015 in Israele si terranno le elezioni anticipate per rinnovare la Knesset, il parlamento monocamerale israeliano. Le elezioni erano state annunciate dal primo ministro conservatore Benjamin Netanyahu dopo la crisi della sua coalizione di governo. Secondo l’ultimo sondaggio compiuto da Haaretz-Dialog il consenso verso Likud, il partito di Netanyahu, è sceso rispetto alle elezioni legislative dello scorso gennaio. Allo stesso tempo però non c’è nessun altro candidato che sembra potere essere preferito a Netanyahu per l’incarico di primo ministro. In pratica, come scrive il quotidiano israeliano liberal Haaretz, gli israeliani non sono contenti del lavoro svolto finora dal governo ma non sembrano vedere altre alternative.
Il casino della politica israeliana
Non è la prima volta che si prospetta una situazione così incerta in un’elezione per rinnovare la Knesset. La politica israeliana è molto frammentata: alle ultime elezioni ben 12 partiti avevano ottenuto la rappresentanza parlamentare e Netanyahu era stato costretto a formare una coalizione di forze politiche con visioni e idee diverse su molte questioni. Netanyahu era alleato con i centristi del Yesh Atid, il partito del popolare giornalista televisivo Yair Lapid; con i conservatori di HaBayit HaYehudi, del giovane milionario Naftali Bennet; e con i centristi del partito Hatnuah, guidati dall’ex leader del partito Kadima, Tzipi Livni. Erano invece rimasti fuori gli ultraortodossi, tradizionali alleati di Likud e presenza quasi fissa nel parlamento israeliano. Proprio Lapid e Livni sono stati rimossi il 2 dicembre da Netanyahu dai loro incarichi di governo – rispettivamente ministro delle Finanze e ministro della Giustizia – dopo una serie di discussioni interne alla coalizione di maggioranza.
Le difficoltà nella coalizione di Netanyahu
Secondo il sondaggio di Haaretz-Dialog, se le elezioni dovessero tenersi oggi Likud otterrebbe 21 seggi in parlamento, gli stessi che otterrebbe Labor-Hatnuah, la forza politica che unisce il Partito Laburista di Isaac Herzog al partito Hatnuah di Livni: i due partiti hanno trovato un accordo per presentarsi insieme – senza prospettiva di alleanza con Likud – domenica 14 dicembre. Il primo dato rilevante riguarda un leggero calo di Likud rispetto a prima che si formasse il Labor-Hatnuah, tre settimane fa: Likud è passato da 24 seggi di allora ai 21 di oggi. Anche Yisrael Beteinu, il partito guidato dall’attuale ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, ha perso dei consensi rispetto alla fine di novembre: è passato, secondo i sondaggi, dagli 11 seggi di allora agli 8 seggi di oggi. Infine si trovano in una situazione difficile anche gli ultrortodossi del partito Shas, indeboliti da grosse divisioni interne: se non riuscissero a entrare in parlamento per Netanyahu sarebbe un grosso problema, perché avrebbe un potenziale alleato in meno per formare una coalizione alternativa a quella attuale.
Un possibile accordo tra Yesh Atid e Kulanu
Yesh Atid, uno dei partiti al governo che ha rotto con Netanyahu, potrebbe formare un accordo elettorale con il partito Kulanu, guidato da Moshe Kahlon. Secondo l’ultimo sondaggio, se i due partiti dovessero presentarsi insieme alle elezioni del 15 marzo potrebbero ottenere qualcosa in più rispetto all’ipotesi di presentarsi divisi: potrebbero addirittura diventare la prima forza politica del paese, superando di pochissimi seggi Likud. Anche in quel caso, come del resto per Likud, i due partiti dovrebbero comunque trovare altre forze politiche con cui allearsi per garantirsi una maggioranza di governo. È improbabile pensare oggi che Yesh Atid possa coalizzarsi di nuovo con il partito di Netanyahu: le due forze politiche hanno infatti avuto uno scontro molto duro sulla contestata legge proposta dal governo per definire Israele la “patria nazionale del popolo ebraico” e non più “stato ebraico e democratico”. La discussione sulla legge, a cui Netanyahu non sembra avere intenzione di rinunciare, è stata la causa principale della crisi nell’attuale governo.